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UTOPIE

Zuckerberg si candida alla presidenza Del mondo

E’ Mark Zuckerberg, il fondatore e proprietario di Facebook, l’incarnazione di Julian Felsenburgh, il protagonista  de Il padrone del mondo, il profetico romanzo così intitolato che Robert Hugh Benson pubblicò nel 1907 oltre un secolo fa, ambientandolo  nel 2000? Leggendo Building Global Community, il manifesto politico da lui diffuso lo scorso 16 febbraio, viene da crederlo.

Editoriali 18_03_2017
Mark Zuckerberg

E’ Mark Zuckerberg, il fondatore e proprietario di Facebook, l’incarnazione di Julian Felsenburgh, il protagonista  de Il padrone del mondo, il profetico romanzo così intitolato che Robert Hugh Benson pubblicò nel 1907 oltre un secolo fa, ambientandolo  nel 2000? Leggendo Building Global Community, il manifesto politico da lui diffuso lo scorso 16 febbraio, viene da crederlo.

Ci sono infatti tutti gli elementi per temere appunto che con la Comunità Globale di Zuckerberg si attui la cupa profezia descritta da Benson ne Il Padrone del mondo, tra l’altro più volte citato e consigliato da papa Francesco. Ad esempio nel gennaio 2015 sull’aereo che riportava a Roma dalle Filippine quando, rispondendo alle domande dei giornalisti che gli chiedevano di spiegare meglio il concetto di “colonizzazione ideologica”, cui aveva accennato nell’incontro con le famiglie a Manila, Francesco osservò: “ C’è un libro – scusatemi, faccio pubblicità – c’è un libro, forse lo stile è un po’ pesante all’inizio, perché è scritto nel 1907 a Londra… A quel tempo lo scrittore ha visto questo dramma della colonizzazione ideologica e lo descrive in quel libro. Si chiama Lord of the World. L’autore è Benson, scritto nel 1907, vi consiglio di leggerlo».

Al di là dei limiti del personaggio, la presidenza Trump segna obiettivamente l’inizio di uno scontro epocale. E’ lo scontro tra due modelli complessivi di economia e di società: l’uno basato sulla centralizzazione del potere, sull’onnipotenza del progresso tecnologico e sullo sviluppo di un mercato, quindi di una vita nonché di una cultura uniformi alla scala planetaria; l’altro invece basato sulla persona, sul senso da un lato del limite e dall’altro dell’infinito, sulle differenze, quindi sullo sviluppo di mercati, quindi di modi di  vita e di culture diversi in modo stabile e non residuale. I due modelli portano con sé due diverse “filosofie” di gestione della rete di comunicazione istantanea e potenzialmente illimitata che da circa vent’anni è cresciuta fino ad avvolgere tutto il globo. Nel primo caso la Rete è più un fine che un mezzo, nell’altro invece è più un mezzo che un fine. Beninteso, quello che abbiamo delineato è un quadro schematico, perciò non esauriente. Però a grandi linee così stanno le cose. 

In questo quadro Building Global Community, costruire la comunità globale, il manifesto politico di Zuckerberg di cui si diceva, pubblicato non a caso poco dopo l’insediamento del nuovo presidente Usa, e subito definito da molti come un “manifesto anti-Trump”, si pone come base per la definitiva  affermazione del primo di quei due modelli. “Circa trentatrè anni, rasato, con portamento sicuro”: così Benson descrive Felsenburgh, il protagonista de Il padrone del mondo, facendone un ritratto che sin lì sorprendentemente vale anche per Zuckerberg. A parte però questa romanzesca somiglianza fisica, tra i due c’è soprattutto una prossimità di sostanza. Facebook, spiega il suo fondatore, deve diventare l’“infrastruttura sociale” della comunità globale in cui il mondo deve trasformarsi: “Nello scorso decennio Facebook ha avuto come suo primo obiettivo quello di collegare gli amici e le famiglie tra loro. Su quella base la nostra prossima priorità sarà quella di sviluppare l’infrastruttura sociale della comunità”.

Il documento è scritto in uno stile piano e con un tono molto benevolo. Se però, al di là dello stile e del tono, si va al cuore della proposta che contiene, dal guanto di velluto si passa al pugno di ferro. E’ chiaro infatti che la “comunità globale” di Zuckerberg si pone come una realtà che dapprima sovrasta e poi sostituisce ogni altra comunità, ogni altro legame sociale, culturale e storico. D’altra parte di che cos’altro avremmo bisogno una volta che sia affermata questa comunità globale che Zuckerberg definisce “sicura, che previene il male, ci aiuta durante le crisi e poi ricostruisce quanto dovesse esser stato distrutto”; “informata, che ci fa conoscere le nuove idee e edifica la comune reciproca comprensione”; “impegnata sul piano civile in un mondo in cui talvolta meno di metà degli aventi diritto al voto si reca alle urne”; “inclusiva perché riflette i nostri comuni valori e la nostra comune umanità ad ogni livello, abbracciando culture, nazioni e regioni (…)”?  

E per di più l’infrastruttura su cui questa comunità globale si appoggia sfugge per definizione a qualsiasi controllo democratico presente o futuro trattandosi appunto di Facebook, ossia di una grande impresa privata. Stando così le cose, non è in fin dei conti meglio il pittoresco Trump dell’algido Zuckerberg?