Yemen, un paese alla deriva
- Reportage da Sana'a, dove regano violenza e caos dopo mesi di proteste e repressione.
- Il caso dello Yemen è emblematico delle incertezze legate alla "primavera araba", con il rischio della deriva terroristica.
- I cattolici sono un milione, cercano di restare uniti e non rispondere a provocazioni. L'appello del nunzio apostolico ai cattolici europei: «Non dimenticatevi di noi».
Da Sana'a
Sceso dall'aereo, l'odore di sangue già si avverte nelle prime strade di San'a, ed il fumo e la polvere fa da contorno. E' grave più di quello che mi aspettassi, la situazione nello Yemen è disastrosa, è da mesi che il paese è in preda a manifestazioni di protesta contro il regime di Alì Adbullah Saleh, al potere di Sana’a dal 1979. L’ultimo episodio di violenza risale a domenica sera, quando un commando militare ha fatto irruzione presso alcuni edifici della capitale, in mano al potente capo tribale Sadek al Ahmar, uccidendo almeno 35 persone.
Pare che nel conflitto a fuoco abbiano perso la vita anche una ventina di soldati, portando complessivamente a oltre cinquanta il numero delle vittime. Il blitz sarebbe dovuto all’appoggio che il clan di al Ahmar avrebbe concesso alle opposizioni, che chiedono l’introduzione della democrazia. Subito dopo l’assalto, il presidente Saleh ha dichiarato che non si farà "trascinare in una guerra civile". Una puntualizzazione che stride con la realtà. La protesta, infatti, nasce in concomitanza con i subbugli nel mondo arabo e nelle prime giornate di manifestazioni anti-regime era stato lo stesso Saleh a tendere la mano agli oppositori, chiarendo di non volersi più ricandidare alle prossime presidenziali e di adoperarsi per una transizione pacifica.
Dopo la prima settimane con toni pacifici, tuttavia, la situazione poi è degenerata, con vittime numerose in vari scontri con la polizia e con un Saleh che ha così tante volte cambiato opinione sul suo futuro prossimo da fare sprofondare il Paese nel caos, infiammando gli animi delle piazze. Si è resa necessaria una mediazione da parte del Consiglio degli stati del Golfo, i quali avevano proposto a Saleh un accordo che prevedeva di lasciare il potere entro due mesi, passando le consegne al vice e dando vita a nuove elezioni democratiche. Più volte il presidente yemenita ha espresso la volontà di firmare e più volte ci ha ripensato all’ultimo minuto, anche quando era stata concessa una sorte di immunità a lui e al figlio, che avrebbe impedito azioni penali per i crimini commessi in 32 anni di regime.
Le premesse, dunque, sono preoccupanti. Non c’è solo il problema di un quadro politico esasperato, con i tumulti che si susseguono: la questione è strutturale. E il rischio di una deriva terroristica è concreto. Come se ne esce? Secondo la studiosa Farian Sabahi, esperta del mondo islamico e autrice di una "Storia dello Yemen", «la comunità internazionale dovrebbe intervenire, anche nel proprio interesse, e chiedere al futuro governo yemenita trasparenza economica come conditio sine qua non». La corruzione, ricorda, è stato il primo problema dell’amministrazione Saleh, «ciò che ha impedito che gli aiuti occidentali e sauditi contribuissero a una reale crescita economica», spiega. Intanto a Sana’a, l’unica cosa a regnare è l’incertezza.
Nel frattempo mi sono spostato presso la Nunziatura apostolica: la Chiesa Cattolica è in minoranza, conta appena un milone di fedeli stretti in una morsa di sospetti e attacchi. Il nunzio, monsignor Petar Antun Rajic, dice che i cattolici devono stare uniti e non prendere iniziative né raccogliere le sfide o rispondere alle umiliazioni, ma si appella ai cattolici europei: «Non dimenticatevi di noi». Una lacrima solca il suo volto, mentre in una modesta sala sul muro accanto all'immagine del Santo Padre ci sono i buchi provocati da due colpi di fucile, il che ci fa capire dove siamo e con chi abbiamo a che fare.
Quattro mesi di disordini civili hanno reso il loro tributo, con centinaia di persone uccise e migliaia ferite. Il CICR, la Mezzaluna Rossa dello Yemen ha fatto evacuare i feriti e seppellito i morti a Aana ' A e sta contribuendo a fornire l'acqua potatbile alla popolazione. Altrove nel paese vi è il nulla. «A causa dei combattimenti, spesso è stato difficile per il personale medico raggiungere determinate zone di Sana'a - ha detto Jean-Nicolas Marti, il capo della delegazione ICRC nello Yemen - Ogni volta che c'è stato un momento di calma, decine di persone hanno chiesto aiuto il CICR, chiedendo aiuto, trasferendo così i feriti in un ospedale e recuperare i corpi dei morti».
Dal 4 giugno, squadre congiunte, CICR e Yemen Red Crescent (la mezzaluna rossa), stanno lavorando intorno a Sana'a ed hanno estratto diversi caraveri. Circa 20 soltanto stanotte (stamattina per l'Italia). Nel complesso, quattro ICRC del personale e alcuni volontari Yemen Red Crescent hanno preso parte in queste operazioni, nessuna altra organizzazione umanitaria è in zona, non si vede nessuno, mentre non si fermano le feroci e barbare esecuzioni dell'esercito che abbandonano i morti per le strade semza alcuna pietà.