Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
Santa Francesca Saverio Cabrini a cura di Ermes Dovico
CATALOGNA

Voto e violenze: Barcellona si allontana da Madrid

Il premier spagnolo Rajoy determinato a impedire il referendum (illegale, da sentenza della Corte Suprema) per l'indipendenza della Catalogna, manda polizia e Guardia Civil a sgomberare i seggi con la forza. I feriti sono più di 800. Fra Madrid e Barcellona si è aperta una frattura difficile da ricomporre.

Esteri 02_10_2017
Barcellona, l'azione della polizia spagnola

Nonostante la pioggia e una reazione della polizia dura come non si era mai vista in una moderna democrazia occidentale europea (oltre 800 i feriti, quasi tutti fra i votanti e i manifestanti), milioni di catalani hanno votato per il referendum sulla secessione dalla Spagna. Gli elettori, secondo le autorità locali catalane sono stati circa 2 milioni e 260mila, il 42% degli aventi diritto al voto. Per Carles Puidgemont, il presidente catalano, la sua regione “ha vinto il diritto ad avere il suo Stato”. Per Madrid, al contrario, il referendum non si è neppure mai tenuto. Si è raggiunto il culmine di una crisi fra la Spagna e la sua regione autonoma catalana, da sempre latente, ma in piena escalation da almeno cinque anni.

Il premier spagnolo, del Partito Popolare, ha parlato alle 20 di ieri sera, subito dopo la chiusura di seggi di cui non riconosce neppure l’esistenza. “Oggi non c’è stato alcun referendum per l’autodeterminazione in Catalogna. Lo Stato di diritto resta intatto con tutta la sua forza”. Gli uomini delle forze dell’ordine hanno “svolto il loro dovere” e hanno rispettato gli ordini della Corte Suprema, che ha sentenziato l’illegalità di un referendum per chiedere l’indipendenza della regione autonoma catalana.

Eppure, le scene che ci arrivano dalle strade di Barcellona e dalle altre città catalane in cui si è votato, ci raccontano tutta un’altra storia. I seggi per il referendum si sono aperti ieri mattina e folle di cittadini si sono messe in coda per votare. I seggi, nelle scuole, erano presidiati da venerdì da insegnanti, allievi e loro famiglie, giorno e notte, per impedire alla polizia di occuparli. Altri seggi sono stati presidiati da agricoltori volontari che hanno trasformato i loro trattori in vere e proprie barricate mobili. Non appena si sono aperti, tuttavia, sono subito iniziati i raid della polizia in tenuta anti-sommossa e della Guardia Civil (corpo paramilitare con funzioni di polizia). E qui è iniziato il peggio. Le scene parlano chiaro: elettori, anche anziani, trascinati fuori dai seggi a forza, manganellate su manifestanti disarmati, urne sequestrate. I corpi di polizia catalana, i Mossos, si sono opposti in molti casi all’azione della Guardia Civil, proteggendo gli elettori. Stessa reazione anche da parte dei vigili del fuoco, che già dai giorni scorsi erano scesi in campo a protezione dei seggi. A Girona, la polizia anti-sommossa si è aperta a forza la strada per il seggio elettorale in cui era previsto il voto di Carles Puidgemont. Lo stesso Puidgemont, però, ha aggirato il divieto e si è recato a votare a Cornellà de Terri, sempre in provincia di Girona.

Il bilancio di questa giornata è ancora in gran parte da scrivere. Il Ministero dell’Interno parla di 12 agenti feriti, 92 seggi chiusi (319 secondo le autorità catalane) su un totale di 2.300 seggi e 3 arresti. Le autorità catalane sottolineano soprattutto un dato drammatico, a operazioni di voto concluse: più di 800 feriti fra elettori e manifestanti, tre gravi, uno a rischio morte. Rajoy si trova a dover giustificare un’azione repressiva unica nel suo genere nelle democrazie che fanno parte dell’Unione Europea. Per il premier popolare si trattava di una linea rossa. “Sarebbe stato più facile per tutti voltarsi dall’altra parte – ha dichiarato in conferenza stampa, spiegando che l’indizione di un referendum per l’indipendenza della Catalogna – è stato un vero attacco contro lo Stato di diritto, a cui lo Stato ha risposto con fermezza e sicurezza”. Il voto, già condannato dalla Corte Suprema, viola la Costituzione che prescrive “l’unità indissolubile della nazione spagnola, la casa comune e indivisibile di tutti gli spagnoli”. Ma neppure Carles Puidgemont intende tornare sui suoi passi, specie dopo quel che è successo domenica. Il suo impegno a favore del referendum è spinto dalla maggioranza parlamentare che ha vinto le elezioni del 2015, costituita da partiti di sinistra pro-indipendenza. Ieri sera, a seggi chiusi, ha di fatto proclamato il diritto alla secessione.

L’opinione pubblica catalana seguirà Puidgemont dopo quel che è successo? L’azione di polizia può avere un effetto intimidatorio, ma le reazioni della popolazione catalana dimostrano che la determinazione a chiedere l’indipendenza stia aumentando all’aumentare della repressione. Prima del voto, il governo di Madrid ha cercato di bloccare i siti Internet legati all’indipendentismo catalano e alle operazioni di voto, ma nonostante ciò il voto si è tenuto e gli elettori hanno anche stampato le schede (quelle originali erano state preventivamente sequestrate) scaricate dal Web. Le autorità spagnole hanno imposto una multa da capogiro per i funzionari di seggio, fino a 300mila euro ai presidenti di seggio. Ma le urne erano regolarmente tutte aperte. La polizia ha occupato il centro delle telecomunicazioni del governo catalano, chiuso lo spazio aereo ai voli privati per Barcellona per tutto il fine settimana, arrestato temporaneamente i sindaci che hanno accettato di indire il referendum nei loro comuni. E nonostante tutto, si è votato in tutti i comuni previsti, nella maggioranza dei seggi. Il governo ha anche trasferito a Madrid il comando dei Mossos, ma nella giornata di ieri questi ultimi hanno agito come una polizia autonoma. Al punto che la magistratura ha aperto un fascicolo sulla loro presunta disobbedienza.

Prima del referendum, il 41% dei catalani risultava essere a favore dell’indipendenza, ma il 70% si diceva comunque favorevole al voto. L’azione di Rajoy è stata quella di impedire il voto stesso. Quanti, adesso, saranno a favore dell’indipendenza in Catalogna? E’ anche legittimo chiedersi se il governo spagnolo avesse alternative. Contrariamente ai più flessibili sistemi anglo-sassoni (Londra ha permesso il voto alla Scozia per l’indipendenza e il Canada, addirittura tre volte al francofono Quebec), la Spagna, come tutti gli Stati europei continentali, ha una Costituzione rigida e difficilmente riformabile. Stante il fatto che la Costituzione non permette la secessione di una regione, Rajoy ha scelto la via giudiziaria, facendosi forza della sentenza della Corte Suprema che gli ha ovviamente dato ragione. Non solo, ha deciso di implementarla nel più rigoroso dei modi, non limitandosi a disconoscere l'esito di un voto che era comunque illegale, ma intervenendo con la forza per impedirlo. Così come una soluzione per via giudiziaria era impossibile, una riforma costituzionale sarebbe stata quanto meno difficile, visti i numeri e i tempi richiesti: doppio voto parlamentare a maggioranza qualificata e referendum popolare (da tenere in tutto il territorio spagnolo) confermativo. Sarebbe stata possibile una soluzione politica, piuttosto, un nuovo tavolo negoziale fra i governi di Madrid e di Barcellona, per ridefinire i rapporti fra la regione autonoma e il governo centrale? Era possibile negli ultimi due anni, così come fu possibile nel 2006, quando al governo c’era ancora il socialista Zapatero, con la ratifica dello Statuto sull’autonomia catalana. Ma adesso è una via ancora percorribile? Dopo gli eventi di ieri probabilmente si è passato un punto di non ritorno, sia per la Spagna che per la Catalogna.