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SECESSIONISMO

Catalogna, tensione e memorie di guerra civile

La tensione innescata in Catalogna dal conflitto tra il governo regionale che ha promosso un referendum per l’indipendenza dalla Spagna, e Madrid deciso ad impedirlo, è giunta ieri al culmine. Torna la paura della guerra civile.

Esteri 22_09_2017
Barcellona, manifestazione indipendentista

La tensione innescata in Catalogna dal conflitto tra il governo regionale che ha promosso un referendum per l’indipendenza dalla Spagna, e il governo di Madrid deciso ad impedirlo, è giunta ieri al culmine quando una grande folla ha assediato a Barcellona fino a notte inoltrata la sede del ministero catalano dell’Economia dove agenti della Guardia Civil, una delle due polizie spagnole, erano intenti a una perquisizione. Soltanto dopo ore la maggior parte di loro ha potuto lasciare l’edificio grazie all’intervento di agenti dei Mossos d’Estrada, la polizia regionale catalana. Il clamoroso episodio ha portato alla ribalta dell’attualità internazionale una crisi già in corso da alcuni mesi, ma sin qui non abbastanza considerata.

Da sempre la Catalogna - che è un po’ la Lombardia della Spagna e ha in più una propria lingua e una propria forte identità tanto da essere definita ufficialmente una nazione – vive con disagio la sua inclusione nei confini dello Stato spagnolo. Perciò la Spagna democratica post-franchista le riconobbe uno statuto di particolare autonomia già nel 1979, poi sostituito nel 2006 da un nuovo statuto da cui la sua capacità di autogoverno risulta ulteriormente ampliata. Le Comunità Autonome (così si chiamano in Spagna i territori con particolare autonomia) hanno poteri ben più estesi di quelli delle nostre Regioni. Nemmeno lo statuto del 2006 riconosce tuttavia alla Catalogna quella fondamentale e decisiva autonomia in campo fiscale di cui godono invece il Paese Basco e la Navarra, territori con specificità altrettanto rilevanti. In Catalogna è lo Stato spagnolo che continua a gestire il fisco, anche se poi trasferisce automaticamente al governo catalano quanto gli spetta.

Combinandosi con la maggiore autonomia, il confermato diniego della competenza fiscale ha paradossalmente fatto dello statuto del 2006 il detonatore che ha provocato il salto dalla richiesta dell’autonomia alla richiesta dell’indipendenza.

Frattanto la situazione si è complicata sia dal punto di vista sia sociale che politico. Dal punto di vista sociale perché il grande sviluppo di Barcellona ha richiamato migranti sia dal resto della Spagna che dall’America Latina (e in Spagna i latino-americani sono riconosciuti come cittadini spagnoli per tutta la durata della loro stabile permanenza nel Paese). Barcellona e il suo hinterland sono perciò divenuti un’area dove gli “spagnoli” sono più numerosi dei catalani, e dove quindi la causa dell’indipendenza non è così popolare come nel resto della Catalogna. A causa di ciò non è dunque affatto certo che la maggioranza degli aventi diritto al voto sia a favore dell’indipendenza dalla Spagna. Dal punto di vista politico perché il partito CiU (Convergenza e Unione), di tradizione democristiana e schierato per l’autonomia ma non per il distacco dalla Spagna, ha perso la maggioranza a favore di una coalizione di partiti di sinistra che sono schierati per l’indipendenza e che si richiamano esplicitamente all’eredità rivoluzionaria del comunismo trotskista e dell’anarchismo catalani dei tempi della Repubblica travolta dal generale Franco nel 1936-39. Carles Puigdemont, il leader di tale coalizione, al governo a Barcellona dal 2015, in una recente intervista al quotidiano tedesco Suddeutsche Zeitung  ha ribadito che il governo da lui presieduto “rappresenta la tradizione della Repubblica spagnola, schiacciata dall’esercito di Franco nella guerra civile”. E ha accusato il premier Mariano Rajoy e il suo Partito Popolare al potere a Madrid di essere eredi del franchismo. La tutela della storica specificità catalana e dei legittimi interessi della Catalogna è entrata insomma in un “tritacarne” politico assai pericoloso, e che con essa non ha molto a che vedere.

In questo clima Carles Puigdemont ha indetto per il primo ottobre prossimo un “referendum vincolante" sull'indipendenza della Catalogna,  che il governo nazionale di Madrid ha dichiarato illegale in quanto non ammesso dalla Costituzione spagnola. Su ricorso del governo nazionale, il 7 settembre scorso la Corte Costituzionale spagnola ha sospeso il decreto di convocazione del referendum, ma Puigdemont ha deciso di andare avanti lo stesso ignorando tale sospensione.

Per tener lontano lo spettro di una guerra civile, in un Paese dove la tragica memoria dei massacri e delle stragi del 1936-39 è ancora vivissima, il premier Rajoy ha scelto di evitare lo scontro frontale con  Puigdemont e il suo Govern, ossia il  governo regionale catalano. Servendosi dei reparti delle due polizie nazionali che sono stanziati in Catalogna, cerca di impedire il referendum bloccandolo con azioni come il sequestro delle schede referendarie nei magazzini dove si trovano in attesa della loro distribuzione, e con denunce e arresti di funzionari regionali impegnati nell’organizzazione dell’evento. La situazione è comunque molto delicata essendo chiaro che può precipitare da un momento all’altro.