«Vogliono cacciare i cristiani da Terrasanta»
«Vogliono cacciare i cristiani da Gerusalemme»: è ormai la certezza di quanti vivono in Terrasanta, che fa da sfondo alla crisi tra Chiese cristiane e governo di Gerusalemme che ha portato alla chiusura per tre giorni della chiesa del Santo Sepolcro.
La chiusura per protesta, effettuata da domenica 25 a martedì 27 febbraio, della chiesa emblematica per importanza della Cristianità, la basilica del Santo Sepolcro di Gerusalemme; le ragioni che l’hanno motivata ed alcune considerazioni espresse in una dichiarazione congiunta dei capi delle tre maggiori comunità che ne condividono la proprietà, hanno concorso a configurare una gravissima crisi tra di essi e personalità al vertice dello Stato d’Israele che richiederà certamente molto tempo e tanta buona volontà per comporla. I tre capi sono il patriarca greco-ortodosso Teofilo III , il patriarca armeno-ortodosso Nourhan Manougian e il Custode di Terra Santa padre Francesco Patton.
La prospettiva dei “tempi lunghi” non è stata scalfita dal fatto che la protesta, proclamata ad oltranza, sia stata revocata dopo soli tre giorni, per la “marcia indietro” israeliana, ovvero per la sospensione delle cause scatenanti. Infatti il contendere rimane tutto in piedi; e non si sa fino a quando visto che il negoziato su una materia controversa - a cui si riferisce la protesta - relativa al regime fiscale dei beni ecclesiastici alla quale è proposta una commissione bilaterale istituita poco dopo l’Accordo fondamentale tra Israele e Santa Sede del 1993, non ha “ancora” concluso i lavori.
La gravità dell’ impasse è data dal silenzio che copre questo negoziato diplomatico in corso da oltre un ventennio. E’ vero che la Commissione bilaterale (in quella della Santa Sede guidata dalla Segreteria di Stato siedono rappresentanti del Patriarcato Latino e della Custodia francescana di Terra Santa) si riunisce poche volte l’anno, alternativamente nella Città del Vaticano e a Gerusalemme; è anche vero – ci risulta – che nel 2011 sembrava che il testo finale dell’intesa raggiunta avesse bisogno soltanto di pochi ritocchi. Non si sa cosa da allora sia avvenuto, cosa di recente abbia bloccato le trattative, se il sindaco di Gerusalemme Nir Barkat, ai primi di febbraio, ha fatto spedire le cartelle dell’Arnona (la tassa comunale sui beni immobili) alle comunità cristiane e, sembra in un caso ne abbia anche bloccato i conti bancari. Considerando gli arretrati la richiesta complessiva raggiunge l’equivalente di 53 milioni di euro.
Non è da oggi, infatti, che la Municipalità di Gerusalemme, come quelle di Tel Aviv, Nazareth e di altre città dello stato d’Israele reclamano il pagamento dell’Arnona, tassa che, sostengono, non si riferisce alle Chiese ma alle “pertinenze” delle comunità religiose. Questo termine è però impreciso, fonte certa di contestazioni, perché non si riferisce solo alle stanze di alloggio e di servizio per gli ospiti, ma pure a locali che accolgono riunioni di fedeli e momenti spirituali dei pellegrinaggi. Una materia difficile da esemplificare. E comunque le Chiese obiettano che fin dall’epoca ottomana le loro proprietà sono state esentate da tributi, e così è avvenuto il secolo scorso, sotto il Mandato britannico, negli anni della sovranità giordana e di quella israeliana dal 1967 ad oggi. Alla ricerca di un compromesso lavora, come abbiam detto, la Commissione bilaterale Israele-Santa Sede. Alla quale la Custodia di Terra Santa certamente presenterà le sue lamentele alla prima occasione, sostenendo che un’amministrazione comunale non può prendere iniziative su materie soggette a trattativa diplomatica.
L’altra causa della protesta, che ha determinato la reazione più grave, la chiusura a oltranza, domenica 25 a mezzogiorno, della Basilica del Santo Sepolcro, è stata il programmato inizio – un’ora dopo, alle 13 – dell’esame alla Knesset della proposta di legge, presentata dalla parlamentare Rachel Azaria, che consentirebbe allo Stato di espropriare “terre vendute dalle comunità religiose ai privati dopo il 2014”, afferma una dichiarazione delle tre personalità religiose responsabili della basilica del Santo Sepolcro; secondo altre fonti, terreni di proprietà delle Chiese oggi nella disponibilità di altri, privati o enti pubblici. Una questione complessa che riguarda prevalentemente la Chiesa greco-ortodossa, proprietaria da secoli a Gerusalemme di molti terreni.
Bisogna riandare agli anni immediatamente successivi al 1967 quando, con la vittoriosa Guerra “dei Sei Giorni”, lo stato d’Israele trasferendo la capitale a Gerusalemme, necessitava di aree edificabili per dare sede alle sue istituzioni (governo, parlamento, ministeri, banca e museo nazionale ecc.). L’occupazione del grande complesso residenziale costruito nell’Ottocento per i pellegrini russi e di proprietà dal Patriarcato ortodosso di Mosca, il cosiddetto Russian Compound, risolse i problemi del ministero degli Interni e della polizia. Da parte sua il Patriarcato greco-ortodosso non vendette la quasi totalità dei terreni richiesti ma li cedette in leasing per 99 anni. Di recente però ha venduto alcune di queste aree, quasi tutte edificate, ad una società privata ebraica con la quale l’ente demaniale (il Jewish National Found) alla scadenza dovrebbe rinegoziare gli accordi. Per impedire speculazioni, ecco la proposta di legge che apre agli espropri.
Ma ecco nella giornata di martedì scorso la “marcia indietro” del Governo israeliano. Dinanzi alla dura reazione delle Chiese e nell’intento di neutralizzarne le ripercussioni internazionali, il primo ministro Benjamin Netanyahu annuncia il congelamento della riscossione dell’Arnona del comune di Gerusalemme e la sospensione dell’esame della legge sugli espropri alla Knesset, problema che sarà affrontato da una speciale Commissione di dialogo con le Chiese, sottolineando che “Israele è la casa di una fiorente comunità cristiana ed accoglie amici cristiani da tutto il mondo”. Un’iniziativa vista come tentativo di ottenere la comprensione e la collaborazione delle Chiese alle esigenze dello Stato d’Israele, finora mancate.
Eloquente il cartello di protesta esposto all’ingresso della basilica del Santo Sepolcro: “Basta con le persecuzioni dei cristiani”. Concetto affermato pure nella dichiarazione congiunta delle tre personalità religiose: “Questo attacco sistematico e senza precedenti contro i cristiani in Terra Santa viola gravemente i più fondamentali e ab antiquo diritti sovrani, calpestando la delicata trama di pluridecennali relazioni tra la comunità cristiana e le autorità”. E ancora: “Seguiamo con grande preoccupazione la sistematica campagna contro le Chiese e le comunità cristiane in Terra Santa, in flagrante violazione del vigente status quo”. E per la terza volta l’accusa secondo cui “questa campagna sistematica e offensiva ha di recente raggiunto livelli senza precedenti” con la emissione da parte del Comune di Gerusalemme delle “scandalose notifiche di riscossione e ingiunzioni di confisca di beni, proprietà e conti bancari delle Chiese per presunti debiti di tasse municipali punitive”.
Seguono considerazioni e preoccupazioni: “Queste azioni infrangono gli accordi esistenti e le obbligazioni internazionali che garantiscono i diritti e i privilegi delle Chiese, in quello che appare come un tentativo di indebolire la presenza cristiana a Gerusalemme. Le principali vittime di tutto ciò sono le famiglie povere che saranno private del cibo e dell’alloggio, oltre ai bambini che non potranno frequentare la scuola” . E infine l’affondo: “La sistematica campagna di abuso contro le Chiese e i cristiani ora tocca il suo apice in quanto sta promuovendo una legge discriminatoria e razzista che prende di mira solo le proprietà della comunità cristiana in Terra Santa. Questa legge aberrante… se approvata, renderebbe possibile l’espropriazione delle terre delle Chiese. Tutto ciò ci ricorda le leggi di natura analoga che furono promulgate contro gli ebrei in Europa nei periodi bui”.
Il paragone non poteva non suscitare indignate reazioni nel mondo ebraico. L’espressione è stata definita “degna di un mentitore spudorato” in un commento giornalistico che attribuendone la paternità al Custode francescano di Terra Santa, paragonato “quasi ad un ambasciatore per la carica che ricopre" sostiene che “in un paese normale sarebbe già stato dichiarato persona non grata e rinviato al mittente”. Alle tre personalità religiose è stata rimproverata corta memoria perché “durante il dominio ottomano (caduto nel 1920) in cui non dovevano pagare… erano però in vigore tasse e balzelli che ogni cristiano doveva sborsare quando entrava in una chiesa, se e quando aveva il permesso di entravi, nonché le pesanti imposte amministrative a cui erano sottoposti i Sangiaccati di Gerusalemme, Nablus e Acri”. E ancora: “Il sindaco Nir Barkat rispetta lo status quo cui loro inutilmente e ingiustamente si appellano, ma i guadagni sono un'altra cosa..."
“No, Israele non ha scatenato nessuna guerra di religione contro i cristiani in Terra Santa” recita invece il titolo di un’accreditata agenzia di informazione israeliana, che nel servizio tuttavia si chiede “come mai una disputa fiscale abbia portato leader cristiani e palestinesi a gridare alla 'persecuzione' (e chiudere il Santo Sepolcro) quando persino papa Francesco dice che le proprietà commerciali della Chiesa devono pagare le tasse?”. E conclude citando Gesù: “Date a Cesare quel che è di Cesare”.