Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi

TESTIMONIANZE

Voci da Piazza San Pietro

«Giovanni Paolo II è stato un testimone, l’unico Papa che noi giovani abbiamo conosciuto da vicino». Giovanni XXIII: «il suo miracolo è il Concilio. Fermiamoci a pensare che cosa sarebbe la Chiesa oggi se quel Papa cosiddetto di “transizione” non ci fosse stato». «Il messaggio più forte che Papa Wojtyla ha lasciato, e che oggi ci propone anche Bergoglio, è l’invito a mettere Dio al centro della nostra vita

Ecclesia 28_04_2014
L'attesa

“Questo chiasso ha sentito Roma e non lo dimenticherà mai”. Papa Giovanni Paolo II, da oggi Santo della Chiesa universale, insieme a Papa Giovanni XXIII, chiudeva così la storica veglia della Giornata Mondiale della Gioventù che si è tenuta a Roma, nella spianata di Tor Vergata, nell’agosto del 2000. E quello stesso chiasso ha accompagnato l’attesa per la veglia di preghiera della notte scorsa, quella che ha preceduto l’appuntamento tanto atteso della canonizzazione. Ancora una volta a farla da protagonisti, fra pellegrini giunti a Roma da ogni continente, sono stati  proprio loro, i giovani, che hanno “introdotto” le meditazioni della notte pregando a modo loro: canti, balli ed un vociare diffuso parlano di cuori in festa, colmi di gioia e di gratitudine. È la strada della felicità, infatti, quella che i due Papi Santi hanno mostrato ai giovani, quella che passa per la sequela  di Cristo e la docilità all’azione dello Spirito Santo. Una strada offerta all’umanità intera, un cammino lungo il quale l’uomo riempie di senso la propria esistenza e trova risposta ai suoi interrogativi più profondi. “Non abbiate paura, spalancate le porte a Cristo” è il messaggio che resta impresso nell’animo dei più.

Sono «parole che danno serenità e tranquillità alla mia vita, mi esortano a credere in un progetto di vita, che è quello che Dio ha per noi e che noi siamo chiamati ogni giorno a scegliere e a costruire, ma con la pace nel cuore» dice Teresa, di Bari, che guida un gruppo dell’Azione Cattolica. Per Teresa «Giovanni Paolo II è stato un testimone, l’unico Papa che noi giovani abbiamo conosciuto da vicino, il papa delle GMG, delle nostre feste e dei nostri momenti di incontro. La notizia della sua canonizzazione ha dato conferma ad una fama di santità diffusa da tempo: già in vita Karol Wojtyla è stato esempio di una fede forte, salda fino alla fine, che gli ha permesso di portare avanti il suo Pontificato nonostante l’esperienza del dolore e della malattia. È stato significativo per il popolo di Dio vedere il Papa aggrappato alla croce fino alla fine. Quella della malattia, ma anche quella reale: ricordiamo che morì poco dopo la Pasqua, e tra le sue ultime immagini c’è quella in cui, nel venerdì santo, il Papa seguiva la via Crucis dalla sua cappella privata in Vaticano, abbracciando il crocifisso. La sua è stata una imitazione della figura di Cristo portata avanti fino alla fine». Su Giovanni XXIII – dice ancora Teresa – per ragioni anagrafiche «abbiamo imparato a conoscerlo studiando: siamo negli anni che celebrano tutto il Concilio Vaticano II, il cui anniversario si conclude nel 2015, e a lui siamo grati per quella intuizione che lo spinse a convocare a Roma i pastori di tutta la Chiesa per un momento di riflessione sulla fede in un mondo in evoluzione. È frutto del Concilio anche una maggiore apertura ai laici nella Chiesa, e noi che siamo qui oggi, impegnati in associazioni cattoliche, siamo il frutto di quella maturazione».

Anche Fabio, 24 anni, romano, ammette che per i giovani della sua età l’attenzione maggiore va alla canonizzazione di Papa Giovanni Paolo II. «Ricordo con grande emozione l’ultima sua settimana di vita - dice con commozione - ed in particolare quella volta in cui si affacciò alla finestra del palazzo apostolico e non riuscì a proferire parola». Ma anche i ragazzi più giovani sanno cogliere la portata della figura di Giovanni XXIII: «il suo miracolo è stato quello dell’intuizione del Concilio. Fermiamoci a pensare che cosa sarebbe la Chiesa oggi se quel Papa cosiddetto di “transizione” non ci fosse stato: la sua è stata una svolta epocale. È chiamato il "Papa buono", ma si tratta di un fatto caratteriale, di temperamento, quello che conta invece è il contributo concreto che ha dato alla Chiesa».

Alla notte della veglia a Tor Vergata torna col pensiero Marco, 25enne, anche lui di Roma: «Fra i messaggi di Papa Giovanni Paolo II sento particolarmente mio l’appello a farci “sentinelle del mattino”, una generazione di Santi. Non è utopia, è l’invito alla  santità del quotidiano, nel lavoro o nel servizio educativo con i ragazzi o in parrocchia. In fondo per essere santi non bisogna fare nulla di eccezionale, io cerco di farlo donando il mio tempo agli altri, con amore e  con sentimenti cristiani. La santificazione è forse solo mettere nero su bianco qualcosa che nella vita è già stato scritto». Su Giovanni Paolo II – continua Marco - «era chiaro fin dal giorno dei suoi funerali, quando in piazza San Pietro i pellegrini esposero striscioni con la scritta “Santo Subito”, che sarebbe stato riconosciuto appunto come Santo: la sua canonizzazione rappresenta il giusto coronamento di un lungo pellegrinaggio qui sulla terra. Era un riconoscimento giusto per lui, anche se il suo essere un globe trotter della fede - come alcuni lo chiamavano - gli ha conquistato molti amici si, ma anche alcuni “nemici”, per così dire, persone che lo ostacolavano».

Di certo Karol Wojtyla portò un rinnovamento profondo nella Chiesa, e questa novità investì anche l’immagine stessa del pontefice: fu il Papa più a suo agio nel rapporto con i mass media e nella comunicazione in generale, e non si sottrasse al popolo dei fedeli né ai mezzi di comunicazione neanche quando le sue condizioni di salute si fecero particolarmente gravose. Anche l’approccio al tema della malattia e del dolore segnò una discontinuità col passato. È ciò che evidenzia Annamaria, oncologo, entrando in chiesa: «negli ultimi 20 anni in campo medico il dolore è stato affrontato nei termini di qualcosa che andava combattuto, eliminato con ogni mezzo, e non mai “offerto” per qualcosa o per qualcuno. Giovanni Paolo II ci ha insegnato cosa significa “offrire” il dolore. Ne parlavo proprio nei giorni scorsi con una collega – paziente: lei provava una sofferenza fisica difficile da lenire e mi ha detto che offrendo il suo dolore provava sollievo. Il dolore nella cultura medica è stato demonizzato, mentre invece va riscoperto e compreso». Annamaria si sofferma anche sulla dimensione psicologica della sofferenza e osserva: «mi ha colpito molto la sua vita prima dell’inizio del pontificato, in Polonia, la resistenza, il coraggio che ha infuso ai giovani, ed anche come lui è riuscito a superare i lutti che lo hanno colpito in così giovane età con la preghiera».

Don Leo, è un giovane sacerdote che viene dalla Diocesi di Chieti-Vasto: «con i giovani abbiamo fatto un percorso di preparazione a questo momento per comprendere che la Chiesa è sempre giovane perché si rinnova e che la santità non è una meta irraggiungibile ma è alla portata di tutti». E sul suo vissuto personale aggiunge: «A Giovanni Paolo II sono molto legato, di lui ricordo che a stargli vicino ci si rendeva conto che sprigionava una luce che parlava di santità; da lui che ha istituto le Giornate Mondiali della Gioventù, ho imparato una Chiesa che non ha paura di stare con i giovani, che è sempre in cammino contro ogni nostalgia tradizionalista, una Chiesa che è in dialogo con l’uomo contemporaneo, una Chiesa per il mondo, non una Chiesa chiusa in se stessa che si difende dal mondo».

Infine, Facundo, argentino di Buenos Aires, che ci confida l’amarezza per non aver preso parte alla Beatificazione di Karol Wojtyla, ma anche la gioia immensa quando ha capito che avrebbe potuto raggiungere l’Italia per la canonizzazione, e salutare di nuovo da vicino il “suo Bergoglio”. Entusiasta racconta: «Giovanni Paolo II ha segnato molto il cammino della mia vita, attraverso le giornate mondiali e gli altri incontri con i giovani. Sono stato mercoledì scorso a seguire l’udienza di Papa Francesco e un gruppo di giovani spagnoli cantava una canzone a Giovanni Paolo II: il mio cuore si scioglieva per l’emozione. Credo che il messaggio più forte che Papa Wojtyla ha lasciato, e che oggi ci propone anche Bergoglio, è l’invito a mettere Dio al centro della nostra vita, ed è ciò che più fortemente mi colpisce. E poi il messaggio della Divina Misericordia, che accomuna i due Papi».

E mentre Facundo continua il suo racconto, pian piano il chiasso crescente si spegne, il piazzale si svuota e la chiesa a due passi da San Pietro si fa colma di pellegrini in preghiera. Sale un canto leggero, il clamore lascia spazio al silenzio. Comincia la veglia. Ma questa è un’altra storia.