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INTERVISTA A CONTRI

«Virologi in tv, dichiarate i vostri conflitti di interesse»

«Inaccettabile la Berlinguer che mi dà del rimbambito, ho fatto informazione scientifica ai medici per 30 anni e sono orgoglioso di aver diffuso il Rocefin». Alberto Contri alla Bussola dopo lo scontro a Carta Bianca: «Per far conoscere una medicina il marketing è indispensabile, ma so di cosa parlo se dico che i medici hanno informazioni sui prodotti solo dalle case farmaceutiche». Contro i virostar: «Sono propagandisti: dovrebbero dichiarare in tv i loro conflitti di interesse»; Talk show: «Non interessa l'informazione: vogliono un gladiatore da far sbranare ai leoni per far vincere i noti virologi».

Attualità 20_12_2021

«Il giochino è semplice: chiamano in tv il gladiatore e poi gli scatenano contro sei leoni ruggenti in modo che il vincitore sia sempre il virologo di fama che ormai fa un altro mestiere, ma tace sui suoi conflitti di interesse».

Alberto Contri, docente di comunicazione sociale, già presidente di Pubblicità Progresso, membro del Cda Rai e per 30 anni nel campo dell’informazione scientifica rivolta alla classe medica è reduce dall’ultimo scontro che ha fatto il giro del web: lui che lascia lo studio di Carta Bianca mentre Andrea Scanzi lo insulta, ma nel suo carnet televisivo in questi ultimi mesi ci sono altri “incontri sul ring” con i virologi Galli, Pregliasco, Bassetti e molti altri.

«Li chiamano talk show per un motivo - spiega in questa intervista alla Bussola - perché sono uno show, il loro obiettivo non è informare, ma catturare l’attenzione parziale, come la chiamava McLuhan: leggiamo un titolo, guardiamo un grafico e pensiamo di sapere già tutto».

Anche l’altra sera a Carta Bianca?
Sa che cosa mi ha ferito di più?

Gli attacchi?
Ma no, cosa vuole… sono nella comunicazione da 55 anni ne ho viste di tutti i colori, non mi stupisco di nulla, neanche del trattamento di Rai Tre che è rimasta quella che è sempre stata: una rete con la superiorità morale dei comunisti. Mi ha ferito che mi abbiano dato del rimbambito.

Scanzi gliel’ha detto a brutto grugno…
Ma anche Bianca Berlinguer non è stata da meno.

Quando le ha detto che stava uscendo dalla parte sbagliata?
Uscivo da dove ero entrato. Mi avevano fatto entrare dal videowall e da lì mi sembrava normale uscire, che bisogno c’era di trattarmi così?

Quindi lei non si sente rimbambito?
No, ma fa gioco a questo agone dell’informazione creare fazioni da denigrare. Trovo vergognosa questa continua aggressione verso chi non si vuole vaccinare. Anche tra i no vax ci sono frange organizzate che puntano ai disordini, ma quello che avviene negli studi televisivi è altro.

Che cos’è?
È un’informazione che parte dalle case farmaceutiche per arrivare ai medici. È l’unica informazione disponibile, ma è normale che sia così, soprattutto durante una sperimentazione di un farmaco.

Parola di esperto della comunicazione medica?
Le case farmaceutiche sono le uniche che possono investire cifre enormi sulla comunicazione dei loro prodotti. Sono stato in quell’ambiente 30 anni e conosco le dinamiche che stanno dietro la comunicazione sui farmaci.

Parliamone, cominciamo da lei…
Dal ‘72 al ‘93 sono stato in una multinazionale leader nel settore della comunicazione specializzata verso i medici, la Medicus Intercon International. Tra i medici e le case farmaceutiche c’eravamo noi che preparavamo tutte le piattaforme informative, avvalendoci della consulenza di specialisti di altissimo livello.

Marketing o informazione istituzionale?
Entrambi, ma nel senso positivo del termine. Vede, quando mi dicono che sputo nel piatto dove mangio, dicono una falsità: i farmaci hanno bisogno di essere conosciuti. Ricordo quando sono usciti i farmaci inibitori della pompa protonica: prima la gente andava all’ospedale per l’ulcera. Far conoscere un farmaco a un medico è un’operazione di marketing indispensabile per salvare vite e che coinvolge tanti soggetti.

Con o contro Big Pharma?
Non è questo il punto: il punto è che si sappia qual è il ruolo di ognuno.

Ad esempio?
In tv ho rimproverano a Bassetti di fare propaganda, si è arrabbiato.

Ci credo.
Ma il fatto è che il medico non deve essere tifoso. Un farmaco ha bisogno di studi e di investimenti colossali. Per trovare una molecola che funzioni, la ricerca scientifica esamina 10mila molecole, poi entra in commercio. Normale che ritornino in termini di guadagno molti quattrini, molti più di quelli spesi per cercarla. Ma un consulente non dovrebbe mai farsi propagandista.

E secondo lei con la pandemia ce ne sono?
In televisione ce ne sono parecchi: io ho sfidato tanti medici che sono molto in vista in tv a scoprire le carte dichiarando i propri conflitti di interesse.

Con i vaccini?
Ma scusi: se un medico è nel board di una casa farmaceutica e questa è impegnata nella produzione di un vaccino, ha il dovere morale di chiarirlo prima ancora di prendere il microfono. Le case hanno bisogno di professionisti che siano bravi a spiegare concetti difficili con parole semplici. Anche questo fa parte dell’arruolamento.

Arruolamento?
Ma certo, ho lavorato con Ferdinando Aiuti, il celebre immunologo pioniere della lotta all’Aids. Voleva lavorare solo con noi perché eravamo capaci di fare questo lavoro di semplificazione. Lavorando fianco a fianco con queste grandi aziende ero partecipe del loro marketing, del loro modo di fare lobby, di lavorare col Ministero per avere il prezzo dei farmaci.

Quindi l’aspetto economico è decisivo?
Non dico questo, ma ci vuole un bilanciamento etico tra ricerca e business. Uno dei lavori a cui ho partecipato di cui sono più orgoglioso è stata l’immissione in commercio del Rocefin, il potente antibiotico. Da quando è entrato in commercio ha salvato milioni di vite; quello che voglio dire è che ci deve essere chiarezza assoluta tra le ragioni del business e quelle della salute, per interesse anche delle stesse case farmaceutiche.

Il business però è abbastanza chiaro…
Purtroppo nelle case non ci sono più i grandi fondatori, penso agli Abbott, ai La Roche, ai Lilly, ormai ci sono le terze e quarte generazioni alla guida, sono diventate multinazionali e sono entrati dei fondi milionari che sono ormai i padroni in Cda.

I fondi come quello di Bill Gates, guarda caso molto impegnato nello sviluppo dei vaccini a MRna?
Esatto, allora non siamo ipocriti. I fondatori delle case farmaceutiche avevano interesse a mantenere in equilibrio il dovere della ricerca con il diritto del guadagno. Oggi la preoccupazione rischia di essere la trimestrale.

Lei però non è medico...
Gran parte dei medici che vanno in tv oggi a parlare di Covid, i Sileri, i Burioni etc... hanno studiato su schede informative di prodotti preparate da noi. Potrei avere sette specializzazioni in Medicina (sorride).

Vi è mai capitato di dover avviare una campagna informativa di un farmaco sperimentale?
No, quando entravamo in campo noi, le sperimentazioni erano tutte già avvenute, restava soltanto la fase post marketing, che era indispensabile per non dover ritirare farmaci dal commercio, come pure è successo.

Su questo si inserisce il tema delle reazioni avverse…
Argomento proibito, che invece andrebbe affrontato con una comunicazione diversa, più seria. Di questo molti medici sono responsabili, anche perché purtroppo le uniche informazioni che hanno provengono dalle Case.

Ci sono le riviste scientifiche che fanno da argine…
Non per deluderla, ma anche qui bisogna usare un po’ di razionalità. Un tempo erano le cattedrali della scienza, erano davvero indipendenti, ma anche lì è arrivato di mezzo il dio denaro. Un trial su mille pazienti è molto costoso, le Case hanno i soldi per finanziarlo e figurare tra i grant, i patrocinatori. Ricordo quando la direttrice del New England Journal of Medicine andò in pensione: disse che gran parte dell’informazione scientifica è sponsorizzata.

Torniamo ai medici in tv. Crede che siano tutti competenti di quello di cui parlano?
No, e questo è un altro problema che si ricollega alla parzializzazione dell’informazione. Anche la medicina è parziale, oggi va di moda lo specialista che guarda solo i due centimetri che gli interessano e non riesce a guardare il paziente nella sua complessità. Con tutto il rispetto, ma al Ministero mandano sempre avanti Sileri perché è medico, ma è un proctologo: che cosa ne sa di virus?