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IL LATINO SERVE A TUTTI/XXXV

Virgilio, testimone del rinnovamento romano

I versi della IV egloga virgiliana si fanno promotori dell’aspirazione ad un cambiamento radicale di un mondo percepito ormai come vecchio, superato, decaduto o corrotto. Il Medioevo cristiano, che non censurerà l’arte classica, la rileggerà, la riproporrà e la reinterpreterà cogliendo nelle opere del passato i semi di verità presenti. 

Cultura 25_11_2018

Composte tra il 42 a. C. e il 39 a. C., le Bucoliche (o carmi pastorali) sono dieci egloghe in esametri. Negli anni in cui vengono scritte, la Repubblica romana sta attraversando un periodo difficile. A Filippi nel 42 a. C. gli assassini di Cesare (Bruto e Cassio) sono stati sconfitti, i triumviri procedono alla confisca di terre in area padana per distribuirle ai soldati fedeli che hanno combattuto in quegli anni dalla loro parte. Il dolore per la perdita delle terre da parte dei proprietari attraversa i versi delle egloghe.

I canti dei pastori sono ambientati in un’Arcadia idealizzata che in Virgilio non è mai luogo di evasione dalla realtà e di censura del dolore, ma è un ambiente in cui sono proiettate le tensioni, le tristezze e le contraddizioni della realtà. L’auspicio di una nuova epoca, di una stagione dominata dalla pace e dal ritorno all’età dell’oro pervade la quarta egloga. Eccone l’esordio:

Sicelides Musae, paulo maiora canamus;
non omnis arbusta iuvant humilesque myricae:
si canimus silvas, silve sint consule dignae.
Ultima Cumaei venit iam carminis aetas;
magnus ab integro saeclorum nascitur ordo.
Iam redit et Virgo, redeunt Saturnia regna;
iam nova progenies caelo demittitur alto.
Tu modo nascenti puero, quo ferrea primum
desinet ac toto surget gens aurea mundo,
casta, fave, Lucina: tuus iam regnat Apollo.

In traduzione leggiamo:

Oh Muse sicule, alziamo un poco il tono del canto:
non a tutti piacciono gli arbusti e le umili tamerici;
se cantiamo le selve, le selve siano degne di un console.
È arrivata l'ultima età dell’oracolo cumano:
il grande ordine dei secoli nasce di nuovo.
E già ritorna la vergine, ritornano i regni di Saturno,
già la nuova progenie discende dall'alto del cielo.
Tu, o casta Lucina, proteggi il fanciullo che sta per nascere,
con cui finirà la generazione del ferro e in tutto il mondo
sorgerà quella dell'oro: già regna il tuo Apollo.

Nella IV egloga Virgilio alza il tono e il registro dei versi rispetto alle bucoliche precedenti. «Paulo maiora canamus» è divenuta espressione proverbiale per indicare il passaggio da argomenti frivoli ad altri più seri. «Non omnis arbusta iuvant humilesque myricae»: «Non a tutti piacciono gli arbusti e le umili tamerici». Le tamerici sono dei cespugli bassi, piante certamente non ornamentali o dal fusto alto, simbolo di argomenti e temi più semplici e quotidiani.

I versi della IV egloga virgiliana si fanno promotori dell’aspirazione ad un cambiamento radicale di un mondo percepito ormai come vecchio, superato, decaduto o corrotto. Il poeta auspica una palingenesi in modo che, terminato il primo ciclo cosmico, possa iniziare di nuovo la mitica età dell’oro. Fautore del nuovo ordine sarà un bambino che sta per nascere, un puer che porterà il mondo ad un’età felice e giusta.

Nei secoli verranno offerte molteplici interpretazioni del puer, identificato come il figlio di Asinio Pollione (console nel 40 a. C. e amico di Virgilio) o di Augusto o ancora come il simbolo di una nuova generazione futura.

Il Medioevo cristiano, che non censurerà l’arte classica, ma la rileggerà, la riproporrà e la reinterpreterà cogliendo nelle opere del passato i semi di verità ivi presenti (ovvero i semi del Logos per usare un’immagine del filosofo cristiano Giustino), vedrà nel puer il Messia, Gesù Cristo. Sappiamo oggi che questa lettura medioevale è erronea.

Virgilio nel Medioevo viene percepito come un profeta, proprio perché si crede che il poeta abbia anticipato l’avvento di Cristo con la IV egloga. Per la stessa ragione nel Purgatorio dantesco Stazio racconta di essersi convertito grazie alla quarta egloga laddove Virgilio esclama:

[…] Secol si rinova;
torna giustizia e primo tempo umano,
e progenïe scende da ciel nova.

Incontrando i cristiani, l’autore della Tebaide vede che i loro comportamenti sono consonanti con quelli descritti dal poeta mantovano nell’egloga. I seguaci di Cristo si presentano come la nuova discendenza discesa dal Cielo, l’uomo nuovo profetato da Virgilio. Durante le persecuzioni dell’Imperatore Domiziano, profondamente addolorato, Stazio cercò di aiutarli. In vita, però, per accidia non manifestò mai apertamente la sua conversione. Questo almeno è quanto ci racconta Dante nella sua finzione letteraria. Dal punto di vista storico non compare, invece, alcuna testimonianza che comprovi questa versione. A Virgilio Stazio attesta tutta la sua gratitudine tanto da confessargli: «Per te poeta fui, per te cristiano». Virgilio è il vero maestro che indica la verità e la bellezza da seguire. Ha avuto la funzione del lampadoforo

[…] che va di notte,
che porta il lume dietro e sé non giova,
ma dopo sé fa le persone dotte.

La fortuna della IV egloga virgiliana arriva fino ad oggi. Una delle più importanti raccolte della contemporaneità, Myricae di Pascoli, presenta come frase incipitaria «Arbusta iuvant humilesque myricae» cioè «a noi piacciono gli arbusti e le umili tamerici». Pascoli eleva le tamerici a simbolo della poesia semplice, quotidiana, campestre che vuole proporre al lettore. Il verso virgiliano sottolinea proprio la particolarità della poesia di Pascoli, che non ha paura di nascere in contrapposizione a grandi poeti che cercano l’ispirazione solo tra argomenti elevati o importanti, quelli che Montale avrebbe chiamato anni più tardi i poeti laureati.

La seconda raccolta di Pascoli Primi poemetti (1897-1904) sarà introdotta dal verso «Paulo maiora» («argomenti un po’ più alti»). Caratterizzati dall’uso della terzina dantesca e dalla presenza forte della poetica della memoria, i poemetti affrontano temi più elevati rispetto alla prima raccolta.

Una volta ancora comprendiamo come la conoscenza del latino e delle opere latine sia fondamentale anche per un’adeguata comprensione della letteratura italiana.