Viktor Orban vince contro i luoghi comuni
Vittoria a valanga del centrodestra nelle elezioni politiche. La sinistra lo giudica un "dittatore" e la destra lo venera per una politica economica che non ha mai fatto. Ma Orban è soprattutto l'esempio di chi sta in Europa non rinunciando alla propria identità.
In Ungheria, le elezioni hanno prodotto il risultato previsto da tempo. Il partito conservatore Fidesz di Viktor Orban ha vinto con il 44,4% dei voti e, grazie al premio di maggioranza, ha già ottenuto la maggioranza qualificata (2/3 dei seggi del parlamento) con cui potrà completare il suo percorso riformatore senza incontrare alcun serio ostacolo dall’opposizione. È andata molto male alla sinistra, riunita in un cartello di partiti chiamato Unione che riunisce socialisti, post-comunisti, democratici e liberaldemocratici: in tutto ha totalizzato un magro 25,9% dei consensi. La destra estrema di Jobbik cresce, ma non sfonda, ottenendo il 20,5% dei voti. Mirava a diventare la seconda forza del Paese, invece si deve accontentare del terzo posto. La sua crescita rapida, dal 16% al superamento della soglia psicologica del 20%, è stata comunque sufficiente per allarmare tutti i media europei.
È difficile trovare un’analisi seria e non ideologica sull’Ungheria, l’unico Stato dell’ex Patto di Varsavia che suscita emozioni forti sia a destra che a sinistra. Sull’operato di Orban si sono accumulate una serie di leggende, sia positive che negative. La leggenda nera vuole che abbia riscritto una Costituzione autoritaria. Non è proprio così, come avevamo già scritto un anno fa su questo giornale. La Costituzione votata da Fidesz tiene a sottolineare nel preambolo le radici cristiane della nazione ungherese, definisce il matrimonio come l’unione di un uomo e di una donna, ma non nega né la libertà di culto, né quella degli omosessuali. Non vi si trova traccia alcuna di discriminazioni nei confronti delle altre etnie, a meno che non si voglia interpretare in senso estremamente restrittivo il principio di patria degli ungheresi e l’articolo D della carta costituzionale secondo cui lo Stato si impegna a prendersi cura anche “del destino degli ungheresi che vivono al di fuori dei confini nazionali”. Non c’è, insomma, alcuna dittatura in arrivo.
Nel frattempo, però, nell’Italia in crisi è sorta una mitologia di segno opposto, una venerazione populista di Orban, il leader che, secondo alcuni, avrebbe “preso l’Europa dei banchieri a calci nel sedere” e “respinto i diktat dell’Fmi” di cui era debitore e “ripreso la sovranità valutaria” per stampare autonomamente la moneta necessaria. Questi miti sono altrettanto finti. Prima di tutto, non è affatto vero che Orban abbia “preso l’Europa a calci nel sedere”, tanto è vero che nella sua stessa Costituzione, quella contestata dagli europeisti di sinistra, leggiamo chiaro e tondo che: “L’Ungheria concorre alla realizzazione dell’unità europea in vista del completamento della libertà, del benessere e della sicurezza dei popoli europei” (articolo E 1). Il partito Fidesz è regolarmente accettato nel Partito Popolare Europeo, lo stesso di Angela Merkel e di Angelino Alfano e concorre alle sue stesse politiche centriste e democristiane in sede europea. Quanto all’austerity, fu lo stesso Orban a introdurre, ben prima dell’Italia (e senza la pressione dell’Ue) il principio del pareggio di bilancio, che entrerà in vigore nel 2016. A prescindere dalla retorica elettorale anti-europeista, insomma, Orban è un degno rappresentante dei governi dell’Ue e non si discosta troppo dalle loro politiche.
Ha mai preso a “calci” l’Fmi? No. Non prima di aver pagato, in anticipo, tutti i debiti che il governo precedente aveva contratto con il Fondo Monetario Internazionale. Entro l’agosto del 2013 ha pagato all’Fmi 1,7miliardi di dollari Usa, 570 milioni di euro e 255 milioni di sterline britanniche, estinguendo il debito. I populisti nostrani che, come Grillo, pensano di poter “non pagare il debito” non possono prendere ad esempio il premier ungherese.
Quanto alla retorica della “sovranità valutaria”, essa è vera solo in parte. Contravvenendo alle direttive della Bce, il premier conservatore ha infatti ripreso il controllo della Banca Centrale. In questo ha spezzato il principio della separazione della banca dal governo. Ma, contrariamente a quel che propongono i “sovranisti” italiani, che vorrebbero riprendere il controllo politico di Bankitalia per stampare più moneta e promuovere una politica di svalutazione competitiva, la banca centrale ungherese ha finora mantenuto una linea restrittiva e anti-inflazionistica, come se il Paese fosse già nell’eurozona. L’inflazione ungherese è infatti ancora ai minimi storici, mantenendosi attorno al 2%. Nessuna svalutazione competitiva, dunque. Se l’economia ungherese mostra una ripresa da quest’anno, lo deve al fatto che sta rimettendo i suoi conti in ordine, dunque. Non perché ha inventato fantasiose formule di moltiplicazione della moneta o di azzeramento dei debiti. Ed è grazie alla ripresa economica (e ai conti in ordine che l’hanno permessa) che Fidesz ha vinto di nuovo le elezioni.
Viene spesso portata ad esempio anche la partnership di Viktor Orban con la Russia di Vladimir Putin, come segno che un’alternativa a Nato e Ue sia possibile. Ma anche questa percezione non è corretta. L’Ungheria, infatti, ha una partnership energetica con la Russia, ma è e resta membro della Nato e dell’Ue. Un membro importante, considerando che proprio Orban (dissidente ai tempi del comunismo, insignito della Medaglia alla Libertà dal prestigioso American Enterprise Institute) fu uno dei primi promotori di un’idea di “nuova Europa”, ancor più vicina all’alleanza con gli Usa rispetto ai membri fondatori occidentali della Nato.
La vittoria di Orban, dunque, non è un segno di rottura con l’Ue, tantomeno con la Nato e neppure con il modello economico dell’eurozona. Il premier conservatore tiene a conservare l’identità nazionale e cristiana del suo Paese, ma non intende affatto rompere con Bruxelles, né sovvertirne le politiche. L’elemento di rottura vero (e quello sì realmente pericoloso per il suo estremismo) è semmai Jobbik, un partito dichiaratamente razzista contro rom ed ebrei, contrario alla Nato e all’Ue, nemico del mondo occidentale in senso lato, tanto da aver trovato, negli anni scorsi, una sponda nell’Iran di Khamenei. Jobbik, con il suo 20,6% è una minaccia latente. La sinistra ungherese, certamente, non è un’alternativa. Solo Fidesz è la diga che lo può contenere, da destra, assorbendo parte di un elettorato nazionalista, ma non così estremista da votare un partito che ricorda da vicino il nazismo. D’ora in avanti sarà proprio il “ribelle” premier conservatore l’unico elemento di stabilità in Ungheria. L’Ue lo dovrà rispettare.