Vespucci, l’uomo che scoprì la scoperta dell’America
Il capitano coraggioso e forse
un po' fanfarone che sta al cuore della saga dell’Occidente. Ovvero come e quando l’Europa, "continente di cultura
e di fede", si fece missionaria con quel che aveva
a disposizione.
Mezzo millennio fa esatto, il 22 febbraio 1512, moriva Amerigo Vespucci.
Era nato a Firenze il 18 marzo 1454, figlio di notaio e di nobildonna, ma nel 1489, su incarico di Lorenzo di Pierfrancesco de’ Medici, detto il Popolano (1463-1503), banchiere, cugino del più famoso Lorenzo de’ Medici, detto il Magnifico (1449-1492), si trasferì nelle Spagne non ancora del tutto liberate dai mori. A Siviglia, nell’estrema punta delle Penisola iberica, restandovi fino alla morte. Lì, del resto, ancora oggi pare di passeggiare in un pezzo di mondo di altri tempi. Se a volte gli stili architettonici arabo-musulmano e visigoto-cristiano sembrano stemperarsi vicendevolmente, più spesso si resta affascinanti da quell’unicum mondiale costituito dallo stile mozarabico, che rappresenta in modo mirabile la visualizzazione fattuale della Reconquista (718-1492), cioè quel cristianesimo europeo (iberico) che torna a "scalare" dall’interno le piazzeforti degli usurpatori, lentamente ma inesorabilmente restaurando.
L’Europa - l’Europa cristiana - ha del resto avuto per la prima volta vera consapevolezza di sé, secoli e secoli prima, proprio nel cuore di quello stesso scontro. Il monaco lusitano - guarda un po’… - Isidoro Pacensis adoperò il termine «europei» per indicare i soldati che, sotto la guida di Carlo detto Martello o anche Marcello (685 ca.-741), Maggiordomo di Palazzo di Neustria e Austrasia alla corte dei re merovingi, sconfissero le orde musulmane che avevano passato il mare, avevano pervaso l’Iberia ed erano salite oltre i Pirenei penetrando fino nel cuore della Francia. Era la famosa e fondamentale battaglia di Poitiers del 732; uno scontro che se gli «europei» del monaco Isidoro avessero perso, «oggi forse nelle scuole di Oxford si spiegherebbe il Corano - scrisse con parole notissime lo storico britannico Edward Gibbon (1737-1794) -, e dall’alto delle sue cattedre si dimostrerebbe a un popolo circonciso la santità e la verità della rivelazione di Maometto». Aggiungendo, lui che era piuttosto allergico alla fede: «Fa meraviglia che il clero, debitore della sua esistenza a Carlo Martello, non abbia canonizzato o per lo meno lodato al cielo il salvatore del cristianesimo».
In realtà, era la seconda volta che il termine "Europa", dopo i greci precristiani, compariva nel linguaggio cristiano con consapevolezza, la prima essendo stata la sua comparsa in una lettera indirizzata a Papa san Gregorio I detto Magno (540 ca.-604) da san Colombano (542 ca.-615). Ma gli è che è proprio il monaco Isidoro usa coscientemente l’aggettivo sostantivato «europei» per evidenziare un’identità comune agli uomini in arme che fermano gli invasori di una religione e di una cultura diverse dalla loro e alla loro avversa. Quel che costituisce gli «europei» di Isidoro - e che per ciò li rende identificabili con un tratto comune determinante pur nella diversificazione delle loro appartenenze etniche, delle loro lingue e dei loro costumi - è, davvero e coscientemente, il cristianesimo.
IL FIORENTINO E IL GENOVESE
Ed è esattamente qui che entrano in gioco, in tutta la loro magnitudine, personaggi come Vespucci e come il suo grande e incosapevole predecessore, l’uomo senza il quale lo stesso Vespucci e gli altri colleghi suoi del tempo suo non sarebbero mai stati, l’uomo a cui si deve tutto, davvero tutto, di questa meravigliosa avventura umana: Cristoforo Colombo (1451-1506).
I due si conobbero appunto a Siviglia, là dove l’Europa sfiora l’Africa destando la nostalgia di un passato in cui il Mediterraneo era mare nostrum e le sue sponde un grande abbraccio di civiltà romana, poi cristiana, cioè romano-cristiana. Tutto s’interruppe allorché la spada dell’islam lo tagliò inesorabilmente in due metà contrapposte, innescando per ciò stesso la Reconquista, una "cristiada", una Crociata. La quale è stata anzitutto riconquista di sé, quindi di un territorio, che solo una volta compiuta ebbe la forza, le ragioni e la passione per farsi pure missionaria. Le grandi navigazioni verso l’incognitum, appunto, dietro gli unici lumi disponibili: la storia e la fede.
Nel tempo in cui il secolo XV trascolorava nel XVI, l’Europa si allargò abbracciando un nuovo mare, che sarebbe poi divenuto il nuovo mare nostrum, il mare Oceano, l’Atlantico, agganciando una terra mai vista prima e dalla quale poi si sarebbe spinta ancora oltre, per nuove scoperte e verso altre conquiste, ritrovandosi in fine a casa da oriente per rendere così mondiale l’originario abbraccio mediterraneo. Oggi di dice globale.
Ora, uno i mezzi di trasporto non se li sceglie; prende quelli che ci sono per andare in un certo luogo, che è quel che unicamente conta, e basta. I mezzi che la fede e la cultura europee ebbero allora a disposizione erano barchette e poi navi sempre maggiori, governate da ciurme e capitanate da guide che erano figli di quel tempo, ovvio, come sempre. Colombo, per esempio, non fu affatto un santo, ma nemmeno quel criminale che dal Quinto Centenario del Descubrimiento ci raccontano forzando e falsando. Fu un buon cristiano, quindi pure un discreto peccatore. Ma lui l’oro d’Oriente lo bramava perché sognava di armare una nuova, suprema crociata per liberare la Terrasanta e riaprire la via del Medioriente sbarrata da troppo tempo da quei musulmani che impedivano a mercanti e missionari di raggiungere il Catai lungo la via tracciata da Marco Polo (1254-1324) a partire da Venezia.
Colombo giunse in America e pensò di essere a Cipango. Quando riportò la notizia a casa, l’Europa festeggiò. Quell’Oriente era però diverso anche da come ce lo si immaginava attraverso Il Milione e altri racconti favolosi. L’ammiraglio genovese vi era arrivato con dei marinai dotati di qualche arma, con i vessilli dei reyes católicos, con i missionari. La scena - con altre, la maggior parte a soggetto religioso poiché così andò la storia - l’ammirano quotidianamente migliaia di visitatori e centinaia di uomini politici eletti quando entrano nella rotunda del Campidoglio dove a Washington si scrivono e si approvano le leggi.
ROTTA A MERIGGIO
Qualche anno dopo l’incontro tra Colombo e Vespucci (chissà cosa si dissero i due sulla piazza della bella Siviglia, chissà cosa Cristoforo raccontò ad Amerigo, chissà quali appunti il fiorentino prese dalle labbra del genovese...), la Spagna riconquistò tutta se stessa e tutto il proprio territorio. La liberazione di Granada il 2 gennaio 1492 fu l’avvio al Mondo Nuovo. Un’identità forte è un’identità che sa accogliere e che quindi può dare. Missionaria. In quel momento, quella dei sovrani iberici - europei e cristiani - lo era, e per questo essi decisero di finanziare - anche contraccambiando la fiducia che l’Altissimo aveva riposto da tempo in loro - l’impresa "folle" di Colombo. Che però, aveva ragione l’Inquisizione, sarebbe annegato se provvidenzialmente in quel tratto di mare enorme - che il genovese, sbagliando, aveva stimato più corto - non ci fosse stata una boa di salvataggio: l’America.
Colombo la scoprì senza averne né l’aria né l’idea. È stato Vespucci l’uomo che scoprì che era stata scoperta. Il fiorentino che aveva conversato a lungo con il genovese s’imbarcò nel 1499 al seguito del navigatore spagnolo Alonso de Hojeda (1268-1515), incaricato dalla Corona spagnola di approfondire quegli strani viaggi appena effettuati da Colombo. Presero a meriggio, e fu così che Vespucci fece carriera esplorando le coste orientali di quell’America del Sud o Latina che però, alla scuola del filosofo argentino Alberto Caturelli, è meglio imparare a chiamare Iberoamerica.
Laggiù cominciò a farsi strada nella sua mente perspicace e curiosa l’idea che forse forse Colombo aveva scoperto un che di inedito. E coniò quell’espressione che oramai usiamo tutti (a proposito e a volte no): «Mondo Nuovo». È qui che nasce l’annosa controversia.
Qualcuno dice infatti che Vespucci abbia esagerato il numero dei viaggi davvero compiuti a quelle latitudini. Altri che il fiorentino giunse a quei lidi prima di quando ci andò con De Hojeda. E alcuni dicono che le famose lettere in cui mostra di avere compreso che quello a cui Colombo giunse per primo era un continente nuovo abbiano attinto troppo, e troppo rielaborato, da esplorazioni di altri. Insomma, la figura e l’opera di Vespucci sono in parte ancora avvolte in quelle brume che sono di rigore in avventure tanto ai confini del mondo in tempi così pionieristici. Del resto, il nostro mondo va così. Ancora prima che Wikipedia fosse, e il plagio divenisse la cultura popolare dell’era dei social network, Charles Darwin (1809-1882) prese "a prestito" da ben altri, Alfred Russel Wallace (1823-1913), il perno centrale di tutto il suo fantasioso costrutto evoluzionistico, vale a dire il concetto di "selezione naturale".
LA CARTA DEL MONDO
Fu poi davvero Vespucci a mettere per primo piede sulla terraferma americana, nel momento stesso in cui un altro esploratore, Giovanni Caboto (1450/1451-1498), genovese, sbarcava sull’isola di Cape Breton, in Nuova Scozia, nel grande nord del continente, il 24 giugno 1497? La controversia prosegue, ma il mondo ha imparato a vivere comunque. E l’America a prendere nome dal navigatore fiorentino.
Andò così. In quel di Saint-Dié-des-Vosges, in Lorena, il canonico Vautrin Lud (1448-1527) era al centro di un circolo di eruditi con la passione della cartografia e dei viaggi di scoperta. Lud si convinse che una riedizione aggiornata della stranota Geographia di Claudio Tolomeo (100ca.-175ca.) fosse oramai necessaria, viste le nuove recenti acquisizioni.
Ne nacque così la Cosmographia Introductio, che venne accompagnata da una mappa del mondo conosciuto, Universalis cosmographia secundum Ptholomaei traditionem et Americi Vespucii aliorumque lustrationes. Era il 1507. A disegnare la mappa fu un cartografo tedesco, Martin Waldseemüller (1470-1521), che per incarico del duca Renato II (1451-1508) stava già lavorando a un mappamondo. Waldseemüller aveva letto almeno alcune delle famose lettere che il fiorentino aveva inviato al proprio dominus mediceo. Del circolo del canonico Lud e assieme all’amico Waldseemüller operava un altro cartografo con la passione della poesia, l’alsaziano Matthias Ringmann (1482-1511). Fu questi a suggerire a un Waldseemüller già sensibile al tema di adoperare, per la sua l’Universalis Cosmographia, il nome, al femminile, "America" per indicare il continente oramai risaputamente "nuovo" onde rendere omaggio supremo a quel Vespucci che ne aveva dettagliatamente sondato la porzione australe. Quando però, più tardi, si appurò che Vespucci aveva in realtà esplorato solo una parte di quelle terre, e che forse per il resto si era servito diciamo un po’ disinvoltamente delle descrizioni fatte da altri, Waldseemüller fece retromarcia e nelle nuove edizioni della mappa chiamò quelle regioni "Terra Nova". La dizione «America» aveva però sfondato, e rimase per sempre (il toponimo Terranova finì invece dal sud al nord a definire una porzione del Canada, dalle parti dove Caboto approdò lo stesso giorno che Vespucci toccò le rive del sud).
L’autore dell’introduzione alla Cosmographia Introductio, pressoché certamente Ringmann, scrisse della «quarta parte del mondo che Amerigo Vespucci ha scoperto e che per tale ragione noi possiamo chiamare America o Terra di Americo». Il mondo si era allargato, senz’alcuna intenzionalità, ma con molta, oggettiva, provvidenzialità.
Il serial del testa a testa tra Vespucci e Caboto registra pure un’altra puntata, che è bello ricordare. Ci fu un tale doganiere inglese con ascendenze gallesi, Richard ap Meryk (1445ca.-1503), anglicizzato in Richard Amerike o Ameryk, che possedeva la nave Matthew su cui prese il mare Caboto. La tesi secondo cui è a costui che si dovrebbe il nome «America» è astrusa - anche se gode di una certa bibliografia -, ma questa sovrapposizione evocativa di filologie ricorda che la realtà è sempre più affascinante di qualsiasi fantasia.
SOPRA TUTTO LA VERGINE MARIA
L’angolo in alto a sinistra dell’Universalis cosmographia di Waldseemüller afferma che la scoperta di quel continente, ivi per la prima volta chiamato America, è dovuta a Colombo (che non lo sapeva) e a Vespucci (che scoprì la scoperta). Con le loro imprese - continua l’iscrizione - essi compirono la profezia dell’Eneide (VI. 795-7), là dove si vaticina di una terra nell’emisfero australe che un dì propizio sarebbe stata scoperta sotto il Tropico del Capricorno. Era l’ennesimo tassello di una lunga aspirazione "all’America" che ha precedenti "caldi" almeno nella mitica isola nell’Oceano Atlantico chiamata Hy Brazil (o Hy Brasil), descritta da Gaio Plinio Secondo detto il Vecchio (23-dopo il 79) come un arcipelago, «insulae purpuraricae», e che tutti ritennero davvero esistente tanto da disegnarla sulle carte fino a metà del secolo XVIII; nel viaggio che Ulisse compì oltre le Colonne d’Ercole partendosene da Itaca la seconda volta per mai più tornare; e nella Navigatio sancti Brendani composta nel secolo X.
Ma il bello è che quel continente presagito, dice il citato Caturelli, è in verità opera eminente della coscienza cristiana europea. Che ama il reale, che non ne ha terrore anche quando prova paura, che sa vincere l’orrore del nulla perché sa cos’è l’Essere, che per amore incontra simili che non sapeva nemmeno di avere e che scopre le meraviglie messe nel creato dal suo Creatore.
Colombo generò l’Occidente ampliando l’Europa, Vespucci diede il nome al suo primo approdo. Pare che, nel 1520, il navigatore portoghese Fernão de Magalhães, noto con l’italianizzazione di Ferdinando Magellano (1480-1521), rincuorò i propri compagni di esplorazioni, affranti dai marosi di una tempesta scatenatasi nello stretto che ora porta il suo nome, squarciando la bufera con il grido: «Fin qui arrivò Amerigo Vespucci, il nostro destino è di andare oltre!». Proprio così. Quel primo pezzo di "Europa missionaria" andrebbe in verità chiamata Colombia, ma non sottilizziamo. In proiezione, la sagoma della mappa del Waldseemüller da cui «nasce l’America» - come hanno dimostrato gli studi di Claudio Piani e Diego Baratono (2003) - si sovrappone perfettamente a quella del manto indossato dalla Madonna misericordiosa dipinta da Domenico Ghirlandaio (1449-1494) nella chiesa di Ognissanti a Firenze per la famiglia Vespucci nel 1475. Basta e avanza.