Vescovi UE: no all’aborto come diritto umano
Risposta chiara ai fautori del "diritto all'aborto" ma argomentata su fondamenti facilmente ribaltabili. Il diritto alla vita non si fonda (solo) sulla prassi europea ma sulla legge naturale.
La commissione etica dei vescovi della Comece, il consiglio episcopale dell Chiese nazionali dei Paesi membri dell’Unione Europea, è intervenuta il 18 luglio scorso a proposito della richiesta di inserire l’aborto tra i diritti umani. Lo ha fatto riproponendo un proprio documento degli inizi del 2022, allora pubblicato in risposta alla proposta del presidente francese Emmanuel Macron riguardante appunto l’inserimento nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea del diritto all’aborto.
La dichiarazione ora riproposta esprimeva in sei motivazioni la propria contrarietà al riconoscimento del diritto all’aborto: 1) andrebbe contro la tradizione umanistica che i Padri fondatori volevano animasse l’Unione; 2) In nessun punto della legislazione internazionale si parla di diritto all’aborto; 3) secondo i trattati europei l’Unione non ha competenza in materia; 4) La Corte europea per i diritti umani non ha mai accolto l’idea di un diritto all’aborto, piuttosto ha sempre parlato del diritto alla vita; 5) La dottrina generale della Corte europea dei diritti dell'uomo è che nelle questioni che coinvolgono più di un diritto umano fondamentale e su cui cittadini ragionevoli e Stati democratici hanno opinioni diverse, lo Stato membro gode di un "ampio margine di apprezzamento" nel modo in cui tali diritti sono bilanciati …. e la grande maggioranza degli Stati ha statuti specifici che impongono requisiti e limiti alla pratica dell'aborto; 6) La modifica della Carta dei diritti fondamentali dell'UE richiederebbe una procedura molto complessa.
Ci si chiede se queste argomentazioni possano essere sufficienti ed efficaci. Come si può notare esse si muovono tutte dentro l’attuale configurazione del diritto internazionale e dell’istituzione dell’Unione Europea e cercano di porre in evidenza delle contraddizioni tra la richiesta di inserire quello all’aborto nell’elenco europeo dei diritti umani e la prassi e la legislazione dell’Unione. È però evidente che tali contraddizioni possono essere facilmente superate dai sostenitori della orrenda proposta. Potrebbero dire che la loro richiesta rientra benissimo nella “tradizione umanistica” dei Padri fondatori; potrebbero argomentare che se in nessun punto della legislazione internazionale si parla di diritto all’aborto bisognerebbe cominciare finalmente a farlo; l’operato della Corte europea per i diritti umani non è un punto di valida certezza in campo etico e legislativo; eppoi la lunghezza della procedura è proprio un non-argomento.
Per dirla in altri termini: nel documento in questione mancano gli argomenti fondamentali, quelli che vengono prima anche della legislazione internazionale, della prassi dell’Unione o della Corte europea sui diritti umani. Mancano i fondamenti di diritto naturale e divino che invece i vescovi dovrebbero sempre riprendere, accanto ad altre considerazioni più giuridiche e politiche. Basare i propri argomenti non sui fondamenti ultimi e assoluti ma su pseudo-fondamenti contingenti e relativi produce ben pochi frutti. La commissione ha ragionato troppo secondo i codici dell’Unione dentro la quale opera, ma di cui non è un elemento funzionale.