Verso una svolta nella crisi siriana?
La vittoriosa offensiva delle forze fedeli a Bashar Assad, appoggiate da milizie libanesi Hezbollah e da pasdaran iraniani, sta determinando frenetiche consultazioni tra Stati Uniti, Russia ed Europa, mentre a Washington si parla ormai apertamente di fornire armi ai ribelli siriani e istituire no-fly zone. Le possibili svolte nel conflitto sembrano dipendere dal fattore tempo.
La vittoriosa offensiva delle forze fedeli a Bashar Assad, appoggiate da milizie libanesi Hezbollah e da pasdaran iraniani, sta determinando frenetiche consultazioni tra Stati Uniti, Russia ed Europa, mentre a Washington si parla ormai apertamente di fornire armi ai ribelli siriani e istituire no-fly zone. Il successo conseguito dai lealisti a Qusayr e le offensive appena iniziate sui fronti di Homs e Aleppo sembrano evidenziare l’incapacità dei ribelli di fronteggiare un nemico contro il quale avevano quasi sempre saputo guadagnare terreno dall’inizio della rivolta sunnita.
Non sono solo gli esperti combattenti libanesi e iraniani (almeno 4 mila i militari di Teheran schierati in Siria secondo indiscrezioni della stampa britannica) a fare la differenza a vantaggio di Damasco, ma soprattutto le recenti forniture militari giunte da Mosca e Teheran ad attribuire enormi vantaggi tattici ai lealisti. I droni “made in Iran” consentono di sorvolare per ore le postazioni dei ribelli individuando una ad una le postazioni che vengono colpite con precisione dall’artiglieria. I radar campali forniti da Mosca permettono alle truppe siriane di localizzare e poi distruggere mortai e lanciarazzi dei ribelli appena questi aprono il fuoco. Anche i nuovi apparati d’intelligence e jamming (disturbo elettronico) russi si stanno rivelando molto utili per intercettare le comunicazioni dei ribelli e disturbarle o interromperle.
In Occidente monta la preoccupazione che Assad possa vincere la guerra sul campo di battaglia approfittando anche delle difficoltà interne al governo turco, uno dei principali sponsor dell’insurrezione criticato dalle opposizioni anche per l’eccessivo coinvolgimento di Ankara nel conflitto siriano. Probabilmente le forze lealiste non riusciranno ad avere il totale sopravvento sugli insorti in tempi rapidi ma certo i successi sul campo permetteranno ad Assad di arrivare a un eventuale negoziato internazionale in posizione di vantaggio. In termini strategici il successo militare di Assad rappresenta una grande vittoria di Mosca che ha avuto buon gioco nel fornire aiuti militari all’alleato mediorientale puntando sui tentennamenti ormai cronici di Barack Obama, da sempre combattuto tra fornire o meno armi ai ribelli con il rischio di aiutare jihadisti e qaedisti sempre più influenti nella compagine degli insorti. Tra l’istituire o meno una no-fly zone per impedire ai jet di Damasco di bombardare i ribelli, tra l’intervenire o meno in questa guerra in seguito all’impiego di armi chimiche da parte del regime.
Il confronto tra Washington e Mosca è sintetizzabile nelle dichiarazioni Ben Rhodes, vice consigliere della Casa Bianca per la sicurezza nazionale e di Valdimir Putin. Per il primo le prove sull'utilizzo di armi chimiche da parte del regime sono “numerose e riguardano diversi episodi'” aggiungendo che “per Bashar al-Assad non c'é nessun futuro in Siria”. Il presidente russo ha ricordato invece in un'intervista ai media israeliani che ''in Siria, l'unica alternativa al regime di Bashar al Assad è il caos ed è importante che il potere non passi nelle mani di radicali estremisti”. La questione dei gas nervini inoltre sembra sempre di più un pretesto reso peraltro quasi ridicolo dal fatto che la Casa Bianca per prima non sembra intenzionata a far rispettare quella “linea rossa” che proprio Obama aveva definito. L’impiego di gas su scala limitata in alcune azioni contro i ribelli denunciato da Londra, Washington e Parigi non è molto plausibile sul piano militare perché utilizzare queste armi in tal modo non porta alcun vantaggio ad Assad.
Secondo l’Onu ci sono evidenze dell’uso di aggressivi chimici in azioni isolate ma anche da parte dei ribelli (questo dovrebbe preoccupare un po’ tutti in Occidente), ma il limitato numero di vittime non giustifica interventi internazionali tesi a impedire uno sterminio di massa che semmai è in atto in Siria (93 mila morti in oltre due anni di guerra secondo l’Onu) con l’impiego di armi convenzionali e da entrambe le parti. Le vittorie militari dei lealisti, celebrate anche dal leader di Hezbollah Hassan Nasrallah, obbligano Washington, Londra e Parigi a correre ai ripari valutando l’invio di armi ai ribelli pur se con prudenza. Indiscrezioni riferiscono di munizioni, armi leggere e anticarro americane in arrivo in Giordania (dove sul confine sono schierati missili antimissile Patriot, centinaia di marines e cacciabombardieri F-16) ma non missili antiaerei per non correre il rischio che vengano utilizzate da terroristi salafiti per abbattere aerei di linea in Occidente. Anche se Rhodes si dice certo che oggi gli USA “hanno la capacità di fare arrivare le armi non solo nel paese ma letteralmente nelle mani delle persone giuste” è evidente che neppure la CIA è in grado poi di prevedere che fine facciano dal momento che l’abbondanza di denaro (per lo più petrodollari del Qatar) nelle tasche dei gruppi islamisti consentirebbe facilmente di acquistare da miliziani “moderati” le moderne armi fornite dagli americani.
Le svolte possibili nel conflitto sembrano dipendere quindi dal fattore tempo. Washington e l’Europa tentennano, preoccupati forse anche per le possibili conseguenze interne di una guerra contro Assad che non sarebbe né facile né indolore. Damasco e i suoi alleati sembrano invece in grado di conseguire in poche settimane vittorie decisive o comunque significative.