Vaccini e sospensioni, la sentenza che impone cautela
Un’operatrice Asa, sospesa a febbraio perché non vaccinata, dovrà essere retribuita per tutta la durata della sospensione. Questa la sentenza del Tribunale di Milano. L’avv. Sandri alla Bussola: «Il giudice ha appurato che il datore di lavoro non ha rispettato l’iter corretto per arrivare, come extrema ratio, alla sospensione».
Un’operatrice Asa (ausiliario socio-assistenziale) lavora in una Rsa. L’operatrice è dipendente di una cooperativa. La lavoratrice non vuole vaccinarsi e allora la cooperativa prevede per lei un collocamento in aspettativa non retribuita dal 9 febbraio fino al 30 aprile di quest’anno, e poi prolungata fino al 31 dicembre.
L’operatrice, a questo punto, trascina in tribunale il datore di lavoro e vince la causa. Infatti il Tribunale del lavoro di Milano, lo scorso 15 settembre, ha condannato “la Cooperativa xxx al pagamento, in favore della ricorrente, delle retribuzioni maturate dalla data di sospensione alla data di effettiva riammissione in servizio o di legittima sospensione della prestazione lavorativa”. Per quale motivo il Tribunale ha dato ragione, su questo aspetto, alla ricorrente? Perché il datore di lavoro non ha rispettato la disciplina normativa del Decreto-legge 1 aprile 2021, n. 44, convertito con modificazioni in Legge 28 maggio 2021, n. 76, che concerne “misure urgenti per il contenimento dell’epidemia da COVID-19”.
Citiamo le parole del giudice Antonio Lombardi che ha redatto la sentenza (qui il testo integrale): “L’inadempimento all’obbligo vaccinale, impone al datore di lavoro di adibire il lavoratore, ove possibile, a mansioni, anche inferiori, diverse da quelle indicate al comma 6, con il trattamento corrispondente alle mansioni esercitate e che, comunque, non implicano rischi di diffusione del contagio da SARS-CoV-2. Sicché, la sospensione del lavoratore senza retribuzione è l’extrema ratio, in quanto vi è un preciso onere del datore di lavoro di verificare l’esistenza in azienda di posizioni lavorative alternative, astrattamente assegnabili al lavoratore, atte a preservare la condizione occupazionale e retributiva, da un lato, e compatibili, dall’altro, con la tutela della salubrità dell’ambiente di lavoro”.
In breve, la cooperativa, prima di sospendere la dipendente, non ha verificato che la stessa potesse essere adibita a mansioni differenti e quindi la sua decisione è illegittima. Dunque, non sarebbe illegittima in punta di diritto una sospensione a danno di un medico o operatore sanitario che non volesse vaccinarsi; lo diventerebbe solo se non fossero state esperite tutte le altre opzioni. Proviamo ora a comprendere meglio la portata di questa sentenza con l’avvocato Mauro Sandri, che ha difeso la donna.
Avvocato Sandri, innanzitutto un chiarimento: iI giudice vi ha dato ragione in merito all’illegittimità della sospensione dal posto di lavoro, ma non ha accettato la vostra richiesta di riammissione in servizio della dipendente. Per quale motivo?
Il giudice ha appurato che il datore di lavoro non ha rispettato l’iter corretto per arrivare, come extrema ratio, alla sospensione. Però non spetta al giudice ordinare una riammissione in diversa mansione, stante il fatto che la dipendente non si è vaccinata: tale reintegro spetta alla discrezionalità del datore di lavoro.
Con l’entrata in vigore il prossimo 15 ottobre del cosiddetto Decreto Green pass, promulgato lo scorso 21 settembre, questa stessa vicenda avrebbe avuto in tribunale un esito differente?
Avrebbe avuto il medesimo esito. Il Decreto Green pass a cui lei fa cenno riguarda altre categorie di lavoratori, non i medici e gli operatori sanitari. A loro si applica la disciplina richiamata in sentenza. Ciò detto, vorrei però aggiungere che i medici e gli operatori sanitari, sotto un certo punto di vista, stanno peggio di altri lavoratori perché hanno l’obbligo vaccinale, senza seconda opzione, ossia senza poter ricorrere al tampone. Su di loro ricade un obbligo secco: o ti vaccini o ti vaccini.
Come giudica il Decreto Green pass del governo?
Una vergogna totale perché è discriminante. Il nostro Green pass è figlio del Green pass europeo e ne amplia la ratio. Quello europeo riguarda i viaggi tra gli Stati, il nostro una molteplicità di attività. Io ho impugnato il Green pass europeo perché ritengo che il suo fondamento scientifico sia non provato. Il Green pass europeo si fonda sull’asserto che i vaccinati non contagino. Io ho contestato questo fondamento e quindi ho presentato un ricorso contro il Parlamento europeo e la Commissione europea. Per combattere efficacemente contro il Green pass italiano occorre risalire alla fonte che lo ha generato, ossia il Green pass europeo. Se cade questo cade quello.