Vaccini ai Paesi poveri. Che poveri non sono
Donare i vaccini ai Paesi poveri, soprattutto africani, è la parola d'ordine del Global Covid-19 Summit. Ma ai Paesi africani milioni di dosi sono già scadute, per carenze dei locali sistemi sanitari e per scarsa volontà degli abitanti di vaccinarsi. E non sono Stati "poveri": sono ricchissimi di risorse naturali, ma le loro ricchezze sono concentrate nelle mani dei loro capi.
A margine della 76esima Assemblea generale delle Nazioni Unite, in corso al Palazzo di Vetro di New York, si è svolto il “Global Covid-19 Summit” durante il quale si è convenuto sulla necessità di una cooperazione globale se si vuole mettere fine alla pandemia. Gli Stati Uniti hanno annunciato che doneranno altri 500 milioni di dosi di vaccino, l’Italia si è impegnata per 45 milioni entro la fine del 2021. Come le precedenti donazioni, confluiranno nella Covax Facility, il programma grazie al quale i Paesi ricchi donano dosi di vaccini o contributi finanziari per acquistarli alle nazioni più povere. L’intenzione è di distribuire più di due miliardi di dosi privilegiando 92 Stati a reddito basso e medio basso, in gran parte africani. Il primo ministro italiano Mario Draghi ha annunciato che al G20 in programma a fine ottobre a Roma si parlerà anche di come superare le disuguaglianze notevoli ancora esistenti nella distribuzione dei vaccini. Il premier ha detto di approvare la proposta degli Stati Uniti di creare un fondo finanziario ad hoc e ha annunciato che al G20 si discuterà della creazione di un Global Health and Finance Board che “potenzierà la cooperazione globale nella governance e nel finanziamento per la risposta e la prevenzione alle pandemie”.
“Bisogna essere pronti a essere più generosi”, ha giustamente detto il primo ministro Draghi, perché a rispondere generosamente saranno di certo soprattutto i Paesi che già forniscono, tra quote fisse e ulteriori donazioni volontarie, la maggior parte dei fondi di cui dispongono l’Organizzazione mondiale della sanità e le altre agenzie umanitarie dell’Onu. Per il biennio 2018-2019 i contributi più consistenti all’Oms sono stati offerti da Stati Uniti (853 milioni di dollari), Regno Unito (464 milioni), Germania (359 milioni). La Commissione Europea figura tra i primi 20 finanziatori con 213 milioni (per inciso, la Cina ha contribuito con 89 milioni, meno della Norvegia che ne ha dati 93). Ma va considerato che, a differenza di altre emergenze sanitarie, questa volta i più generosi Paesi donatori sono essi stessi duramente colpiti dalla pandemia, sia in vittime sia in danni economici. L’Europa, con 746 milioni di abitanti, conta al 23 settembre circa un quarto dei casi (58,1 milioni su 231 milioni) e dei morti (1,2 milioni su 4,7 milioni totali); gli Stati Uniti hanno più di 43 milioni di casi e quasi 703mila morti. In Africa, su poco meno di 1,4 miliardi di abitanti, i casi superano di poco gli otto milioni e i morti registrati sono 208mila. In Asia, dove vivono 4,7 miliardi di persone, i casi sono 74,8 milioni, i morti sono 1,1 milioni.
Se la generosità, per far bene, deve essere bene amministrata, a maggior ragione se come in questo caso resa possibile dai sacrifici dei cittadini di Paesi a loro volta in serie difficoltà, allora è importante che non si punti solo a superare il divario tra numero di vaccini disponibili per Paese distribuendo quanto prima centinaia di milioni di dosi. In Africa, ad esempio, milioni di dosi sono già arrivate: non si contano quelle scadute prima di poter essere usate, per l’inaccessibilità di molti territori, infestati da gruppi armati o anche solo privi di strade e altre vie di accesso, per situazioni di instabilità politica, per la riluttanza di molti africani già propensi a diffidare dei medicinali importati e somministrati gratuitamente e ancora di più nel caso del Covid-19 di cui hanno sentito dire tanto male; e quelle inutilizzabili, perché conservate male per incuria o per scarsità e mal funzionamento dei centri di raccolta (ci sono spesso interruzioni della luce elettrica anche nelle città e non sempre i generatori riescono a supplire).
L’ostacolo primario è comunque l’inadeguatezza di sistemi sanitari nazionali che non sono in grado di programmare campagne di vaccinazione di massa. La Guinea Conakry ha 0,08 medici ogni mille abitanti (e inoltre il 5 settembre i militari hanno destituito il governo con un colpo di stato), la Repubblica Centrafricana ne ha 0,07 (e inoltre il 70 per cento del suo territorio è controllato da gruppi armati, cosparso di ordigni esplosivi).
I sistemi sanitari penosamente inadeguati anche in tempi normali, la carenza di infrastrutture essenziali sono ostacoli quasi insormontabili, per tanti che siano i vaccini di cui un paese dispone. La causa, almeno per la quasi totalità degli stati africani, non è la mancanza di risorse. Tutti infatti da decenni sono assistiti dalla cooperazione internazionale che eroga miliardi a titolo di dono, concede prestiti a tassi più che favorevoli e, nel caso di una trentina di Paesi, provvede anche a farsi carico del loro debito estero. Quasi tutti sono straordinariamente ricchi di materie prime preziose: giacimenti, dal rame ai diamanti, dal petrolio all’uranio; terre fertili che consentono più raccolti in un anno e colture da esportazione come il cacao, il te e il cotone.
Bisognerebbe, per il bene tanto di chi dona quanto di chi riceve, che in un momento di tregua tra una emergenza e l’altra, si prendesse tempo per riflettere sul fatto che esistono tanti Stati indiscutibilmente ricchi che continuiamo a definire poveri perché in effetti molti loro abitanti vivono sotto la soglia di povertà.
La Guinea Equatoriale, è un esempio tra tanti. Ha poco meno di 1,4 milioni di abitanti. Con la scoperta negli anni 90 del secolo scorso di grandi riserve di petrolio e gas naturali è diventato il Paese più ricco dell’Africa sub-sahariana. Il suo prodotto interno lordo pro capite ha raggiunto un massimo di 23mila dollari nel 2008 per poi diminuire restando però elevato. Eppure è uno dei Paesi più “poveri” del mondo: 145° nell’Indice di sviluppo umano, oltre il 44% della popolazione sotto la soglia di povertà. Dal 1979 padrone assoluto del paese è Teodoro Nguema, al potere con un colpo di stato. Lui e la sua famiglia considerano il petrolio e ogni altra risorsa del Paese come loro proprietà e ne dispongono, concedendosi lussi e stravaganze sfrenate. Uno dei figli, Teodorin, vice ministro, colleziona auto Bugatti, dimore sontuose (una da 100 milioni di dollari in Gran Bretagna) che raggiunge sui suoi jet privati, costosissimi capricci come il guanto di Michael Jackson acquistato per 275mila dollari. Gli Stati Uniti gli hanno sequestrato beni per 26,6 milioni di dollari provatamente acquisiti con espedienti e raggiri. Il 20 settembre il Dipartimento di Giustizia ha disposto che 19,25 milioni, affidati all’Onu, serviranno ad acquistare e somministrare vaccini anti Covid ad almeno 600mila cittadini della Guinea Equatoriale. Il rimanente verrà utilizzato per realizzare programmi sanitari nel Paese.