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ELEZIONI MID TERM

Usa: i Repubblicani non stravincono, ma i Democratici non capiscono di aver perso

Per Joe Biden, i Democratici hanno passato una “buona nottata”, e ha dichiarato una “vittoria morale” del suo partito. In realtà i Repubblicani hanno vinto, anche se non hanno ottenuto quella vittoria schiacciante che era prevista dai sondaggi, a causa di candidati rivelatisi troppo deboli. Ma i Democratici non possono sicuramente cantar vittoria, dopo che hanno perso alla Camera, mentre al Senato la battaglia continua e fra i governatori i Repubblicani conservano la maggioranza degli Stati. 

- I PRO-VITA SCONFITTI OVUNQUE NEI REFERENDUM di Luca Volontè

Esteri 10_11_2022
Obama e Biden nell'ultimo comizio in Pennsylvania

Per Joe Biden, i Democratici hanno passato una “buona nottata”. In una conferenza stampa, con lo spoglio ancora in corso, ieri sera ha dichiarato una “vittoria morale” del suo partito, pur ammettendo la sconfitta di “alcuni” candidati. Si tratta di un classico esempio di rimozione della realtà, perché la “vittoria morale” di ieri non c’è stata, si tratta a tutti gli effetti di una sconfitta, anche se non clamorosa come molti sondaggi prevedevano. Al momento in cui questo pezzo va online lo spoglio non è finito, né per la Camera né per il Senato, ma i Repubblicani sono quasi certi di conquistare la maggioranza alla Camera e hanno almeno un pareggio al Senato. Basta che conquistino un solo seggio, oggi o nel ballottaggio che si terrà in dicembre in Georgia e conquisteranno anche la maggioranza in Senato. Sono andati peggio del previsto nelle competizioni elettorali per i governatori, perdendo due Stati (Maryland e Massachusetts), ma complessivamente mantenendo una maggioranza di governi statali nel Paese.

I candidati repubblicani, quasi tutti con l’endorsement dell’ex presidente Donald Trump, si sono rivelati più deboli del previsto. Non si sono nemmeno avvicinati ai risultati dell’avversario in New Hampshire, in Colorado, nello Stato di New York, considerati almeno contendibili, stanno perdendo in Arizona ed anche in Pennsylvania dove il conservatore Mehmet Oz era alla pari con John Fetterman, quest’ultimo recentemente colpito da ictus. Ma i Democratici, invece di cantare una “vittoria morale”, tirando un respiro di sollievo perché si attendevano una sconfitta peggiore, farebbero meglio a riflettere su alcuni aspetti.

Il primo è quello della perdita di consensi nei loro classici bacini elettorali: donne, giovani, afro-americani e latino-americani votano ancora a maggioranza per il Partito Democratico, ma sempre più trasmigrano verso il Partito Repubblicano, come mostrano gli exit poll effettuati anche dalla Cnn. In generale, tutte le categorie che solitamente sono associate alla sinistra americana, oggi sono più equamente divise e nel caso dei latino-americani, degli uomini in particolare, il passaggio da un partito all’altro è clamoroso: erano il 29% in più quelli che votavano per i Democratici nel 2018 (alle scorse elezioni di metà mandato), oggi sono appena l’8% in più. Un crollo di consensi del 21% è notevole e avviene proprio nella popolazione che può rappresentare il futuro demografico del Paese, se si mantengono gli attuali ritmi di immigrazione.

Proprio il cambiamento politico in corso fra i latino-americani è una delle cause principali della vittoria più spettacolare di queste elezioni: la rielezione di Ron DeSantis a governatore della Florida e la contemporanea rielezione in Senato di Marco Rubio (ex candidato presidenziale nelle primarie del 2020). La Florida non è mai stata una roccaforte repubblicana, è uno Stato perennemente in bilico. Ed anche nelle ultime elezioni per il governatore, nel 2018 DeSantis aveva strappato una vittoria di strettissima misura (0,4 punti percentuali in più) su Andrew Gillum. Adesso invece si afferma con un netto 59,4% contro Charlie Crist.

Il modello di governo di DeSantis spiega molte cose del successo repubblicano di ieri e di quello che potrebbe ripetersi ancora con più evidenza alle prossime presidenziali. Durante la pandemia, il governatore repubblicano ha chiesto la minima prudenza indispensabile ai suoi cittadini, con un lockdown molto parziale e molto breve: dopo due settimane i floridiani potevano tornare già sulle loro spiagge tropicali. Si è sempre opposto alla chiusura delle scuole. Quando è arrivato il vaccino, pur incoraggiando la vaccinazione, DeSantis si è sempre opposto all’obbligo. I risultati ottenuti sono ottimi: il tasso di mortalità in Florida è sempre stato nella media nazionale e molto inferiore a quello di Stati che hanno imposto misure molto più draconiane, come New York. In compenso, la crescita economica nella ripresa post-pandemica è stata molto più rapida che nel resto del Paese. Alla vigilia delle elezioni, la disoccupazione in Florida era ridotta al 2,5% (contro il 3,7% nazionale). I risultati della mancata chiusura delle scuole si vedranno nei prossimi anni, ma di sicuro gli studenti floridiani hanno accumulato due anni di vantaggio rispetto ai loro coetanei di New York che hanno perso due anni di scuola in Dad.

Anche sul fronte della guerra culturale, il governatore repubblicano è stato in prima linea contro la cancel culture e contro l’introduzione dei programmi scolastici gender nelle scuole primarie (fino alla terza elementare). Cosa per cui è stato accusato di discriminazione: “non dire gay” è il nomignolo affibbiato alla sua legge statale, che in realtà si limita a chiedere un linguaggio dell’educazione sessuale appropriato ai bambini e ridà voce in capitolo ai genitori. La Disney, patria dell’infanzia per eccellenza, ha protestato (segno dei tempi che cambiano) e per tutta risposta DeSantis ha firmato la legge, approvata a maggioranza dal Congresso locale, per abolire lo statuto speciale di cui godeva il suo territorio.

Un misto di liberalismo economico e conservatorismo culturale è la ricetta che ha sempre caratterizzato i periodi di maggiore successo dei Repubblicani, ma era considerata una formula adatta solo a “maschi, bianchi, anglosassoni”. Con queste elezioni di metà mandato, invece, dimostra di sfondare anche fra altre popolazioni, se produce buoni risultati: anche roccaforti democratiche come il collegio Miami-Dade ha votato ad ampia maggioranza sia per il governatore repubblicano che per il candidato del Gop al Senato.

I Democratici hanno sempre rifiutato di sottoporsi ad autocritica sulla loro politica economica. Eppure, alla vigilia delle elezioni, in tutti i sondaggi gli americani dimostravano di essere preoccupati soprattutto dall’inflazione, che sta erodendo il loro potere d’acquisto. Si sta raggiungendo di nuovo la piena occupazione, ma con l’inflazione, i salari vengono rapidamente consumati. La risposta dell’amministrazione Biden è sempre quella di aumentare la spesa pubblica per programmi ecologisti e di imporre il calmiere su beni essenziali, come i prodotti farmacologici. Ma questi rimedi potrebbero risultare ancora peggiori del male, creando una bolla della green economy da un lato e dall’altra provocando una penuria di beni calmierati. 

La sinistra americana, per altro, è sempre più vicina a quella che la sinistra tradizionale avrebbe chiamato "il partito del grande capitale". Basti vedere i finanziamenti che hanno ricevuto. George Soros, il finanziere filantropo più famoso del mondo, ha donato ai comitati elettorali democratici 129 milioni di dollari. Da solo ha sborsato una cifra che è quasi pari a circa la metà di tutte le donazioni ricevute dal Partito Repubblicano. Se guardiamo alle grandi aziende del mondo delle Big Tech, vediamo che i loro dipendenti hanno donato quasi esclusivamente al Partito Democratico. La più bipartisan risulta essere Oracle dove "solo" il 66% ha donato alla sinistra, mentre la più partigiana è (ovviamente) Netflix dove il sostegno monetario al partito dell'asinello viene dal 99,6% dei dipendenti, a tutti i livelli (che fine ha fatto il restante 0,4%?). In mezzo, tutte le Big Tech (Amazon, Microsoft, Meta, Google/Alphabet, PayPal, Apple, AirBnb, ecc...) hanno al loro interno una percentuale di donatori di sinistra pari o superiore al 90% dei loro dipendenti. 

Tutti gli americani, a prescindere da sesso, etnia ed età, sono preoccupati per l’impennata dell’immigrazione illegale, dal record di 2,8 milioni di attraversamenti illeciti del confine meridionale e dal triste record di 853 emigranti morti nel tentativo di varcarla. Eppure i Democratici, nonostante la marcia indietro dell’amministrazione Biden, ha sempre puntato alla massima tolleranza del fenomeno. Gli americani sono anche preoccupati dall’impennata di criminalità in tutte le grandi città, soprattutto quelle amministrate dai Democratici, come New York, Chicago, Washington, Baltimora, Portland. E non è un caso che il crimine imperversi soprattutto sotto le amministrazioni di sinistra, perché sono quelle che hanno tollerato per motivi politici la violenza di Black Lives Matter e degli Antifa. Ed hanno un approccio “socio-politico” alla criminalità comune, ritenendola un prodotto dell’ingiustizia sociale più che una violenza da combattere.

Le elezioni di ieri, soprattutto il caso della Florida, hanno lanciato diversi segnali. Non sono segnali eclatanti, non si avvicinano neppure a quell’onda “rossa” che molti prevedevano, ma non devono essere trascurati. Gli Usa hanno voglia di cambiare, economicamente e culturalmente. Se queste cause troveranno i giusti rappresentanti, nelle prossime presidenziali l’ondata potrebbe arrivare realmente.