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PROTEZIONISMO

Usa contro Cina, venti di guerra tariffaria e bluff

“Le guerre commerciali sono una buona cosa e le vinceremo facilmente”. Così Donald Trump spiegava a orecchie ancora incredule l’accettazione della nuova guerra tariffaria con la Cina. Che è puntualmente incominciata con dazi americani e contromisure cinesi. Ma è vera guerra?

Economia 03_04_2018
Trump firma le sanzioni alla Cina

“Le guerre commerciali sono una buona cosa e le vinceremo facilmente”. Così Donald Trump spiegava a orecchie ancora incredule l’accettazione della nuova guerra tariffaria con i principali concorrenti degli Usa, prima di tutto la Cina. La guerra commerciale è ormai dichiarata, con una prima introduzione di tariffe americane su importazioni cinesi e, da ieri, con la devastante risposta cinese. 

La dichiarazione della guerra tariffaria alla Cina è stata presentata da Donald Trump l’8 marzo scorso, con l’imposizione di nuove tariffe sulle importazioni dell’acciaio e dell’alluminio. La misura protezionista, si temeva, avrebbe colpito anche altri due grandi esportatori, il Canada e l’Unione Europea. L’Ue era subito sul piede di guerra, con l’annuncio da parte di Jean Claude Juncker, presidente della Commissione, di possibili tariffe di ritorsione su beni americani altamente simbolici (jeans, bourbon e moto Harley Davidson). Anche il Canada minacciava ritorsioni, pur senza specificare quali. Ma i due esportatori, grandi partner politici degli Usa sono stati esclusi dai dazi. Quindi la misura protezionistica riguarda un solo possibile concorrente: la Cina. E la Cina, danneggiata nelle sue esportazioni di acciaio e alluminio, ha allora atteso solo tre settimane prima di annunciare, ieri, la sua rappresaglia.

A Washington, il 22 marzo scorso, sono state anche varate sanzioni aggiuntive, per un valore complessivo di circa 60 miliardi di dollari, come rappresaglia per la violazione dei diritti di proprietà. La Casa Bianca lamenta le pressioni esercitate dalla Repubblica Popolare su aziende americane per condividere tecnologie hi tech, in particolar modo nei campi della robotica e delle telecomunicazioni.

Il 2 aprile, il regime di Pechino ha dichiarato che saranno imposti dazi su 128 prodotti di importazione Made in Usa, quasi tutti alimentari (frutta, vino e carne di maiale sono colpiti). Particolarmente strategica è la tariffa sulla carne di maiale, che colpisce le aree rurali sostenitrici Trump nelle ultime elezioni. Il mercato cinese è il terzo nelle vendite di carni suine statunitensi.

La Casa Bianca ha formalmente contestato l’annuncio dei dazi cinesi. “La Cina sta distorcendo il mercato globale – ha dichiarato Lindsay Walters, portavoce della Casa Bianca, accusando la Cina di sussidiare con fondi pubblici i suoi settori produttivi. Invece di colpire beni americani regolarmente esportati, la Casa Bianca chiede alla Cina di porre fine alle sue pratiche anti-mercato. Sono dichiarazioni che, alla luce dei dazi su alluminio e acciaio suonano come pura ipocrisia. Ma effettivamente toccano un nervo scoperto che è all’origine dell’attuale guerra tariffaria: sin dal suo ingresso nel Wto (Organizzazione Mondiale del Commercio) nel 2001, la Cina ha rispettato solo in parte le sue regole. Non solo le aziende strategiche continuano ad essere statali, ma le aziende straniere, per accedere alla Cina, devono rinunciare alla loro proprietà intellettuale e mettere i loro segreti tecnologici a disposizione di Pechino. Le aziende straniere devono formare delle joint ventures con aziende statali cinesi, se vogliono iniziare a produrre in territorio cinese. Il mercato dei servizi è ancora totalmente protetto. In più, la Banca Centrale cinese usa la sua politica monetaria per promuovere le esportazioni, anche a costo di creare pericolose bolle speculative. Sono queste le principali accusa rivolte dall’amministrazione Trump alla Cina. E non sono infondate.

E allora sarà una spirale di protezionismi infinita? Non è detto che siano i primi colpi di una guerra più vasta. E’ molto più probabile, piuttosto, che sia la consueta tecnica negoziale di Trump. Trattative dirette fra Usa e Cina, infatti, sono già iniziate, anche se per ora non hanno portato ad alcun risultato. Le tariffe non sono da intendersi come misure permanenti, ma come una minaccia a dibattito in corso. Trump vuole dimostrare alla controparte che può e vuole fare sul serio. Che ha lui il coltello dalla parte del manico. Ma una volta ottenute condizioni migliori dalla Cina, sulla proprietà intellettuale in particolare, è possibile che le tariffe siano rimosse. E’ probabile ed è auspicabile che sia questo il corso degli eventi nel prossimo futuro. Perché una guerra tariffaria più vasta e prolungata porterebbe a danni permanenti, prima di tutto sui consumatori (americani e non solo) che si troveranno a fronteggiare prezzi più alti.