Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
IL FILM

Unplanned, quando l’abortista diventa un’eroina pro life

In primavera uscirà negli Stati Uniti il film Unplanned, basato sulla storia vera di una ex manager della Planned Parenthood, la trentottenne Abby Johnson, che nel 2009 rinunciò al suo lavoro dopo aver visto con i propri occhi la cruda realtà dell’aborto, praticato ai danni di un bambino di 13 settimane. La sua parte sarà interpretata dall’attrice Ashley Bratcher, anche lei con una storia che sa di Provvidenza.

Vita e bioetica 03_02_2019

Forse il nome di Abby Johnson qui in Italia dice poco o nulla. Ma stiamo parlando di un personaggio che sta scatenando una rivoluzione nel mondo dell’industria abortiva americana. Abby Johnson, classe 1980, era direttrice della clinica della Planned Parenthood a Bryan, in Texas. Poi, nel 2009, l’impatto con la cruda realtà dell’aborto: un bambino indifeso e senza scampo che cerca di sfuggire al suo uccisore in camice bianco.

Si trattava di un aborto monitorato con ultrasuoni cosa che, riferisce Abby nel suo libro Unplanned, uscito nel 2010 e tradotto in italiano cinque anni dopo con il titolo Scartati. La mia vita con l’aborto, “permette al sanitario di vedere esattamente quello che succede all’interno dell’utero”. Una tecnica inventata per diminuire le probabilità di rischio di perforazione della parete dell’utero, ma che ha anche in sé un potenziale “non previsto”: quello di mostrare con chiarezza cosa sia un aborto. E lo aveva mostrato proprio ad Abby, che di aborti ne aveva già avuti due, il secondo, il più doloroso, assumendo la RU-486.

Abby raramente era entrata in sala operatoria durante un aborto e mai lo aveva fatto quando veniva utilizzata questa procedura con gli ultrasuoni, cosa che nella clinica da lei diretta accadeva rarissimamente, perché richiedeva cinque minuti in più rispetto ai dieci “canonici”, rigorosamente calcolati per raggiungere l’obiettivo richiesto dalla Planned Parenthood, e cioè di arrivare a eseguire nella clinica dai 25 ai 35 aborti ogni sabato. Questione di costi di gestione.

Quei dieci minuti cambiarono la vita di Abby: la visione di un bambino di 13 settimane, perfettamente formato, esattamente - ricorda Abby - come la sua bimba, Grace, data alla luce tre anni prima. Aveva imparato, nell’addestramento della Planned Parenthood, che “il tessuto fetale non sente niente quando è rimosso”. Lì invece c’era un bambino che lottava contro la morte, che si contorceva prima di essere “strappato, arrotolato e strizzato come uno straccio”; evidentemente non era un semplice tessuto...

Da quel giorno la vita di Abby è cambiata radicalmente, e anche quella di molte persone, inclusi molti ex-colleghi alla Planned Parenthood, che sono riusciti, grazie ad Abby, a divincolarsi dalla trappola mentale dell’aborto come pratica per la salute riproduttiva della donna e hanno deciso di smettere di lavorare per la morte. La realtà descritta da Abby nel suo libro è eloquente. Negli otto anni in cui lei ha lavorato alla clinica, è stata l’unica ad avere figli, lottando ogni giorno per respingere le pressioni che le venivano fatte per interrompere la gravidanza; l’unica ad avere un figlio, ma non l’unica a essere rimasta incinta: la clinica offre gratuitamente l’aborto alle sue dipendenti “incidentate”... Questo come donna. E, come direttrice, il fatto di dover rispondere alla logica del mercato: cercare di aumentare il più possibile il numero degli aborti effettuati in clinica, fino a sponsorizzarne circa 22.000 nei suoi otto anni di lavoro.

Anche la vita di Ashley Bratcher è cambiata. Ashley è attrice e la Provvidenza ha voluto che fosse lei a interpretare il ruolo di Abby nel film Unplanned, ispirato all’omonimo libro, che uscirà quest’anno in primavera negli Stati Uniti. La lettura del libro la colpì profondamente; ma non è “solo” questo il punto. Ashley, che era già partita per l’Oklahoma per le registrazioni, venne contattata dalla madre, con la quale non aveva un ottimo rapporto. Ashley, che era dovuta partire in fretta e furia, e non aveva detto nulla alla madre, decise di raccontarle la sua nuova avventura. Al termine del racconto della storia di Abby, Ashley sentì la madre piangere in modo incontrollato, fino a raccontarle che all’età di 16 anni aveva deciso di abortire. Quando, tre anni più tardi, scoprì di essere incinta di Ashley, decise nuovamente di abortire, ma, mentre era già pronta sul lettino della clinica, sentì dentro di sé che non avrebbe mai più fatto una cosa simile; scese dal lettino e scelse così la vita di Ashley. Questione di qualche minuto, di una scelta fatta nel solco dell’errore passato, e Ashley non sarebbe stata. E invece la vita di Ashley è andata avanti per incrociarsi con quella di Abby; sono divenute due importanti pedine del grande movimento pro-life americano e stanno mettendo in crisi il sistema abortivo della Planned Parenthood.

“Mentre guardavi, una pietra si staccò, ma non spinta da una mano, e colpì i piedi di ferro e d’argilla della statua e li frantumò. Allora si frantumarono anche il ferro, l’argilla, il bronzo, l’argento e l’oro e divennero come la pula sulle aie d’estate. Il vento li portò via e non se ne trovò più traccia” (Dn 2, 34-35).