Una storia tutta italiana
Lo scorso 4 agosto c'è stato un incendio alla centrale termoelettrica di Bari. Per fortuna nessun ferito, ma molte domande. Infatti il 22 novembre la magistratura aveva disposto il sequestro della centrale per irregolarità.
In una calda domenica agostana, lo scorso 4 agosto, va in fumo la centrale termoelettrica del capoluogo pugliese, situata nel quartiere Stanic, in una delle arterie d’ingresso alla città. L'impianto, costruito negli anni '50 dalla Società Generale Pugliese di Elettricità si compone di tre sezioni da 68,5 MW ciascuna, entrate in esercizio negli anni 1958-1959 ed è strutturato in due corpi principali: gli uffici amministrativi e l'edificio che ospita gli alternatori, le turbine e la sala di controllo. L’incendio, che provoca altissime e ampie nuvole di fumo su tutto il quartiere e sulla vicina tangenziale, divampa – queste le ipotesi che si fanno in prima battuta - per il surriscaldamento dei cavi elettrici o per un corto circuito ad uno dei quadri elettrici del Gruppo 2 della centrale, che entra in funzione per stabilizzare la situazione della rete in caso di guasti o per sopperire ad altra centrale quando questa è in manutenzione. L’impianto, per questo, al momento dell’incendio, era spento. Gli abitanti del quartiere, invitati a tenere chiuse per alcune ore le finestre delle loro case, vengono tranquillizzati dal Sindaco, che in prima battuta sottolinea come la situazione sia stata sempre sotto controllo e non ci sia mai stato pericolo di propagazione dell’incendio al di fuori del perimetro della centrale o di un’esplosione.
Insomma, un incidente, che non provoca feriti, ma solo allarme. Una storia a lieto fine, sembrerebbe, corroborata da un secondo comunicato del Sindaco, che afferma: "Il principale problema riscontrato è stato quello del denso fumo che ha provocato disagi alla popolazione residente nei pressi della centrale e su queste emissioni sono in corso le analisi da parte dell’Arpa che ha subito installato centraline elettroniche di monitoraggio della qualità dell’aria. Il fumo è dovuto al materiale autoestinguente, del quale sono composti i cavi elettrici che si sono surriscaldati. Se sarà confermata questa ipotesi, già molto probabile, le preoccupazioni sull’inquinamento dell’aria potranno essere rapidamente dissolte, poiché i materiali in oggetto sono a norma di legge e quindi compatibili con la tutela dell’aria anche in caso di incendio. La centrale al momento dell’incendio era spenta, in quanto il suo apporto di chilowattori non è necessario al supporto della rete e dunque non si è verificata alcuna interruzione della distribuzione dell’energia elettrica che rimane in equilibrio. Resta il fatto che, per una definitiva individuazione delle cause dell’incendio, si dovrà attendere il rapporto dei Vigili del Fuoco ed il giudizio della Magistratura".
Già, la magistratura. Tempo fa, c’era stato un intervento dell’autorità giudiziaria sulla centrale. “In seguito ai controlli dell’Arpa (Agenzia Regionale per la Prevenzione e la Protezione dell’Ambiente, n.d.r.), si è accertato che il sistema di gestione della sicurezza (Sgs) non risulta adeguato a quanto previsto dalla vigente normativa e in particolare l’impianto non risulta conforme alle prescrizioni dettate dal Comitato di controllo regionale. L'emergenza maggiormente significativa per le attività e i processi della centrale è rappresentata dalla possibilità di incendio. Altresì viene segnalato il ripetersi di rilasci incontrollati di sostanze inquinanti nell’ambiente secondo sequenze di eventi accidentali e di conseguenti malfunzionamenti già verificatisi in passato”. Così si esprimeva, il 22 novembre scorso, il Gip del Tribunale di Bari, che ordina il sequestro della centrale e specifica che le esigenze cautelari derivavano dal pericolo per la pubblica incolumità e per la salute dei lavoratori, in ottemperanza alla normativa Seveso e sullo smaltimento degli oli combustibili, la presunta violazione della normativa sul controllo dei pericoli di incidenti rilevanti (soprattutto incendi) commessi con determinate sostanze pericolose. Il Gip, nella nota in cui spiegava il provvedimento, aggiungeva che “dalla centrale si sono ripetuti “rilasci incontrollati di sostanze inquinanti nell’ambiente secondo sequenze di eventi accidentali e di conseguenti malfunzionamenti già verificatisi in passato”. Il provvedimento viene eseguito, ma pochi giorni dopo, l’11 dicembre, la Procura di Bari dispone il parziale dissequestro della centrale - tranne l'ex parco degli oli combustibili, che ha ancora i sigilli e nel quale sono in corso opere di bonifica - che aveva tra l’altro ottenuto l’autorizzazione all'esercizio dell'impianto per tre mesi, entro i quali l'Enel avrebbe dovuto eliminare le anomalie che avevano portato al sequestro.
Una vicenda alquanto ingarbugliata, che coinvolge l’autorità giudiziaria – che prende provvedimenti sostanzialmente opposti nell’arco di poche settimane – gli organi regionali preposti al controllo, la più grande azienda elettrica italiana, i responsabili istituzionali. In qualsiasi Paese del mondo – tranne quelli che purtroppo non rispondono alle regole di uno Stato di diritto – qualcuno risponderebbe a semplici domande: che cosa si è fatto in questi mesi per mettere in sicurezza una centrale termoelettrica sulla quale si paventavano dei rischi? Quali opere di prevenzione sono state svolte? Quali le responsabilità da individuare? Quali le conseguenze per i cittadini? Il caso è, in buona sostanza, esemplificativo, di come nel nostro Paese vengono gestite le emergenze e le priorità d’intervento: nella confusione più generale, che rende sempre difficile tirare i fili per far emergere la verità.