Una società atea a caccia di capri espiatori
L'ateismo di massa accorcia la prospettiva dell'uomo, lo spinge a vedere solo obiettivi di breve periodo, a negare la propria responsabilità, a modellare l'etica sulle proprie esigenze personali. Quando poi il danno viene commesso, allora inizia la caccia al colpevole, tipica dei nuovi giacobini. E il capro espiatorio si trova sempre, anche per un terremoto.
Tutto funzionerebbe benissimo se non ci fosse qualcuno che mette i bastoni tra le ruote. Dietro a ogni incapacità a rispondere adeguatamente ai bisogni del Paese, dietro ad ogni problema aperto, ci sono sempre e soltanto dei malintenzionati, dei colpevoli. Scoviamoli, condanniamoli, gettiamoli in carcere e tutto sarà risolto. Di questi tempi non passa giorno senza che la gran cassa dei maggiori giornali e telegiornali ribadisca questo malaugurato luogo comune, buono solo per riempire la bocca degli eredi attuali dei farisei di sempre.
Si tratta in effetti non di un equivoco casuale bensì della maggiore tra le conseguenze nefaste del ruolo di governo che sempre più spesso il potere giudiziario sta assumendo nel nostro Paese. In realtà, tanto più quando un problema è diffuso e incancrenito, la sua causa prima non sono i comportamenti dei malintenzionati bensì le leggi sbagliate, l’inefficienza della pubblica amministrazione o scelte mal ponderate anche quando sono in buona fede. Una legge sbagliata fa più danni di tante ruberie. Senza pregiudizio per il dovere di contrastare il crimine, dovere di tutti ma compito specifico delle forze dell’ordine, nonché di amministrare la giustizia, ragion d’essere della magistratura, chi ha responsabilità politiche è chiamato in primo luogo a fare buone leggi e a governare in modo efficiente ed efficace. Oggi alla notizia di qualsiasi dramma e di qualsiasi incidente o dissesto segue di rigore l’annuncio che la procura della Repubblica ha iscritto qualcuno nel registro degli indagati. Un caso a suo modo significativo di questo “furore” (come con parola italiana si direbbe in inglese) ci viene dalle cronache di questi giorni. Domenica scorsa in un maneggio di San Giorgio Canavese (Torino) una giovane donna ha perso la vita travolta dal proprio cavallo, da cui era caduta mentre stava effettuando un percorso a ostacoli. In altri tempi l’episodio sarebbe stato visto per quel che è, ovvero un tragico incidente sportivo. Non adesso: ci sono per questo due persone indagate per omicidio colposo, il direttore del maneggio e l’addetto alla sistemazione degli ostacoli.
Lasciando questo episodio per tornare ai grandi problemi italiani del momento, se ci sono delle responsabilità di rilievo giudiziario siamo lieti che vengano accertate, ma da un punto di vista generale, quindi politico, non è questo che più importa.
Sarebbe più importante andare a vedere – a prescindere da eventuali responsabilità di rilievo giudiziario - a causa di quali carenze obiettive in alcune parti del Paese non si riesce a venire a capo, tanto per fare esempi attuali, del dissesto idro-geologico o dell’inadeguata manutenzione degli edifici che ospitano scuole statali. Se invece scendono in campo sempre, comunque e innanzitutto le Procure, ecco che ogni parte in causa si chiude in difesa cercando di mettersi al riparo da possibili accuse. E per conseguenza la ricerca delle lacune complessive del sistema diventa impossibile. Nel caso ad esempio dei ripetuti crolli di nuove infrastrutture viarie in Sicilia, Sardegna e altrove è evidente che ciò può accadere solo a causa di un generale scollamento della pubblica amministrazione: qualcosa che va anche al di là della buona fede o male fede dei singoli. E’ su questo che la politica deve soprattutto lavorare.
D’altra parte questo degrado non si spiega solo con motivi di ordine per così dire tecnico. Si tratta in realtà del riflesso di qualcosa di più profondo. Ogni giorno diventa più chiaro che - come acutamente osservò Papa Francesco nel suo discorso alla Fondazione “Centesimus Annus Pro Pontifice” del 25 maggio 2013 - “La crisi attuale non è solo economica e finanziaria, ma affonda le radici in una crisi etica e antropologica”. Alla prova della storia sta diventando evidente – aggiungiamo noi parafrasando Lenin - che non la religione bensì l’ateismo “è l’oppio dei popoli”. Nella misura in cui l’ateismo pratico diviene di massa si registra un sempre più diffuso ripiegamento su obiettivi individuali di breve periodo accompagnato dalla fuga da qualsiasi responsabilità che non sia quella verso se stessi e i propri familiari più prossimi (quando ci sono). Si assiste in ogni campo e in ogni occasione, a un continuo frazionamento della responsabilità fino alla sua vanificazione cui corrisponde, in caso di emergenza, la ricerca di un capro espiatorio: qualcuno su cui scaricare ogni responsabilità. Un episodio culmine al riguardo è stato il processo agli esperti della Commissione Grandi Rischi accusati di fronte al mondo di essere colpevoli nientemeno che dei morti del terremoto dell’Aquila in quanto rei di non aver previsto qualcosa che fino ad oggi è del tutto impossibile prevedere, ovvero il giorno, l’ora e il luogo preciso di un sisma.
Da tutto questo consegue per la gente di fede anche una grande responsabilità civile: quella di tenere alcuni fondamentali punti fermi a sostegno della “vita buona” mentre tutt’attorno quanto ancora resta della modernità erede dell’Epoca dei Lumi si sta sfasciando.