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PRISMA

Una nefasta concezione d'Europa

Il mito dell’ “Europa” come stella polare verso cui l’Italia dovrebbe volgersi senza “se” né “ma” ha fatto ancora una volta la propria ricomparsa sulla scena politica italiana...

Prisma 20_12_2010

Il mito dell’ “Europa” come stella polare verso cui l’Italia dovrebbe volgersi senza “se” né “ma”, se vuole uscire dalle tenebre di oggi verso un domani ben più luminoso, ha fatto ancora una volta la propria ricomparsa sulla scena politica italiana.

Uno dei nuovi gruppi parlamentari d’opposizione che si sono formati negli ultimi giorni l’ha messo al centro del proprio programma. Alla sua radice c’è l’idea ricorrente secondo cui l’Italia non è un “paese normale” per due motivi: perché non avendo accolto la Riforma protestante si è perciò stesso preclusa alla modernità; e perché la  presenza della Santa Sede  a Roma costituisce un’enorme palla al piede a causa della quale nemmeno oggi il nostro Paese riesce a ricuperare il tempo sin qui perduto.

Non è un’idea nuova. Risale anzi all’epoca di Camillo Cavour, ed è una delle diverse eredità negative del suo progetto politico che ancora pesano sul nostro presente. Coerentemente con tale giudizio Cavour era convinto che alla presa di Roma avrebbe fatto seguito l’esodo del Papa dall’Italia, possibilmente il ritorno del Papato ad Avignone o da qualche altra parte in Francia. La morte prematura gli risparmiò il dispiacere del fallimento di questo suo grande obiettivo, forse l’unico che gli sfuggì, che è tanto certo quanto censurato dalla storiografia ufficiale.  L’idea che l’Italia avesse bisogno di diventare un “paese normale” nel senso più sopra ricordato tuttavia gli sopravvisse.

Quando poi, quasi ottant’ani più tardi,  si cominciò a procedere verso quella che si sarebbe chiamata Unione Europea, accanto all’ispirazione di matrice cattolica dei padri fondatori Adenauer, Schuman e De Gasperi  in Italia germogliò pure l’idea di un “ammodernamento” del nostro Paese  nel senso sopra ricordato da realizzarsi di forza facendo leva sul mito dell’”Europa”, intesa peraltro non nel suo insieme ma facendo esclusivo riferimento a una certa Europa; a un Nord Europa ieri protestante e oggi relativista che peraltro non rende nemmeno piena giustizia all’odierna realtà nordeuropea come essa è realmente.

I danni causati da questa ideologia, il cui influsso va ahimè anche ben oltre le file dell’attuale opposizione, sono notevolissimi. Basti citare un caso, quello di Prodi, che ne è imbevuto. L’ingresso in ginocchio dell’Italia nell’euro con un tasso di cambio molto sfavorevole, e a condizioni che ci sono costate la perdita di circa metà del nostro potere d’acquisto in dieci anni, nasce da qui.  E’ un’ideologia nefasta che, magari anche inconsapevolmente, riappare ogni volta che un ministro ci viene a dire che una certa cosa si deve fare perché “ce lo chiede l’Europa”, oppure che se non la si fa si corre il rischio di “uscire dall’Europa”.

Il primo argomento è una furbizia di tipo neo-autoritario, ma il secondo è sintomo di un complesso d’inferiorità patetico. Senza l’Italia l’Europa non ci sarebbe nemmeno; non solo perché è uno dei Paesi fondatori delle istituzioni europee, ma soprattutto perché ne è la culla culturale e storica. Perciò in Europa né dobbiamo entrare né possiamo uscire. Se di ciò il nostro ceto politico fosse più consapevole la nostra politica europea sarebbe molto più forte e più influente con vantaggio sia nostro che dell’intera Unione.
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