Una mappa del territorio per prevenire alluvioni e frane
Le calamità naturali si ripetono purtroppo periodicamente e la conoscenza delle aree più colpite è parte integrante della prevenzione. Dare più importanza al Corpo Forestale dello Stato e ai vari istituti di ricerca geologica restituirebbe un prezioso strumento di monitoraggio, prima che sia troppo tardi.
La drammatica alluvione che pochi giorni fa ha colpito le Marche, nel territorio di Senigallia, ripropone ancora una volta il tema della difesa dal dissesto idrogeologico (alluvioni e frane) che purtroppo si ripetono periodicamente nel nostro territorio. L’Italia è un Paese geologicamente fragile a causa delle sue caratteristiche geologiche e morfologiche, ed è soggetto troppo spesso a questi eventi catastrofici.
Cosa fare per difendersi da queste calamità naturali? I governi che negli ultimi 100 anni si sono succeduti alla guida del nostro Paese hanno affrontato questo problema, con interventi purtroppo non adeguati. Inoltre, si è persa l’abitudine della gestione del territorio per cui la natura ha potuto tranquillamente esprimersi con le sue modalità, senza essere contrastata adeguatamente.
Sono stati praticamente smantellati organismi essenziali per combattere questi fenomeni; il Servizio Geologico Nazionale è stato praticamente reso inoperoso, come pure il Corpo Forestale dello Stato. Soprattutto questo ultimo organismo garantiva l’opera di difesa dalle alluvioni con la costante ed attenta regimentazione dei corsi d’acqua.
Nella seconda metà del secolo scorso furono istituiti gli IRPI (Istituti Ricerca Protezione Idrogeologica), nell’ambito del Consiglio Nazionale della Ricerca (CNR), con sedi in varie regioni. In particolare, furono istituiti a Torino, Padova, Perugia, Bari e Cosenza. Il compito di questi istituti era proprio quello di evidenziare lo stato di dissesto idrogeologico nei territori di propria competenza. Così fiorì un'ampia documentazione, in particolare gli archivi dei dissesti accaduti in Italia.
Tra le numerose documentazioni realizzate ricordo in particolare il Progetto AVI, che fu Commissionato dal Ministro per il Coordinamento della Protezione Civile al Gruppo Nazionale per la Difesa dalle Catastrofi Idrogeologiche (GNDCI) del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR), per il censimento delle aree storicamente vulnerate da dissesti idrogeologici. L’archivio storico per questo censimento riguardò i dissesti accaduti in Italia dal 1918 al 1994. Si può accedere a questo archivio su internet alla voce www.gndci.cnr.it.
Così pure alcune Regioni si dotarono di Servizi Geologici Regionali, che affiancarono gli IRPI in questa rassegna fondamentale per la conoscenza dello stato di dissesto idrogeologico. Ricordo, ad esempio, il Servizio Geologico dell’Emilia e Romagna che documentò puntualmente le aree colpite da fenomeni franosi.
Risultò così che il 90% delle frane erano accadute nelle stesse aree colpite in precedenza tali fenomeni, mentre le cosiddette frane di nuova generazione costituivano il restante 10%. L’importanza di queste ricerche è fondamentale per la gestione del territorio: le aree franose cartografate vanno bonificate opportunamente in modo da evitare il ripetersi di eventi dannosi per la pubblica comunità.
Queste brevi note dimostrano che esistono conoscenze dettagliate e documentate sullo stato di dissesto del nostro Paese. Però a questo grande sforzo di ricerca non hanno fatto seguito interventi e finanziamenti adeguati utili per difenderci dagli accadimenti disastrosi che purtroppo accadono nel nostro Paese. Le scienze geologiche ed idrauliche sono del tutto preparate per la salvaguardia del territorio da questi eventi naturali, ma non sempre vengono opportunamente utilizzate.
Occorre, come si dice, correre davanti alle calamità naturali, in modo da fare prevalere gli interventi di prevenzione a quelli molto più costosi del risanamento. La prevenzione inoltre evita le tragedie umane che purtroppo si accompagnano a queste calamità.
*Professore Emerito di Geologia Applicata, Università G. d’Annunzio