Un pastore protestante accusato di apostasia rischia la pena di morte in Sudan
Otto cristiani arrestati in Sudan sono stati costretti ad abiurare la fede cristiana per tornare liberi. Un pastore protestante che ha rifiutato di abiurare rischia la pena di morte
Il 13 ottobre in Sudan i Servizi di sicurezza di Nyala, capitale del Sud Darfur, hanno arrestato 12 cristiani di una chiesa locale. Tre di loro, di etnia Nuba, sono stati rilasciati due ore dopo. Gli altri nove, tutti darfurini, sono rimasti in carcere. A tutti è stato chiesto di abiurare la fede cristiana. Otto, a quanto pare sotto maltrattamenti e tortura, hanno ceduto e si sono convertiti all’Islam. Il nono, Tajdeen Yousif, un pastore protestante, ha rifiutato di abiurare ed è stato trattenuto mentre dopo cinque giorni i suoi compagni sono stati liberati, però con l’accusa di disturbo della quiete pubblica di cui dovranno rispondere. Il Centro africano per gli studi sulla giustizia e la pace, Acjps, riferisce che durante la prigionia i cristiani sono stati picchiati con dei tubi, schiaffeggiati, presi a pugni e calci. Quattro di loro hanno riportato lesioni gravi in seguito alle quali, dopo il rilascio, è stato necessario trasferirli nella capitale Khartoum per ricevere cure adeguate. Desta estrema preoccupazione la sorte del pastore, benché sia uscito dal carcere su cauzione, perché in Sudan il reato di apostasia puo comportare la pena di morte. Il 30 ottobre l’Acjps ha rivolto un appello al governo sudanese in cui chiede di indagare con urgenza sul trattamento riservato ai nove cristiani nei cinque giorni di prigionia e per far cadere l’accusa di apostasia a carico del pastore protestante. L’associazione chiede inoltre il rispetto della libertà di fede garantita dalla Costituzione nazionale del 2005 e dai trattati internazionali sui diritti umani che il Sudan ha sottoscritto. L’episodio si colloca in un contesto di crescenti restrizioni alla libertà di culto che colpiscono in modo particolare la Chiesa cristiana.