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CREATO

Un Natale da lupi, non più per pastori

Più volte citati nei Vangeli, testimoni della nascita di Gesù, i pastori sono uno dei più frequenti simboli del Natale. Oggi sono tutt'altro che estinti. Eppure la politica di "ripopolamento", delle aree alpine, compreso l'attuale Piano di gestione del lupo, pare proprio dare la priorità ai grandi carnivori.

Editoriali 28_12_2015
Statua dei lupi di San Giovanni di Duino

Il Natale appena trascorso e la positiva rinnovata simpatia per il Presepe hanno ancora una volta riportato brevemente l’attenzione sui pastori, più volte citati nei Vangeli. Sono pastori i primi uomini cui viene annunciata la nascita del Salvatore e che lo riconoscono come tale. Gesù in persona dice di sé di essere il Buon Pastore, e da ciò deriva nel linguaggio e nella tradizione cristiane tutta una sequenza di richiami simbolici che giunge fino al bastone pastorale dei vescovi della Chiesa cattolica e delle altre Chiese apostoliche; e rispettivamente al titolo di “pastore”attribuito alle autorità religiose delle comunità protestanti.

Quello del pastore è insomma un lavoro che nella tradizione cristiana ha un assoluto primato simbolico. Un primato che nell’arte sacra verrà poi per secoli bene espresso raffigurando i pastori in abiti e in atteggiamenti da alti dignitari come qui magistralmente si vede nell’ “Adorazione dei Pastori” di Lorenzo Lotto (Pinacoteca Tosio Martinengo, Brescia), nota anche per il particolare originale e commovente delle pecora che lambisce la mano del Bambino.

Troppo spesso però la gente di oggi, che vive per lo più nelle città o comunque in aree intensamente urbanizzate, crede che i pastori e la pastorizia siano una memoria del passato o in ogni caso qualcosa che ormai sta tramontando. In realtà non è così, e non soltanto in terre remote e poco abitate dell’America andina o dell’Asia centrale. Anche in Italia e altrove nell’Europa occidentale la pastorizia, e in genere il gusto e l’interesse per le attività agro-pastorali, sono in ripresa e ancor più lo sarebbero se non dovessero fare i conti con un certo ambientalismo “verde” estremista che punta allo spopolamento e al rinselvatichimento (bewildering) delle Alpi, dei Pirenei e delle campagne europee meno abitate in nome del ritorno a un mitico mondo primigenio senza l’uomo di cui già dicevamo. In tale prospettiva, potendo contare sull’ormai diffusa scarsissima esperienza diretta della natura che caratterizza l’uomo contemporaneo, ci sono gruppi di pressione che promuovono una politica del territorio la quale mira alla cacciata dai loro luoghi di vita e di lavoro dei pastori, degli allevatori, dei contadini di montagna, degli abitanti in genere delle campagne più discoste dalle aree urbane.

Rientra a pieno titolo in questa politica un Piano di conservazione e gestione del lupo in Italia, recentemente redatto dall’Unione Zoologica Italiana per conto del Ministero dell’Ambiente, in cui a sostegno della diffusione agevolata di questo grande carnivoro si arrivano ad ipotizzare delle “autorità di gestione” con poteri di polizia anche al di fuori dei Parchi naturali. Obiettivo del Piano è non solo la conservazione del lupo anche al di fuori dei parchi nazionali, ma addirittura il suo incremento (è questo, al di là dell’eufemismo, il vero significato che ha qui la parola “gestione”). E tutto questo in un Paese come il nostro che ha 201 abitanti per chilometro quadro; non 2 soltanto come la Mongolia o 0,5 come l’Alaska. E’ significativo e gravido di conseguenze che ancora una volta all’elaborazione di documenti del genere si provveda prescindendo sistematicamente dalla competenza e dall’esperienza di chi vive e lavora nelle aree interessate e da quei tecnici ed esperti che se ne occupano in quanto dimora dell’uomo e non in quanto territori da… redimere dalla sua  presenza. Un’esclusione che si estende anche a quegli autentici sostenitori della difesa delle aree riservate alla fauna selvatica (wilderness), che perciò sono realisticamente a favore anche della caccia in quanto strumento del loro controllo. A causa delle conseguenze di questa politica le vere specie in estinzione non sono più il lupo e l’orso (che in Trentino si sta moltiplicando fino a livelli insostenibili per abitanti e per turisti) ma i pastori, i contadini di montagna e le loro famiglie. La conseguenza di un tale sviluppo sarebbe paradossalmente, come in Francia la Confédération paysanne  sostiene da tempo, proprio la  distruzione dell’allevamento estensivo che invece è davvero “sostenibile”. L’allevamento estensivo infatti è un fattore di biodiversità, di protezione da calamità (incendi, frane), di benessere animale, di riproduzione di saperi e cultura. 

Le popolazioni interessate si stanno mobilitando. L’episodio più recente in Italia  è un convegno svoltosi a Saluzzo (Cuneo) lo scorso 17 dicembre sul tema Alpeggi: un paradiso per i lupi,un inferno per i pastori. Il convegno era stato promosso dall’Associazione Difesa Alpeggi del Piemonte/Adialpi per dare voce “a chi vive questa realtà ogni giorno attraverso il proprio lavoro” senza lasciarsi ingannare dalle tante parole (e denaro pubblico) spesi per i progetti sul lupo in Italia, finanziando enti, parchi ed associazioni, senza minimamente curarsi delle difficoltà dei pastori e degli alpeggiatori. Queste popolazioni per ovvi motivi non possono essere numerose, ma difendono interessi che non sono soltanto loro. Meritano perciò la solidarietà  e il sostegno di chiunque si renda conto che i lupi e gli orsi veri non hanno nulla a che vedere con i personaggi dei cartoni animati; e che  l’uomo non è un intruso nel Creato. Ne è invece il centro, quindi per vocazione il suo custode attivo e consapevole. Di ciò deve farsi adeguatamente carico, ma questo implica una sua piena assunzione di responsabilità; non la sua abdicazione a favore di una natura vuota della sua presenza che sarebbe comunque peggiore.