Un governo di piccoli navigatori
Il governo Renzi piace, perché è composto (a partire dal premier) da abili comunicatori, che sanno dire la parola giusta al momento giusto per la gioia dei giornalisti. Ma a giudicare dalle azioni, soprattutto in ambito Ue, sia sulla tragedia degli emigranti che sulla politica energetica, è un governo che naviga a vista.
Di fronte ai gravi problemi che l’Italia deve affrontare, sia in proprio che (tra l’altro) in quanto principale frontiera dell’Unione Europea nel Mediterraneo, di che cosa abbiamo davvero bisogno? Ci basta un premier giovane, ottimo comunicatore, capace di macinare in pochi giorni migliaia di chilometri in aereo guizzando attraverso diversi fusi orari, oppure occorre qualcuno che studi seriamente i problemi e poi decida a ragion veduta? Basta un presidente del Consiglio che su qualunque argomento riesce a dire con scioltezza ed efficacia le quattro parole che fanno la gioia dei conduttori di telegiornali, oppure qualcuno che sia capace di costruire e far funzionare un governo, ossia un insieme organico di ministri competenti attorniati da collaboratori esperti in grado di trasformare rapidamente quelle quattro parole in tutto ciò che è necessario perché la “macchina” dell’amministrazione statale si muova di conseguenza (almeno per quel che può)? Guardando a quanto è accaduto la settimana scorsa, e tanto più a quanto sta accadendo in questi giorni, ce lo si deve ancora una volta domandare con rinnovata preoccupazione.
Comprensibilmente l’emozione e il cordoglio per i migranti recentemente periti a centinaia nel Canale di Sicilia a seguito del naufragio di un natante stracarico oltre ogni ragionevole limite, faranno notizia per diversi giorni. Entro sabato lasceranno poi il passo al 70° anniversario del 25 aprile 1945 con tutta la retorica che inevitabilmente l’avvolgerà. Senza negare a questi eventi l’attenzione e la commozione che meritano occorre però fare lo sforzo di non perdere di vista l’orizzonte complessivo di cui peraltro anche tali eventi sono parte.
Guardando a tale orizzonte complessivo la prima questione che si pone nell’immediato è quella dell’Unione Europea. Mentre da un lato è ormai un volano di tendenze neo-autoritarie tecnocratiche nonché un centro di diffusione di relativismo culturale in campi che non le competono (come ad esempio l’educazione e la famiglia), l’Unione non fa nulla di minimamente importante e incisivo in campi cruciali che sono tipicamente suoi: dalla politica dell’energia e delle grandi infrastrutture a quella appunto dei flussi migratori non autorizzati verso il suo territorio. Tragedie come quella di pochi giorni fa nel Canale di Sicilia trovano senza dubbio nelle organizzazioni di passatori criminali i loro primi responsabili. Alla radice però la responsabilità di fondo incombe sugli Stati, sull’Unione Europea e in genere sulla comunità internazionale. Restando per un momento al disastroso recente naufragio, il trasbordo in mare aperto di persone alla ricerca disperata di salvezza da un natante stracarico a una nave mercantile, ovviamente non attrezzata per ricuperi del genere, costituisce un azzardo in quanto tale. In una situazione del genere la catastrofe non è un evento imprevedibile e imponderabile.
E’ l’esito molto probabile di scelte operative sbagliate dovute a una politica sbagliata. Cominciare poi a porsi il problema delle zone di partenza sulla costa libica, come ieri ha fatto Renzi, è già meglio di niente. Intervenire sulla costa della Libia nell’immediato sarebbe già qualcosa. Ciononostante la catena criminale di questi flussi migratori – diciamolo ancora una volta – andrebbe tagliata molto prima, e in diversi punti. Alla sessione straordinaria del Consiglio Europeo, che adesso Renzi ha sollecitato sulla questione, a nostro avviso l’Italia dovrebbe chiedere con fermezza la convocazione di un conferenza internazionale con la partecipazione di tutti gli Stati coinvolti: da quelli di arrivo a quelli di partenza passando per quelli di transito.
Nel campo poi più che mai cruciale dell’economia le due grandi e decisive questioni di cui avrebbe senso che l’Unione si occupasse sono rispettivamente l’energia e le grandi infrastrutture. Ebbene, in entrambe la sua voce non si sente. Le reti dei gasdotti e degli oleodotti si sviluppano in base alle politiche che gli Stati maggiori perseguono ognuno per proprio conto; e non si è nemmeno ancora giunti a una loro adeguata interconnessione. Non si può perciò nemmeno parlare di una vera e propria rete europea dei gasdotti e degli oleodotti. Lo stesso dicasi per quanto riguarda i porti, gli aeroporti e le grandi linee di trasporto su ferro, su gomma, su acqua. Anche in tale campo non esiste una politica europea degna di questo nome. Facciamo l’esempio molto importante della “Via della Seta” che – come ricordammo (clicca qui) - la Germania e la Cina hanno riaperto collegando con regolarità la Ruhr con il Sikiang (Xinjiang) tramite grandi convogli ferroviari merci. Questa novità, cruciale per il futuro dell’economia del nostro continente, a Bruxelles non è all’ordine del giorno. Di un’Unione Europea che non si occupa di questioni come queste non abbiamo bisogno. Ecco un altro bel tema per un governo italiano che volesse in sede europea fare della politica e non soltanto del piccolo cabotaggio.