Un Bambino ci rivela il senso della vita. Accogliamolo
Nella paura del tempo presente e nella tristezza delle nostre infedeltà, il Natale ci raggiunge con una disarmante semplicità e attrae il nostro cuore con il presentimento del vero e la nostalgia di un bene affannosamente cercato e raramente goduto. Natale viene a dirci ancora che per l’uomo è vitale la relazione con Dio e che, senza di lui, la vita non ha senso né consistenza. Lasciamoci cercare e trovare da Dio e non escludiamolo dalla nostra storia, personale e collettiva, con la smemoratezza o l’indifferenza. Buon Natale.
- NON C'E' NOTTE CHE NON VEDA IL GIORNO di Paolo Gulisano
"Il bue conosce il suo proprietario e l'asino la greppia del suo padrone, ma Israele non conosce, il mio popolo non comprende" (Is, 1, 3). Da queste parole di Isaia, passando dal Vangelo apocrifo denominato “Pseudo Matteo”, viene la tradizione di rappresentare il Bambino Gesù adagiato nella mangiatoia vicino al bue e all’asinello, figure divenute essenziali nel presepe.
Se l’innocente fantasia dei bambini e delle anime pure riconduce la presenza di questi animali alla necessità di scaldare, almeno con l’alito, il nato Redentore, più efficacemente l’iconografia cristiana li colloca nel quadro della natività per richiamare il monito severo del profeta.
Alle antiche parole del libro profetico fa eco l’espressione del prologo del Vangelo di Giovanni, “Venne fra la sua gente e i suoi non l’hanno accolto” (Gv 1, 11), che ancora accompagna ogni uomo ad accostarsi al mistero di luce risplendente nel Santo Natale.
Contempliamo l’infinita benevolenza di Dio, che assume la nostra carne per riscattare l’uomo dalla schiavitù del peccato e della morte portando a compimento il disegno, che “aveva in lui prestabilito per realizzarlo nella pienezza dei tempi: il disegno cioè di ricapitolare in Cristo tutte le cose, quelle del cielo come quelle della terra” (Ef 1, 9-10).
Il fulgore del Natale si configura come la rivelazione piena del mistero di Dio e del mistero dell’uomo: tutto questo diviene visibile e incontrabile nel Verbo fatto carne. Egli è il “logos”, termine che, individuando la seconda persona della Santissima Trinità, indica al contempo che, proprio in lui, Dio fa conoscere all’uomo la sapienza insondabile, in cui consiste il senso della vita e della storia. San Giovanni Paolo II, riprendendo il magistero del Concilio Vaticano II (cfr. GS 22), ha voluto questa basilare verità di fede come riferimento programmatico di tutto il suo pontificato.
Il tema è di profonda e urgente attualità in quanto l’uomo contemporaneo è angosciato nella ricerca del bene, della verità e della gioia e, smarrendosi nella presunzione di bastare a se stesso, è dolorosamente deluso da surrogati di volta in volta adottati e ondeggia pericolosamente tra l’ebbrezza di un’onnipotenza aggressiva e fasulla e la depressione di un feroce disincanto.
Il Natale ci raggiunge con una disarmante semplicità e attrae il nostro cuore con il presentimento del vero e la nostalgia di un bene affannosamente cercato e raramente goduto. Dio si fa bambino per indicare che soltanto lo sguardo puro, capace di meraviglia, dei piccoli può intercettare la presenza di Dio e accogliere il dono della salvezza: “a quanti però lo hanno accolto ha dato il potere di diventare figli di Dio” (Gv 1, 12).
La tradizione natalizia provenzale colloca nel presepe un pastore, che, a differenza degli altri, non ha tra le mani nessun dono da presentare al nato Re; tiene soltanto il cappello in mano in segno di adorazione ed ha lo sguardo rapito da quel bambino deposto nella mangiatoia: viene indicato come “le berger au chapeau” ed è il simbolo dello stupore.
Antoine de Saint-Exupéry, dedicando la sua opera “Il piccolo principe”, scrive così: “Domando perdono ai bambini di aver dedicato questo libro a una persona grande. Ho una scusa seria: questa persona è il migliore amico che abbia al mondo. […] dedicherò questo libro al bambino che questa grande persona è stata. Tutti i grandi sono stati bambini una volta. (Ma pochi di essi se ne ricordano)”.
Per comprendere e ricevere la grazia del Natale anche per ognuno di noi è necessaria tale attitudine; non si tratta di effimero sentimentalismo, ma di “infanzia spirituale”: una chiara esigenza evangelica, condizione irrinunciabile per poter “vedere” il Regno di Dio. Gesù, parlando dei bambini, ha detto: “a chi è come loro appartiene il Regno dei cieli” (Mt 19, 13).
La dimensione della fede evoca la responsabilità di una scelta e non si può mai intendere (modernamente) come la presunzione umana di essere “misura di tutte le cose”.
È probabilmente questa la ragione profonda per cui il mondo, che “giace sotto il potere del maligno” (1 Gv 5, 18), rifiuta la sfolgorante gioia del Natale combattendola apertamente oppure tentando di snaturarla e diluirla secondo le mode del tempo.
Paradossalmente il mondo combatte il Natale perché proprio di tale dono ha bisogno più che di ogni altra risorsa. Da che mondo è mondo l’intelligenza umana cerca il “perché”, il senso della vita, comprendendo che non sarà mai possibile rintracciarlo nelle realtà a portata di mano: ecco perché già i sapienti più antichi puntavano ai primi, o “ultimi” che dir si voglia, perché, all’”arché”, alla causa incausata, che tutto spiega e sostiene. Una trappola pericolosa, menzogna diabolica, induce pericolosamente l’uomo a cercare “il perché” limitando il campo di esplorazione al segmento temporale che sta tra la data di nascita e la data di morte: nel presepe questa molteplicità di situazioni è rappresentata dalle tante statuette raffiguranti professioni e scene familiari, dalle casette dei poveri vicino ai palazzi dei notabili, dagli animali e dalle varie attività. La miopia di ridurre all’orizzonte terreno la ricerca del senso della vita produce soltanto disorientamento e tristezza, nonostante l’apparente appagamento dei bisogni immediati.
Per questo la semplicità del presepe colloca “un centro”, da cui promana luce e che tutto illumina, nel contesto della ricca varietà di vicende umane riprodotte: “un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio” (Is 9, 5).
Egli rappresenta “un oltre”, a cui guardare per avere risposta. Oltre la nascita, cioè prima; oltre la morte, cioè dopo. Da questo necessario sconfinamento prende luce il mistero della vita: da dove vengo e dove vado?
Immediatamente l’indagine sul senso della vita sembrerebbe cristallizzarsi nella formula “io, chi sono?”, secondo la famosa intuizione di Diogene, che cercava l’uomo con la lanterna umana per le strade di Atene.
Più compiutamente la domanda è questa: “io, di chi sono?”.
Natale viene a dirci ancora che per l’uomo è vitale la relazione con Dio, che “non siamo nati da sangue né da volere di carne né da volere di uomo siamo stati generati” (cfr. Gv 1, 13) e che, senza di lui, la vita non ha senso né consistenza.
Nella paura del tempo presente e nella tristezza delle nostre infedeltà lasciamoci cercare e trovare da Dio e non escludiamolo dalla nostra storia, personale e collettiva, con la smemoratezza o l’indifferenza.
“Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere? Anche se queste donne si dimenticassero, io invece non ti dimenticherò mai.
Ecco, ti ho disegnato sulle palme delle mie mani” (Is 49, 15-16a).
Buon Natale!
* Vescovo di Ventimiglia - San Remo