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L'INIZIATIVA

Un appello per fermare l'embargo alla Siria

La situazione in Siria è disperata: Carenza di generi alimentari, disoccupazione generalizzata, impossibilità di cure mediche, razionamento di acqua potabile, di elettricità. L’embargo rende impossibile per i siriani stabilitisi all’estero di spedire denaro ai familiari rimasti in patria.

Esteri 17_05_2016
Una madre siriana con i suoi figli

«Basta con le sanzioni alla Siria e ai siriani». È una richiesta precisa quella che i capi di alcune Chiese cristiane di Aleppo lanciano alla vigilia della riunione del Consiglio europeo del 23 maggio, che avrà all'ordine del giorno la strategia dell'Unione sulla Siria e l'Iraq. Primi firmatari due nomi particolarmente autorevoli come quelli del vicario apostolico per i latini, monsignor Georges Abou Khazen, e del Custode emerito di Terra Santa padre Pierbattista Pizzaballa, il francescano che ha da pochi giorni concluso il suo mandato a Gerusalemme dopo essersi negli ultimi anni più volte recato personalmente nella Siria devastata dalla guerra.

L'appello è stato lanciato attraverso change.org - una tra le più frequentate piattaforme per le petizioni on line - ed è rivolto in maniera particolare «ai parlamentari e ai sindaci di ogni Paese, affinché l’iniquità delle sanzioni alla Siria sia resa nota ai cittadini dell’Unione Europea (oggi assolutamente ignari) e diventi, finalmente, oggetto di un serio dibattito e di conseguenti deliberazioni».

Il momento non è casuale: il 1° giugno scade infatti l'ennesima proroga delle sanzioni adottate dal 2011 dall'Unione Europea contro «personaggi del regime», ma che (come accade sempre) sono andate a colpire soprattutto la popolazione civile della Siria, stremata da cinque anni di guerra. Per questo l'appello chiede la fine di un embargo, che ha solo «contribuito a distruggere la società siriana condannandola alla fame, alle epidemie, alla miseria, favorendo l’attivismo delle milizie combattenti integraliste e terroriste che oggi colpiscono anche in Europa». E lo fa in una maniera pubblica, attraverso uno strumento che permette a ogni cittadino che lo desidera di aggiungere la propria firma facendo così sentire la sua voce.

Insieme a mons. Abou Khazen e a padre Pizzaballa tra i promotori dell'iniziativa figurano l'arcivescovo maronita di Aleppo Joseph Tobji e quello armeno Boutros Marayati, oltre ad alcune tra le voci più significative delle comunità di rito latino della Siria: le monache trappiste di Azeir, i Fratelli Maristi di Aleppo, le suore dell'Ospedale Saint Louis di Aleppo, le Suore del Perpetuo Soccorso.

«La situazione in Siria è disperata - si legge nell'appello -. Carenza di generi alimentari, disoccupazione generalizzata, impossibilità di cure mediche, razionamento di acqua potabile, di elettricità. Non solo, l’embargo rende anche impossibile per i siriani stabilitisi all’estero già prima della guerra di spedire denaro ai loro parenti o familiari rimasti in patria. Anche le organizzazioni non governative impegnate in programmi di assistenza - denunciano i religiosi - sono impossibilitate a spedire denaro ai loro operatori in Siria. Aziende, centrali elettriche, acquedotti, reparti ospedalieri sono costretti a chiudere per l’impossibilità di procurarsi un qualche pezzo di ricambio o benzina».

Sulla carta l'embargo dell'Unione europea sarebbe limitato a 200 persone e 70 entità legate al governo di Damasco. Ma dietro a questo paravento le conseguenze sono pesanti per tutta la popolazione civile, perché l'embargo - associato alla guerra - di fatto paralizza ogni attività economica. Lo raccontava con chiarezza appena qualche giorno fa su Avvenire il parroco di Aleppo, il francescano padre Ibrahim Alsabagh, parlando dei debiti contratti con le banche dalle famiglie: hanno dovuto impegnare le le proprie case per far fronte alla mancanza di lavoro. E proprio per farsi carico di queste situazione la parrocchia adesso sta vendendo tutto ciò che gli è rimasto: solo in questi primi mesi del 2016 sono infatti ben 115 le famiglie a cui è stato dato un aiuto finanziario per ripagare i propri debiti.

È avendo in mente queste situazioni che i firmatari dell'appello sottolineano l'ipocrisia di un atteggiamento come quello dell'Europa, che dice di preoccuparsi dei profughi che scappano dalla guerra, ma nello stesso tempo «continua ad affamare, impedire le cure, negare l’acqua potabile, il lavoro, la sicurezza, la dignità a chi rimane in Siria». 

«Sosteniamo tutte le iniziative umanitarie e di pace che la comunità internazionale sta attuando, in particolare attraverso i difficili negoziati di Ginevra - concludono i religiosi siriani -, ma in attesa e nella speranza che tali attese trovino concreta risposta, dopo tante amare delusioni, chiediamo che le sanzioni che toccano la vita quotidiana di ogni siriano siano immediatamente tolte. L’attesa della sospirata pace non può essere disgiunta da una concreta sollecitudine per quanti oggi soffrono a causa di un embargo il cui peso ricade su un intero popolo». 

- È GIUNTA L'ORA DI RIMUOVERE LE SANZIONI ALLA SIRIA, di Robi Ronza