Un ambientalista scettico contro il catastrofismo climatico dell'estate
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Bjorn Lomborg, "l'ambientalista scettico", torna a scrivere per smentire una serie di miti di questa estate. I morti per l'ondata di calore, gli incendi, le alluvioni, sono brutte notizie. Ma non è detto che la causa sia il cambiamento climatico. E la soluzione non è automatica.
Bjorn Lomborg torna a scrivere, stanco di tanto catastrofismo ambientalista. Il professore danese, docente di Statistica all’Università di Aarus, attualmente presidente del think tank Copenaghen Consensus, nonché ex attivista di Greenpeace, è diventato celebre con il suo libro controcorrente L’ambientalista scettico (2001). Il suo saggio smontava, numeri alla mano, le tesi più allarmiste sul riscaldamento globale antropico. Non solo: Lomborg si è sempre battuto contro le soluzioni più costose e irrazionali a problemi reali, quali gli eventi estremi. In un articolo pubblicato il 25 settembre sul Las Vegas Review Journal, Lomborg affronta e smentisce, a testa alta le maggiori vulgate mediatiche di questa estate: il grande caldo, gli incendi in Nord America e in Grecia e le alluvioni.
Si tratta di tre dei tanti esempi su come l’informazione enfatizza le brutte notizie e non parla di quelle buone, ogni volta che si parla di catastrofi naturali e clima. E soprattutto di come tutto sia sempre ricollegato allo stesso schema: la causa è il cambiamento climatico antropico (causato dall’uomo) e la soluzione è solo la mitigazione, tramite il taglio delle emissioni di gas serra. Ogni dato che non confermi la causa e la soluzione prescritte, viene tagliato fuori dall’informazione mediatica o quantomeno sottovalutato.
Il grande caldo di questa estate, con il mese di luglio considerato il “più caldo di sempre” in molti servizi televisivi, è considerato il maggior killer di anziani e meno anziani. La buona notizia che però non viene data, secondo Lomborg, è che il riscaldamento ha complessivamente salvato più vite di quante non ne abbia terminate. «A livello globale, un recente studio di Lancet ha rilevato 4,5 milioni di morti per freddo, nove volte di più di quelle per caldo. Lo studio rileva inoltre che l’aumento delle temperature di mezzo grado Celsius nei primi due decenni di questo secolo ha causato 116mila morti di calore in più all'anno. Ma le temperature più calde evitano anche 283mila morti per freddo all'anno. Riferire solo sui primi ci lascia male informati».
Si fa cattiva informazione anche quando si ricorda l’aumento di mortalità, soprattutto degli anziani, nel corso della grande ondata di calore in Europa nel 2003, ma non si cita neppure la soluzione del problema. «Dopo le ondate di calore del 2003, le riforme razionali della Francia, che prevedevano l’obbligo di aria condizionata nelle case di cura, hanno ridotto di 10 volte i decessi per calore, nonostante le temperature più elevate». Tanta reticenza a parlare della soluzione, potrebbe essere una scelta politica. Perché per evitare gli effetti più letali, sia del caldo che del freddo, occorre più energia elettrica a basso costo. Mentre tutti i programmi ecologisti, incluso il Green Deal europeo, «… inevitabilmente rendono più cara la maggior parte delle fonti energetiche e ottengono il risultato opposto», secondo Lomborg.
Sì, ma allora gli incendi? Anche in questo caso, si enfatizzano le brutte notizie, ma si tacciono le buone. La cattiva notizia è che sono aumentati gli incendi nel Nord America e in Grecia, ma la buona è che, complessivamente, sono diminuiti gli incendi nel mondo, in particolare in Africa e (Grecia a parte) anche in Europa. «Da quando, due decenni fa, i satelliti della Nasa hanno iniziato a monitorare con precisione gli incendi sull’intera superficie del pianeta – scrive Lomborg - si è registrata una forte tendenza alla diminuzione. All'inizio degli anni 2000, ogni anno bruciava il 3% della superficie mondiale. L’anno scorso, gli incendi hanno bruciato il 2,2% della superficie mondiale, un minimo storico». Secondo gli ultimi rilevamenti, «Cumulativamente fino al 12 agosto, il Global Wildfire Information System mostra che il mondo è bruciato meno della media del decennio precedente».
Sul caso dell’incendio nelle Hawaii, in particolare, l’informazione è stata, secondo lo studioso danese, particolarmente disonesta: «L’incendio nelle Hawaii è una grave tragedia. Tuttavia, è inutile ed è frutto di pigrizia portarlo ad esempio per dare erroneamente la colpa al cambiamento climatico. Gli opinionisti sostengono che il terreno fosse secco al punto da bruciare come una polveriera, ma per la maggior parte degli ultimi 23 anni la contea di Maui è stata più secca della settimana in cui è scoppiato l'incendio». (per un'analisi delle altre cause dell'incendio di Maui rimandiamo a qui)
Oltre al fuoco, anche l’acqua è attribuita al cambiamento climatico antropico. Le alluvioni, da quella in Emilia a quella più drammatica ancora in Libia, sarebbero il sintomo più grave dell’apocalisse climatica. Tuttavia, constata Lomborg, non è stato dimostrato alcun nesso causa-effetto fra cambiamento climatico antropico e alluvioni. Citando fonti istituzionali: «L’ultimo rapporto del Climate Panel delle Nazioni Unite ha “scarsa fiducia nelle affermazioni generali che attribuiscono i cambiamenti negli eventi alluvionali ai cambiamenti climatici causati dall’uomo”».
Eppure sul tema il dibattito è chiuso. La politica adottata dall’Ue e anche dall’ultima amministrazione Usa punta tutto sul taglio delle emissioni, a costi esorbitanti. E non c’è alcuna garanzia che possano mitigare realmente il clima nei prossimi decenni. Politiche molto meno costose per riparare le popolazioni da alluvioni, incendi, ondate di caldo e di freddo, salverebbero molte più vite. Sistemare condizionatori nelle case di riposo, costruire barriere e seguire altre strategie di prevenzione degli incendi, mettere in sicurezza aree a rischio idro-geologico, produrre più energia elettrica con più continuità e costi inferiori, sarebbero soluzioni pratiche alla portata di tutti gli Stati industrializzati. Ma sono ormai considerate politicamente scorrette.