Incendio alle Hawaii: è mancata la prevenzione, non l'"emergenza climatica"
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A Maui, isola delle Hawaii, l'incendio ha causato il più alto numero di vittime nella storia degli Usa dal 1918. Gravi le carenze delle autorità locali nella prevenzione. Non mancava invece lo stato di "emergenza climatica", proclamato nel 2021 dalle Hawaii. Che non è servito a nulla.
Il peggior incendio negli Stati Uniti dal 1918. Ad una settimana dal grande rogo di Lahaina, isola di Maui, Hawaii, è ormai tempo di bilanci. Non si conosce ancora il numero finale delle vittime. Per ora il bilancio è fermo a 99 morti, ma ci sono più di mille dispersi. Lo Stato insulare del Pacifico era stato il primo negli Usa a dichiarare l’emergenza climatica, nel 2021. All’atto pratico, non è servita a nulla. Il numero di vittime è così alto proprio perché è fallita la prevenzione e le autorità locali non hanno saputo reagire all’emergenza dell’incendio.
Le testimonianze dei sopravvissuti parlano di sirene che non hanno suonato (eppure ci sono, 80 in tutta l'isola di Maui). Messaggi sui cellulari sono arrivati solo a una minoranza dei 13mila abitanti di Lahaila, la città rasa al suolo dall’incendio. Le indicazioni sono state poco chiare e i messaggi contraddittori. Infatti, alle 9 del mattino, un primo incendio individuato poco prima delle 7, era considerato “domato al 100%”. In realtà non era domato e verso le 15 ha iniziato a bruciare la città, diffondendosi da un quartiere all’altro fino al mare. Per le 22, la città era interamente coinvolta.
La maggior parte della gente che è fuggita in cerca di salvezza, verso le spiagge o infilandosi nell’ingorgo dell’unica autostrada costiera (bloccata dal crollo di pali della luce) si è accorta dell’incendio solo quando lo ha visto o ha assistito alla fuga di massa della popolazione. La velocità con cui si sono propagate le fiamme non basta a spiegare perché così tanti abitanti di Lahaila siano morti in casa o carbonizzati nelle loro auto. Quel che è mancato è un chiaro piano di evacuazione e di contenimento dell’incendio.
Il Wall Street Journal ha condotto una sua inchiesta e ha trovato un piano del 2014 (quasi dieci anni fa) disatteso. Era redatto dallo Hawaii Wildfire Management Organization, un’associazione non profit che lavora con il governo. Le misure suggerite sono state implementate solo in minima parte, per mancanza di fondi investiti nella prevenzione degli incendi. L’autrice principale del rapporto, Elizabeth Pickett, ha dichiarato: “Abbiamo insistito su questo punto, ed è davvero frustrante e straziante vedere che alcune cose avrebbero potuto essere fatte, ma non siamo riusciti a trovare i fondi”.
Lo studio alla base del piano sottolineava il pericolo incendi per l’area di Lahaina, perché vicina a steppe tropicali altamente incendiabili e forti venti che si incanalano fra le alture alle sue spalle. Queste sono state effettivamente le cause accertate della velocità con cui si è diffuso l’incendio alla città (non la causa iniziale, che è ancora ignota): l’infestazione diffusa di erbe africane, importate come mangimi nei decenni precedenti e forti venti (fino a 100 km orari) arrivati dall’uragano Dora e incanalatisi fra le alture che dominano la città.
Il pericolo di incendi diffusi dai venti di un uragano era stato oggetto di un altro studio, dell’Università delle Hawaii, del 2020, a seguito di incendi scoppiati nelle isole di Maui e Oahu nel 2018, a loro volta causati dell’uragano Lane. Anche questo studio costituiva un avvertimento. Ma le autorità si giustificano, in questi giorni, affermando che non avrebbero potuto prevedere un simile disastro naturale. Quanto alle erbe africane: sono rimaste, quando gli agricoltori se ne sono andati. Il vecchio settore primario era in crisi e i terreni attorno alla città, come in molte altre località delle Hawaii, sono rimasti incolti. Questa è un’ulteriore causa: i campi coltivati avrebbero rallentato l’incendio e garantito ai vigili del fuoco riserve d’acqua.
Sulla causa dell’incendio (chi o cosa lo abbia appiccato) l’indagine è ancora in corso. Ma gli esperti puntano il dito sempre più sulla compagnia elettrica locale, la Hawaiian Electric, accusata di non aver mai interrotto il servizio anche durante l’allerta dovuta ai forti venti. Nel 2022 la stessa Hawaiian Electric aveva chiesto alla Commissione per i servizi pubblici un finanziamento di quasi 190 milioni di dollari per rafforzare la sua rete e per implementare misure di prevenzione degli incendi. La richiesta era ancora rimasta senza risposta, nel momento in cui è scoppiato l’incendio.
Si poteva evitare un bilancio delle vittime così grave? Serve un controfattuale, un “cosa sarebbe successo se”. E il controfattuale ce lo fornisce Rodi, l’isola greca vittima di un altro grande incendio che però ha provocato un solo morto. Il professor Costas Synolakis, docente di Ingegneria all’Università della California del Sud, ha comparato i due disastri: simili le circostanze a Maui e a Rodi, simili le dimensioni dell’isola, simile anche il clima e la popolazione (autoctona e turistica) presente. In questo caso, la Grecia è stata più efficiente, facendo evacuare già il primo giorno fra le 20mila e le 30mila persone da 12 località diverse.
La mancanza di prevenzione ha dunque causato la distruzione di una città intera. È stata completamente distrutta la chiesa protestante di Waiola, che a maggio aveva appena celebrato i suoi 200 anni (era stata fondata per volontà del primo re cristiano delle Hawaii, quando erano ancora un regno). Mentre è rimasta miracolosamente intatta la chiesa cattolica Maria Lanakila, un edificio del 1873. “Per noi è come un miracolo”, ha commentato monsignor Terrence Watanabe. “Quando abbiamo visto il telegiornale e abbiamo visto il campanile della chiesa svettare ancora sulla città, è stato un grande spettacolo”. Per una città completamente distrutta è un segno importante di rinascita.