Ue, quei “visionari” che ce l’hanno con i Paesi cristiani
I leader di quattro gruppi del Parlamento europeo (Soc, Ppe, Verdi, Liberali) minacciano di non firmare il bilancio e scrivono a Merkel e von der Leyen per chiedere che i fondi siano concessi solo a chi rispetta quello che chiamano “stato di diritto”. Il loro bersaglio? Paesi come Polonia e Ungheria, che cercano, legittimamente, di resistere alle lobby Lgbt e abortiste
Europa in crisi profonda, tornano i politici ‘visionari’ e la pandemia mentale nelle istituzioni si dimostra peggiore della crisi provocata dal Covid-19. I leader di quattro gruppi politici del Parlamento europeo (Soc, Ppe, Verdi, Liberali), ovvero i famosi ‘visionari’ che lo scorso anno avevano dato inizio alle trattative per la nascita della Commissione, hanno avvertito mercoledì 26 agosto che non firmeranno il prossimo bilancio a lungo termine se non ci sarà un accordo formale sul collegamento dei fondi UE allo stato di diritto. I capi dei quattro gruppi europei hanno inviato la loro minacciosa lettera alla cancelliera tedesca Angela Merkel, il cui governo presiede attualmente il Consiglio dell’UE, e alla presidente della Commissione, Ursula von der Leyen. Vi si legge: “È giunto il momento di accelerare la lotta contro l’erosione della democrazia, dello stato di diritto e dei diritti fondamentali nel cuore stesso dell’UE e di sottolineare che le vittorie elettorali non costituiscono un mandato per l’allontanamento dai valori europei”.
Nessun riferimento esplicito, ma è chiaro che coloro che hanno firmato la missiva si riferiscono ai Paesi conservatori e cristiani dell’Europa centrorientale, Polonia e Ungheria in primis. L’assurdità del contenuto della minaccia è tanto più grave per il fatto che non vi si trova nessuna definizione dei criteri di valutazione dello “Stato di diritto”, nessuna specifica accusa sulla “erosione della democrazia”, nulla di nulla sui “valori europei”.
Il testo originariamente proposto dalla Commissione al Consiglio Europeo di luglio prevedeva un sistema che avrebbe “affrontato le carenze generalizzate manifeste nel rispetto dello stato di diritto negli Stati membri”, parole di un’ambiguità tale da consentire alla Commissione di contestare e impugnare un qualunque provvedimento di riforma di ogni Stato membro. Perciò, il testo approvato dal Consiglio chiariva che “gli interessi finanziari sono tutelati secondo i principi generali” dell’articolo 2 del TUE, citando un “regime di condizionalità” a questo proposito. Cosa dice l’articolo 2? “L’Unione si fonda sui valori del rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell’uguaglianza, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle persone appartenenti a minoranze. Questi valori sono comuni agli Stati membri in una società caratterizzata dal pluralismo, dalla non discriminazione, dalla tolleranza, dalla giustizia, dalla solidarietà e dalla parità tra donne e uomini”. Ebbene cosa ci sarebbe di poco chiaro in questa affermazione? Nulla, visto che si rifà alle convenzioni e dichiarazioni universali internazionali. Molto, per i firmatari e le lobby anticristiane, perché quell’articolo non prevede esplicitamente il riconoscimento dei cosiddetti “diritti civili”, come l’ideologia Lgbt, l’aborto, ecc.
Nella loro lettera, i capi dei quattro gruppi parlamentari hanno espresso rammarico per questo compromesso e minacciato di bocciare il Piano di bilancio pluriennale. Hanno anche chiesto la reintroduzione della regola della “maggioranza qualificata inversa”, originariamente proposta dalla Commissione, in base alla quale la decisione della Commissione di bloccare l’erogazione di fondi comunitari a Paesi con problemi sistemici di Stato di diritto potrebbe essere a sua volta bloccata da una maggioranza ponderata di Stati membri. Questa nuova regola vergognosa appare un’applicazione del principio dell’inversione dell’onere della prova, già introdotta nelle legislazioni pro gay di molti Paesi, secondo la quale è l’accusato che deve provare la propria innocenza.
La lettera è l’ultimo di una serie di segnali che i legislatori non sono disposti a ritirarsi sulla questione della condizionalità, a seguito di una risoluzione dopo il vertice di luglio che ha minacciato di negare il consenso parlamentare. Lo aveva già minacciato il presidente del Parlamento Europeo, David Sassoli, a fine luglio e la stessa assemblea votando una risoluzione, il 23 luglio, nella quale si diceva che il Parlamento è pronto a “trattenere” (negare) il consenso necessario per approvare un nuovo bilancio dell’UE, “fino a quando non sarà raggiunto un accordo soddisfacente” (vedi qui), il che potrebbe potenzialmente ritardare anche l’istituzione del fondo di recupero (Recovery Fund), visti i forti legami tra i due. Nel testo, i legislatori dell’UE accoglievano con favore l’accordo trovato nella burrascosa riunione del Consiglio Europeo (vedi qui), ma “non accettavano” l’accordo politico sul cosiddetto QFP (Bilancio finanziario pluriennale), anche per l’annacquamento della regola di reciprocità: fondi/verifica sullo Stato di diritto & valori europei.
Non è un caso se, in questi giorni, è partito dalle colonne del Guardian un poderoso, quanto infondato, attacco al Governo polacco, accusato di erodere la democrazia nel Paese. Bene ha fatto dunque Orban a dire, parlando al Bled Strategic Forum (conferenza slovena sulle strategie future alla quale partecipano moltissimi politici e leader, non solo europei), che l’Europa è in difficoltà e non solo per le conseguenze del Covid-19 (vedi qui).
Se il problema europeo più grave, secondo l’opinione di molti leader politici, è quello di colpire i Paesi virtuosi cristiani per promuovere le orde Lgbt e abortiste, allora significa che siamo di fronte a un problema molto serio, un completo scollegamento tra le leadership europee e la realtà quotidiana in cui vivono centinaia di milioni di cittadini. La pandemia mentale è ben più grave di quella causata dal Covid-19. Non c’è vaccino che tenga, serve un profondo cambiamento: uno sguardo verso l’Alto e una grazia dal Cielo.