Ue come Hitler? Che sciocchezza (o forse no...)
Dire che Boris Johnson fa un solo fascio di Hitler e dell’Unione Europea è in effetti una forzatura. Il ragionamento che l’ex-sindaco conservatore di Londra, grande sostenitore dell’uscita della Gran Bretagna dall’Ue, ha sviluppato nell’intervista poi pubblicata dal giornale inglese Sunday Telegraph, è un po’ più complesso...
Dire che Boris Johnson fa un solo fascio di Hitler e dell’Unione Europea è in effetti una forzatura. Il ragionamento che l’ex-sindaco conservatore di Londra, grande sostenitore dell’uscita della Gran Bretagna dall’Ue, ha sviluppato nell’intervista poi pubblicata ieri dal giornale domenicale inglese Sunday Telegraph, è un po’ più complesso.
L’Europa secondo lui ha una costante nostalgia per la pacifica prosperità della quale avrebbe goduto al tempo dell’Impero romano. «Napoleone, Hitler e diversi altri» hanno perciò cercato di far tornare l’Europa a quell’età dell’oro, sempre con tragici risultati. «L’Unione Europea», ha concluso Johnson, «è un tentativo di fare la stessa cosa con altri metodi». Si tratta, come si vede, di conclusioni tirate al termine di un excursus storico che merita le più ampie riserve. Non si può dire, tuttavia, che egli abbia preteso che Hitler e la Commissione europea siano la stessa cosa.
Il richiamo a Hitler è valso tuttavia a dare a quella sua intervista un eco mediatico planetario che altrimenti non avrebbe avuto. Ad ogni modo, pur se riportata alle sue reali dimensioni, la “sparata” di Boris Johnson è un sintomo di quanto accesa stia diventando la campagna per il referendum pro o contro la permanenza di Londra nell’Ue in programma in Gran Bretagna il 23 giugno prossimo. Già ne avevamo parlato e non torniamo qui di nuovo su quanto già dicemmo (clicca qui). Al di là delle sue fantasiose argomentazioni Boris Johnson è sostanzialmente nel giusto quando poi dice che l’obiettivo di fare dell’Europa un solo Stato è comune sia al progetto di Napoleone sia a quello di Hitler che infine a quello dell’Unione Europea così come oggi è.
Pur nel quadro di vasta rete di astute cautele il processo che si è messo in moto con il trattato di Maastricht ha, infatti, come obiettivo finale la concentrazione a Bruxelles di tutto il potere reale con la conseguente riduzione degli Stati membri a grandi… prefetture incaricate di attuare in loco le scelte politiche prese al centro in un contesto che, essendo scarsamente garantito da un punto di vista democratico, apre perciò sempre più la strada al predominio irresistibile dello Stato membro di gran lunga più forte, ossia della Germania. Boris Johnson l’ha detto male, ma in sostanza ha ragione. E d’altra parte ha ragione anche quando dice che «fondamentalmente l’eterno problema è il fatto che l’idea di Europa non suscita sentimenti di lealtà; non c’è una sola autorità (europea) che tutti capiscano e che tutti rispettino, e da ciò deriva un enorme vuoto di legittimazione democratica».
Stando così le cose, dicono in Gran Bretagna Johnson e gli altri che la pensano come lui, è meglio che Londra tagli i ponti con l’Unione europea e la lasci andare al suo destino. Può darsi che ciò per loro sia possibile, e comunque non sta a noi decidere che cosa gli inglesi e gli altri popoli della Gran Bretagna devono fare. Diverso invece è il caso di un Paese come il nostro, che non è una grande isola e nemmeno la metropoli di un “arcipelago” intercontinentale di Stati sparsi nei più diversi Continenti. Per l’Italia la questione se stare o meno nell’Unione europea non si pone. Avremmo dovuto starci dentro in modo meno passivo, avremmo dovuto incidere in modo più attivo sullo sviluppo delle sue istituzioni, avremmo dovuto entrare nell’euro non con il cappello in mano e non accettando un cambio lira-euro che non ci conveniva.
Detto tutto questo però dobbiamo anche aggiungere che non potevamo restarne fuori. Ben venga dunque, dicevamo, lo shock dell’uscita di Londra dall’Ue (o comunque il mezzo shock della conferma della permanenza a strettissima maggioranza) se può segnare l’inizio di un suo processo di rifondazione, che implica in primo luogo la riscoperta dei suoi fondamenti storici e culturali. Una censura che è all’origine della carenza di legittimazione che Johnson pure sottolineava. Non sarebbe forse il caso di avviare il dibattito, e di aprire la vertenza in sede europea, senza attendere l’esito del referendum britannico del 23 giugno? Quale che ne sarà l’esito, tale referendum chiude un’epoca. In una situazione del genere è meglio non limitarsi a subire gli eventi ma prendere iniziativa.