Ubiquità poltronara: Alfano torna all'ovile
C’era da aspettarselo, ma l’ennesima giravolta dei centristi di Alfano sa tanto di disperazione. La nuova piroetta nell'eterno oscillare tra Renzi e Berlusconi sa tanto di ubiquità poltronara. Ma Salvini e Meloni non lo vogliono nel centrodesta e rischia di rimanere col cerino in mano
C’era da aspettarselo, ma l’ennesima giravolta dei centristi di Angelino Alfano sa tanto di disperazione. Nei mesi scorsi, anche a causa della “conventio ad excludendum” imposta nei suoi confronti dal duo sovranista Meloni-Salvini, il Ministro degli Esteri aveva deciso di ritornare sui suoi passi e di riabbracciare Matteo Renzi, che pure lo aveva umiliato ironizzando sulle sue percentuali irrisorie di consenso.
La candidatura del Rettore Micari alla Presidenza della Regione Sicilia è figlia proprio del rinascente patto tra Alfano e Renzi, che ha consentito a entrambi di governare il Paese negli ultimi anni. Quando il segretario Pd aveva immaginato una legge elettorale con sbarramento al 5%, che avrebbe escluso Alternativa popolare dal prossimo Parlamento, Angelino si era ribellato dicendo che la stagione della collaborazione con i governi di centrosinistra si era conclusa. In realtà, viste le leggi che quegli esecutivi hanno promosso e fatto approvare in Parlamento, soprattutto sui temi etico-sensibili (vita, famiglia, ecc.), la stagione della quale parla Alfano non sarebbe mai dovuta iniziare, considerato che lui e i suoi amici di partito hanno sempre impostato la loro campagna elettorale sulla fedeltà al Magistero della Chiesa Cattolica. Di quella fedeltà, però, non si è vista traccia in questa legislatura ormai agli sgoccioli, mentre si è avuta concreta e costante percezione dell’attaccamento dei centristi cosiddetti cattolici alle poltrone e della loro sudditanza culturale a certo laicismo.
Ora, però, si registra una nuova piroetta nel loro eterno oscillare tra Renzi e Berlusconi, tra l’alleanza con il centrosinistra e l’alleanza col centrodestra. I sondaggi sul voto siciliano dicono che Micari certamente non diventerà Presidente e che anzi rischia di arrivare terzo o quarto, dopo il favorito Musumeci (centrodestra) e gli altri candidati del Movimento Cinque Stelle e di Mdp e sinistra antirenziana. A urne chiuse, si aprirà un processo a Renzi dentro il Pd, ma soprattutto ad Alfano nel centrosinistra. Ecco perché lo scaltro Ministro degli Esteri ha tirato fuori dal cilindro il piano B: un nuovo disperato riavvicinamento a Berlusconi e al centrodestra.
Approssimandosi, però, il momento della resa dei conti di fronte agli elettori, che certamente non saranno entusiasti di quanto fatto dagli alfaniani in questa legislatura, bisognava tentarle tutte. Le ultime tre mosse di Alfano sono da Manuale del camaleontismo.
La prima è stata quella di sbarrare la strada alla legge sullo ius soli, che magari non sarebbe stata comunque approvata, ma che certamente non ha i numeri in Parlamento senza l’appoggio di Alternativa popolare. In questo modo Alfano si intesta il merito di aver fatto saltare una legge assai gradita a sinistra ma molto sgradita a destra, e usa questa astuta mossa come captatio benevolentiae nei riguardi dei berlusconiani.
La seconda è stata quella di Alfano di cedere il timone della sua moribonda formazione politica, indebolita dalle molteplici defezioni di deputati e senatori già tornati all’ovile berlusconiano, a Maurizio Lupi, centrista lombardo. Lupi è stato ministro nel governo Renzi, si è dimesso per la questione del Rolex al figlio e, per quanto riguarda le alleanze, ha sempre guardato più a destra che a sinistra. In Lombardia, infatti, il centrodestra è unito attorno al Presidente Maroni, e i seguaci di Alfano sono già pronti a passare in blocco con Stefano Parisi, visto che dentro Forza Italia sono in molti a non volerli più.
La terza è stata quella di farsi assegnare, con una fine trattativa di palazzo, la presidenza della commissione d’inchiesta parlamentare sulle banche. Ad ottenerla è stato Pierferdinando Casini, che non è del partito di Alfano, ma che ha sempre fatto il tifo per un’alleanza organica tra i centristi e Renzi. Dal ruolo di Presidente di quella commissione, che dovrà occuparsi di Banca Etruria, del padre della Boschi e di altre vicende spinose per il governo, Casini potrà giocare la sua partita dei seggi per la prossima legislatura, e magari otterrà dal centrosinistra qualche posto da deputato o da senatore per sé e per qualcuno dei suoi.
Dunque, ricapitolando, un po’ di qui e un po’ di là, i centristi si condannano all’insignificanza culturale ma coltivano l’ambizione dell’ubiquità poltronara, rimanendo a nord col centrodestra e al sud col centrosinistra. Questa volta, però, a rimanere col cerino in mano potrebbe essere lo stesso Alfano. Salvini e Meloni non vogliono neppure sentir parlare di un suo ritorno nel centrodestra, e forse sotto sotto è lo stesso Berlusconi che non lo rivuole, perché teme i malumori nel suo partito. Renzi dice che Alfano è indigesto per il suo elettorato e vorrebbe svuotargli il partito senza essere costretto a candidare lui in prima persona. Eppure il paradosso è che nella prossima legislatura, in caso di palude e di mancanza di vincitori, il trasformismo potrebbe addirittura aumentare. E i voti centristi, sempre meno numerosi, potrebbero comunque risultare decisivi per la formazione di un governo di larghe intese.