Tutti ripetono il mantra del patriarcato senza sapere cos'è
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Ogni volta che la vittima è una donna sui media e sui social si finisce per evocare lo spettro della società patriarcale. E quasi nessuno sa di cosa sta parlando.
Tutti parlano di società, cultura, mentalità patriarcali in questi giorni. C’è chi spiega con il patriarcato, e sono tanti, l’omicidio della povera Giulia Cecchettin, uccisa da un coetaneo, e c’è chi non è d’accordo perché, dice, l’Italia è tutto fuorché una società patriarcale, le motivazioni che hanno spinto Filippo Turetta sono da ricercarsi altrove. Gli uni e gli altri evidentemente condividono un giudizio negativo sulle società patriarcali. Contro gli uni e gli altri c’è chi invece difende il patriarcato fin quasi a idealizzarlo.
L’impressione, però, leggendo gli articoli, ascoltando le interviste, scorrendo i commenti pubblicati sui social è che la maggior parte delle persone non sappiano esattamente di che cosa stanno parlando. Altrimenti, prima di tutto, saprebbero che in una società patriarcale un ragazzo di 22 anni non può decidere di uccidere qualcuno, men che meno una donna, e, se lo fa, questo può costargli la vita. Il motivo è che in una società patriarcale un giovane non sposato non ha potere né autorità, che cosa può e deve fare e che cosa non gli è permesso lo stabilisce il capo della famiglia alla quale appartiene, nel rispetto delle istituzioni tramandate di generazione in generazione, risalendo fino a quella degli antenati fondatori che le hanno create. Di sicuro non gli è consentito di togliere la vita a una donna per vendetta, capriccio, orgoglio ferito.
Il termine patriarcato infatti indica un sistema sociale nel quale il governo della famiglia è diritto e dovere degli uomini sposati, i capifamiglia, e il governo delle comunità spetta all’insieme dei capifamiglia. Una società patriarcale è anche gerontocratica e necessariamente autoritaria. Gerontocratica vuol dire che, maschio o femmina che sia, conta sempre di più chi è nato prima, con un’unica condizione e cioè che nel corso della sua vita una persona assolva al compito primario di generare figli per assicurare la sopravvivenza della propria famiglia e la continuità della sua linea di discendenza.
Nella maggior parte dei casi le società patriarcali sono anche patrilineari: status famigliare, titoli, proprietà, beni si trasmettono dal padre ai figli maschi. Ma anche in quelle matrilineari l’eredità passa da una generazione di maschi all’altra: i figli di una donna ereditano dagli zii materni. Gerontocrazia vuole anche dire che, all’interno di ogni famiglia, i figli maschi a seconda dell’ordine di nascita hanno ruoli e status diversi: è il primogenito a succedere al padre e per tutta la vita i fratelli cadetti, anche dopo aver assunto lo status di capifamiglia una volta sposati, devono in qualche misura essergli sottomessi.
Altra caratteristica delle società patriarcali è che non contemplano l’esistenza di diritti umani universali e inalienabili. Chi in questi giorni “riscopre” il patriarcato ne deve tenere conto. I diritti dipendono dallo status e dal ruolo svolti di volta in volta nel corso della vita, quindi dalla posizione sociale di ciascuno. Questa inoltre viene attribuita, e imposta, in base a fattori che idealmente si vorrebbero del tutto ascritti, immodificabili: essenzialmente, essere nati maschi o femmine, la posizione assegnata alla propria famiglia all’interno della comunità e l’ordine di nascita rispetto ai fratelli.
Tutti nelle società patriarcali sono sottomessi ai capifamiglia, a loro volta vincolati nelle loro decisioni e nel loro operato alle tradizioni di cui sono custodi, alle quali per primi e meglio di tutti si devono sottomettere. È compito loro imporre un controllo particolarmente rigoroso sui giovani, maschi e femmine, perché dal loro comportamento dipendono le sorti delle famiglie e delle comunità, il loro futuro. Ecco perché una delle istituzioni tipiche del patriarcato è il matrimonio combinato, che non lascia alla discrezione delle persone la scelta di quando e con chi formare una famiglia.
Lo status degli uomini però si eleva con il matrimonio, con la nascita dei figli, con l’età e, gradualmente, il controllo su di loro si allenta. Alle donne il trascorrere della vita invece non porta sostanziali cambiamenti, le mantiene sottomesse. Il controllo su di loro si intensifica soprattutto dal momento in cui sono in grado di procreare oltre che di svolgere, come fanno fin da bambine, le attività produttive e domestiche assegnate al sesso femminile. Proprio perché costituiscono una risorsa indispensabile, vitale, le società patriarcali dispongono persino di istituzioni che le pongono in una condizione simile all’asservimento. Il prezzo della sposa, ad esempio, una istituzione molto diffusa, impone di risarcire in beni e denaro la famiglia della donna che si desidera sposare. In cambio, il marito e la sua famiglia acquisiscono per sempre, fino alla morte, diritti assoluti su di lei e sui figli che genera.
Per finire, le istituzioni patriarcali sono funzionali a economie arcaiche, spesso di sussistenza. Sono incompatibili invece con le economie di mercato che hanno bisogno di persone libere e intraprendenti. Con la rivoluzione industriale e la nascita del capitalismo quelle istituzioni nonostante le resistenze sono state progressivamente abbandonate e sostituite con altre, ma il terreno era già stato preparato molti secoli prima dal cristianesimo. L’islam al contrario le ha recepite e sacralizzate dichiarandole volontà divina.
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