Per capire il delitto Cecchettin: leggete Dostoevskij. E guardate alla Croce
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Il parroco del paese in cui è cresciuto Filippo Turetta, l'assassino di Giulia Cecchettin, spiazza una cronista locale. Alla domanda su cosa ne pensi, risponde: «Leggete “I fratelli Karamazov” e guardate alla Croce».
Il parroco di Torreglia (Padova), il centro di 6000 anime nel cuore dei Colli Euganei, il paese di Filippo Turetta il ventiduenne assassino di Giulia Cecchettin, la laureanda dell'Università di Padova, ora agli arresti in Germania e in attesa dell’estradizione, sollecitato da una cronista in merito al drammatico fatto di cronaca ha dato una risposta per così dire sconcertante. Alla richiesta di esprimere un parere su quanto accaduto, da parte di una giornalista dell’emittente trevigiana Antenna 3, domenica 19 novembre, si è espresso in questi termini: «Leggete “I fratelli Karamazov” e guardate alla Croce».
La cronista, spiazzata, non ha probabilmente saputo replicare e la cosa è finita lì. Non la solita risposta di circostanza, convenzionale, ma una specie di responso che varrebbe la pena di approfondire. Sappiamo che il capolavoro di Dostoevskij, scritto alla fine del XIX Secolo, spazia su argomenti decisivi come: la fede, il libero arbitrio, la libertà senza condizioni. L’uomo liberatosi dai vincoli della religione e dell’etica sarà libero di fare qualsiasi cosa e di oltrepassare ogni limite. Autoreferenziale, solo a se stesso dovrà rendere conto e diventerà una sorta di divinità. D’altronde questa è la tentazione del diavolo nel paradiso terrestre: «diventereste come Dio, conoscendo il bene e il male» (Gen 3,5). E poi c’è la Croce di Cristo, unica ancora di salvezza in questo mondo immerso nel male sin dalle origini.
Viene in mente poi una frase di Albert Camus, morto nel 1960: «Se si può essere un santo senza Dio, è il solo problema concreto che io oggi conosca». Dagli innumerevoli tentativi del secolo scorso, a partire dai sistemi politici e sociali, per finire alla deriva antropologica dei nostri giorni, non c’è che una risposta: no.
Per tornare al fatto di cronaca, noto a tutti, e che ha tenuto l’Italia intera col fiato sospeso per una settimana e mai si era assistito ad una così imponente copertura televisiva per casi simili, Antenna 3, ha iniziato a trattare i tragici eventi già dalla mattinata di domenica, proseguendo ininterrottamente fino a tarda serata. I commenti sono stati i più disparati, ma come un mantra si parlava di “patriarcato”. L’Italia è un paese che ancora non si è staccato da una prospettiva patriarcale, nel senso più becero del termine. E all’obiezione che nei paesi dell’Europa settentrionale, ritenuti più “evoluti” in questo senso, si verifica un numero ben più alto di omicidi con vittime delle donne, rispetto all’arretrata Italia, si risponde che anche in quelle nazioni vige ancora il patriarcato.
Si è parlato delle agenzie educative, ora sono rimaste solo due: la famiglia e la scuola. La Chiesa è sparita. Ma il richiamo del parroco di Torreglia la rimette forse in campo, per cercare le vere cause del disagio giovanile, di questa generazione bruciata, vittima di tanta ideologia deviante. La famiglia è in crisi, il suo compito educativo disatteso, per cui la frase del padre del giovane omicida: «Gli abbiamo assicurato tutto» è stata interpretata da qualche esperto come incapacità di una corretta educazione, non in grado di dire dei “no”. Alla domanda «se ci potessero essere delle avvisaglie intercettabili», un noto psicoterapeuta della provincia di Treviso ha risposto che vi sono delle psicopatologie che non anticipano segnali del manifestarsi di un’aggressività omicida, a posteriori è possibile ricostruire il vissuto ed eventualmente individuarne la causa, in personalità molto disturbate.
Ma l’unico rimedio prospettato all’unanimità per un fatto tanto tragico, che ha trascinato nella disperazione due famiglie, è un altro mantra: l’educazione all’affettività, di cui dovrebbe prendersi carico la scuola, un ambito oggigiorno minacciato da quell’ideologia di genere che non potrà che portare ulteriore confusione ed esiti nefasti ai nostri ragazzi. Nulla di buono all’orizzonte. Ma qualcuno si chiede se le cause di questa deriva sociale e psicologica di adolescenti e giovani non vada, invece, ricercata nel vivere come se Dio non esistesse e nel conseguente relativismo etico, denunciato incessantemente da Benedetto XVI.