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i dati

Tumori in aumento, la scarsa prevenzione non spiega tutto

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400mila casi di tumore nel 2023. Si incolpa la mancata prevenzione a causa della pandemia. Ma non può spiegare tutto. Si fa largo l'ipotesi del luminare Dalgleish: sarebbe determinante la proteina spike in grado di bloccare i geni soppressori del cancro. 

- Infodemia e ospedali pieni di Stefano Magni

Attualità 20_12_2023

Negli scorsi giorni è stato presentato il volume “I numeri del cancro in Italia 2023”. Si tratta di un vero e proprio censimento ufficiale, giunto alla tredicesima edizione, che descrive gli aspetti relativi alla diagnosi e terapia delle neoplasie grazie al lavoro dell'Associazione Italiana di Oncologia Medica (Aiom), Airtum (Associazione Italiana Registri Tumori), Fondazione Aiom, Osservatorio Nazionale Screening (Ons), Passi (Progressi delle Aziende Sanitarie per la Salute in Italia), Passi d'Argento e della Società Italiana di Anatomia Patologica e di Citologia Diagnostica (Siapec-Iap). 

Cosa dicono questi dati? Che nel corso degli ultimi tre anni, definiti di “post-pandemia”, stiamo assistendo ad un aumento molto significativo dei casi di tumori in Italia. Si stimano, nel solo ultimo anno 2023, quasi 400.000 casi. Si tratta di una vera e propria epidemia.  

Il tumore più frequentemente diagnosticato, nel 2023, è il carcinoma della mammella (55.900 casi), seguito dal colon-retto (50.500), polmone (44.000), prostata (41.100) e vescica (29.700). E, nei prossimi due decenni, gli esperti oncologi prevedono che il numero assoluto annuo di nuove diagnosi oncologiche nel nostro Paese aumenterà in media ogni anno dell'1,3% negli uomini e dello 0,6% nelle donne. 

Di fronte ad un fenomeno così eclatante, è necessario porsi delle domande in merito alle cause di questo aumento. Una risposta che è stata data immediatamente è che si fa meno prevenzione: durante la cosiddetta emergenza pandemica, sono diminuite considerevolmente le attività di screening. Vale la pensa sottolineare che lo screening per l’identificazione precoce di un tumore viene effettuato solo per alcuni tipi di tumore: della mammella, dell’utero e del colon retto. 

Per tutti gli altri tumori non esiste screening, e la prevenzione può essere fatta solo agendo sugli stili di vita. Approfittando della diffusione di una patologia respiratoria come la SARS-Cov 2 si sarebbe potuto proficuamente effettuare delle campagne informative contro il tabagismo, ma con scelte politiche paradossali, non solo non venne attuata una tale campagna, ma mentre quasi tutti gli esercizi commerciali venivano chiusi, i tabaccai furono lasciati aperti anche durante i lockdown più severi. D’altra parte il consumo di sigarette è sempre stato ampiamente protetto, e in tempi passati i primi oncologi che avevano osato mettere in correlazione il fumo delle sigarette coi tumori, erano stati addirittura denunciati per diffamazione dalle multinazionali del tabacco.

C’è anche un altro aspetto da sottolineare: gli screening del tumore alla mammella, dell’utero e del colon retto vengono proposti in determinate fasce d’età. Ora, una percentuale significativa dei nuovi tumori si verifica al di fuori di queste fasce, e quindi non sarebbero stati intercettati nemmeno se non fosse diminuita l’attività di screening. Infine: ma perché questa forma di prevenzione ha avuto un ridimensionamento?

L’emergenza, si dice. Ma in realtà la presenza del Covid non avrebbe dovuto in alcun modo impedire l’effettuazione di mammografie, o di Pap test, o esami delle feci. La mancata effettuazione di queste attività che si potevano svolgere in sicurezza è stata dovuta anche in questo caso a scelte politiche, con conseguenti sospensioni di servizi, e al clima di terrore diffuso che teneva lontane le persone dai luoghi di prevenzione e cura. Se dunque i numeri sono quelli segnalati dal rapporto pubblicato, le contromisure devono essere rivolte ad un rafforzamento delle attività di prevenzione e diagnosi precoce. 

Ma come si è detto, il calo del numero degli screening non può essere l’unica causa di una situazione epidemiologica così allarmante. Occorre cercare di individuare anche altre possibili cause.

Dall’Inghilterra si alza la voce di uno dei più stimati oncologi, quella di Angus Dalgleish, Professore di Oncologia presso la St. George's Hospital Medical School di Londra, che ha avuto modo di seguire pazienti con melanoma che erano rimasti stabili per anni e che hanno presentato ricadute dopo le vaccinazioni anti Covid. 

«Altri oncologi mi hanno contattato da tutto il mondo, dice lo scienziato britannico, compresi l'Australia e gli Stati Uniti. L'opinione generale è che la malattia non sia più limitata al melanoma ma che dopo le iniezioni di richiamo si osservi un aumento dell'incidenza di linfomi, leucemie e tumori renali. Inoltre i miei colleghi che si occupano di cancro del colon-retto segnalano un'epidemia di tumori esplosivi (quelli che presentano metastasi multiple nel fegato e altrove). Tutti questi tumori si verificano (con pochissime eccezioni) in pazienti che sono stati  sottoposti a vaccini Covid».  

L’ipotesi del professor Dalgleish è che la proteina spike del vaccino a mRNA blocchi dei geni soppressori del cancro. In tal modo, aumenterebbe la possibilità di sviluppo di nuovi tumori. Un fronte di ricerca da ampliare e approfondire, senza alcune preclusione antiscientifica e di conseguenza anti umana.