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l'analisi

Trump-Musk: conflitto tra logica imprenditoriale e strategia politica

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Quella instauratasi tra Trump e Musk è stata la convergenza tra un leader politico e un imprenditore i quali strutturalmente ragionano usando due logiche diverse: Musk valuta le sue scelte politiche a partire dalle loro ricadute sui suoi interessi economici. Trump guarda innanzitutto al consenso elettorale.

Editoriali 09_06_2025 English Español

L'esplosione del dissidio tra Donald Trump e Elon Musk è probabilmente la fine (anche se non è detta ancora l'ultima parola) di una alleanza che ha rappresentato un anello fondamentale nella costruzione della coalizione politica alla base della vittoria elettorale del tycoon e del suo secondo mandato presidenziale. 

Le reazioni al clamoroso showdown tra i due – nello stile pirotecnico e roboante tipico del carattere larger than life di entrambi, e della retorica social alla quale entrambi ricorrono a piene mani – sono state, comprensibilmente, compiaciute e beffarde nel mondo progressista. Quel mondo che, dopo aver per anni inneggiato al genio di Musk quando le sue posizioni politiche erano allineate all'ideologia liberal dei magnati Big Tech, improvvisamente lo aveva "scomunicato" e additato ridicolmente come una specie di folle nazista e razzista da quando aveva rilevato Twitter abolendo ogni censura contro la libertà di espressione, e da quando aveva dato il suo endorsement a Trump, assumendo poi il ruolo di coordinatore dell'agenzia DOGE per i tagli degli sprechi nella pubblica amministrazione. Ora che i rapporti con The Donald si sono guastati, qualche progressista sicuramente "riabiliterà" Musk, secondo la logica "i nemici dei miei nemici sono miei amici", e qualche organo di informazione di quell'area lo dipingerà come un impavido eroe della libertà. 

Ma al di là di queste folcloristiche, macroscopiche ipocrisie a cui la sinistra occidentale ci ha abituato, anche in ambienti non ideologicamente schierati, o addirittura liberali e conservatori, circolano interpretazioni inadeguate e non a fuoco del conflitto in atto. Qualcuno lo ha giudicato semplicemente come uno scontro personalistico tra due ego giganteschi, tra due galli nel pollaio incapaci di accettare una limitazione alla propria onnipotenza. Ma - fermo restando che si tratta di due personalità forti, umorali e sopra le righe - la posta in gioco nel confronto è talmente grande che bisogna presumere sempre una base razionale nei comportamenti degli attori in gioco. Altri, a partire dal fatto che la disputa è deflagrata innanzitutto a proposito dei tagli alla spesa, dell'aumento previsto del deficit nella legge di bilancio One big beautiful bill e dei dazi, hanno visto in esso innanzitutto l'emergere di un radicale conflitto ideologico: quello tra il libertarismo anarco-capitalista del boss di Tesla e SpaceX, fautore di una "linea Milei" di "Stato minimo" senza compromessi, e una propensione del presidente verso il protezionismo economico e un uso strumentale della spesa pubblica ai fini della crescita economica. 

Ora, non c'è dubbio che una differenza ideologica tra i due esista, e che sia stata per un certo periodo messa tra parentesi per consentire un'alleanza fondata su obiettivi ben precisi e circoscritti. Ma proprio per questo occorre in primo luogo chiedersi perché Musk abbia deciso (perché lo ha deciso indubbiamente lui) di porre fine a tale alleanza, e in che senso egli ritenga che quegli obiettivi non siano più perseguibili. E va ricordato che Elon sarà anche un libertario "puro" nella sua visione del mondo, ma è anche un imprenditore generosamente foraggiato da tempo da sussidi pubblici, come quelli all'acquisto di auto elettriche, e da finanziamenti pubblici per contratti ultramiliardari, come quelli attribuiti al programma SpaceX per la ricerca spaziale e la difesa. 

Se si vuole, allora, comprendere razionalmente il "nocciolo duro" del conflitto, bisogna partire dalla considerazione che quella instauratasi tra Trump e Musk è stata la convergenza tra un leader politico e un imprenditore i quali strutturalmente ragionano usando due logiche radicalmente diverse, e solo occasionalmente coincidenti. Musk valuta le sue scelte politiche e le scelte dell'esecutivo che egli ha sostenuto in primo luogo a partire dalle loro ricadute sui suoi interessi economici e aziendali. Trump guarda innanzitutto al consenso elettorale, e ai rapporti di forza esistenti all'interno della classe politica e delle istituzioni.

L'imprenditore, in nome del consolidamento di una partnership strutturale tra le sue aziende e il governo nel campo dell'IA e dei programmi spaziali, aveva "ingoiato" il rospo della grande offensiva mondiale del presidente MAGA sui dazi - inclusi soprattutto quelli contro la Cina, paese con cui egli ha sempre avuto rapporti economici rilevanti – sperando evidentemente che le trattative con i singoli paesi li avrebbero presto depotenziati. Ciò non si è finora, nel complesso, verificato. La transizione verso la ridefinizione dei commerci mondiali appare ancora caotica, e "in mezzo al guado". E le quotazioni di Tesla sono andate sempre più tendendo al ribasso. In questo contesto, è arrivato lo One big beautiful bill, che è stato letto da Musk come il sigillo di una linea pesantemente protezionista/statalista dell'amministrazione. Da qui gli attacchi rabbiosi al documento, da lui giudicato addirittura come un "abominio", e l'inizio del piano inclinato che ha portato alla guerra aperta con la Casa Bianca. 

In realtà, al di là dell'aspetto "ideologico" di opposizione senza se e senza ma a dazi e deficit spending, è evidente che Musk ha una visione semplificata e falsata della politica americana, per non dire della politica in generale in un regime democratico. Forse egli riteneva che il peso strategico delle sue produzioni e del suo know how fosse sufficiente ad imprimere una direzione a lui gradita della linea di governo trumpiana. Ma l'inquilino della Casa Bianca - per quanto incline a una visione fortemente personalistica del governo e dipinto caricaturalmente dai suoi denigratori addirittura come una sorta di "autocrate" – sa di dover fare i conti con i rapporti di forza esistenti. In particolare, con gli equilibri del Congresso, in cui il Partito repubblicano ha sì la maggioranza in entrambe le Camere, ma molto risicata nella Camera bassa. E con gli equilibri del Partito repubblicano stesso, in cui, come è noto, una larga parte dei rappresentanti non sono affatto paladini duri e puri dell'agenda politica "Maga", e/o esprimono interessi territoriali e settoriali molto disparati. 

La struttura della legge di bilancio presentata, e la cui approvazione deve essere negoziata con entrambi i rami del Congresso, ha le caratteristiche (che in Italia conosciamo bene) della "legge omnibus". Dentro ci sono i cospicui tagli fiscali che Trump considera strategici e irrinunciabili, ma c'è anche l'attenzione a non "sforbiciare" troppo la spesa pubblica in aree che colpirebbero l'elettorato di determinati esponenti politici locali. E c'è un aumento della spesa per armamenti, che per Trump – come era per Reagan quarant'anni fa – può essere un modo per contribuire a ricostruire la produzione nazionale. 

In sintesi, il Bill si fonda sull'auspicio che il combinato disposto tra abbassamento della pressione fiscale (come nel primo mandato), introiti dei dazi e ritorno di capitali e investimenti da essi stimolati possa compensare ampiamente lo sforamento del tetto del deficit, producendo un aumento consistente del Pil, e un "circolo virtuoso" di fiducia capace di sostenere una ripresa economica non effimera - non pregiudicando però, nel breve periodo, la stabilità politica e la compattezza del partito di maggioranza. 

Si tratta di una logica intrinsecamente politica, incentrata su un'analisi dei rapporti di potere e su una strategia pensata per i tempi che il ritmo della politica definisce. Una logica della quale anche Musk – se mai dovesse fare il salto da imprenditore a leader politico vero e proprio – sarebbe costretto inevitabilmente a tenere conto. 



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