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Santi e gastronomia/10

Tropez, un martire che preferì Gesù agli onori

Secondo una tradizione, san Tropez - conosciuto anche come Torpetius, Torpè o Torpete - fu capo della guardia di Nerone al tempo del martirio (nel 67) di san Paolo, che lo convertì. La stessa sorte toccò a lui appena un anno dopo. Il toponimo Saint-Tropez nasce dal suo culto. La sua testa è custodita e venerata a Pisa.
- LA RICETTA: LIBUM

Cultura 08_08_2021 English Español

L’uomo dorme su un giaciglio di paglia umida e maleodorante. È solo nella sua cella e, malgrado il mese di aprile inoltrato, lì fa freddo. L’uomo rabbrividisce nel sonno, poi si sveglia bruscamente e si tira su, appoggiandosi al muro freddo. Ha sognato di nuovo quel giorno, che ora gli sembra così lontano, in cui aveva capito che abbracciare Cristo voleva dire non avere più paura, soprattutto della morte. Gli sembra una vita fa, eppure era solo l’anno prima, il 67 d.C. Lui era ancora convinto che la sua vita sarebbe stata lunga e piena di onori, copriva un ruolo importante - intendente del palazzo di Nerone e capo della sua guardia - e godeva della fiducia dell’imperatore. Nerone lo aveva incaricato personalmente della custodia di un pericoloso detenuto, un certo Paolo di Tarso, rinchiuso nelle celle imperiali perché reo di avere abbracciato la nuova religione.

E Torpetius (questo è il nome dell’uomo) aveva preso sul serio quell’incarico, anche se gli sembrava di essere un po’ sprecato a fare da balia a un uomo così inoffensivo, detenuto in regime di custodia militaris, condannato a morte per decapitazione e che aspettava la propria fine senza fare granché. Sì, perché questo Paolo non faceva nulla che richiedesse una stretta sorveglianza. Anzi, stava perlopiù inginocchiato e pregava. Ogni tanto parlava con lui, quando lui cominciava la conversazione, attraverso le sbarre della cella. Aveva scoperto così l’eroe di Paolo, un certo Gesù di Nazareth, morto sulla croce alcuni decenni prima. Un uomo sorprendente questo Gesù, così bravo con le parole da far cambiare idea a criminali e prostitute, a traditori e miscredenti di vario genere. A volte parlava in parabole e dovevi fare uno sforzo per capire cosa volesse dire, ma poi la rivelazione del senso nascosto delle sue parole dava una grande soddisfazione.

Torpetius aveva subìto il fascino del racconto, giorno dopo giorno. Rivolgeva domande sempre più precise a Paolo, che era contento di rispondergli, descrivendo la gioia che si sentiva dentro quando sapevi che il tuo Dio, unico, è sempre con te; che Suo Figlio - lui stesso Dio ma anche uomo - era morto per te e che dovevi essere degno di Lui. Col tempo erano diventati amici e, la mattina dell’esecuzione, Torpetius aveva portato a Paolo il libum (focaccia ripiena di formaggio, vedi ricetta) e avevano condiviso quell'ultimo pasto. E così, piano piano, Torpetius aveva abbracciato quella religione, il cristianesimo, che adesso gli riempiva il cuore e che lo aiutava a non temere la morte. La propria morte, che era ormai imminente. Lo avrebbero buttato in pasto alle fiere selvatiche. Le stesse che i gladiatori affrontavano in arena. Solo che lui non le avrebbe combattute, ma si sarebbe fatto sbranare da loro.

E questo perché la prima punizione non aveva funzionato: Torpetius era stato giudicato e condannato a morire sotto la frusta del boia, legato ad un palo. L’imperatore stesso gli aveva chiesto di abiurare la sua religione per avere salva la vita, ma lui aveva rifiutato. Lo avevano legato al palo dell’infamia e il boia Satellicus aveva alzato la frusta per assestare il primo colpo quando il palo si era miracolosamente staccato dal suolo e caduto sul boia con Torpetius ancora legato sopra. Lo avevano riportato in cella e l’imperatore Nerone aveva considerato la caduta del palo un vero affronto personale, motivo per il quale aveva deciso che il suo ex uomo di fiducia avrebbe trovato la fine sbranato dalle belve, in un grande spettacolo popolare al quale avrebbe assistito lui stesso. Voleva dare l’esempio, affinché il popolo capisse cosa potesse succedere a ciascun uomo rinunciando alla religione degli avi per quella leggenda che era Gesù.

E quel giorno era arrivato, lo “spettacolo” era programmato per la tarda mattinata. Torpetius non aveva paura. Ringraziò Dio per questo e anche Paolo che un anno prima gli aveva aperto gli occhi. Le ore passarono in fretta e vennero a prelevarlo dalla cella. Uno dei due uomini era stato ai suoi ordini e si scusò, ma lui gli sorrise e gli disse che moriva con gioia, perché da lì a poco avrebbe incontrato il Signore. Le panchine dell’arena erano occupate da centinaia di persone, gente del popolo ma anche patrizi romani. L’imperatore era seduto in prima fila. Torpetius fu accompagnato al centro dell’arena e lasciato lì. Le guardie si ritirarono e si fece silenzio. Sotto la tribuna si aprì un portone di legno, lasciando uscire un leone e un leopardo a passo svelto. I due felini avvistarono l’uomo e si misero a correre verso di lui. Il silenzio del pubblico era assordante.

Quando i felini furono giunti a metà strada, Torpetius fece il segno della croce: gli animali rallentarono la corsa e mentre si avvicinavano al condannato gli spettatori trattennero il respiro in un’attesa di anticipazione. Il leone e il leopardo erano ormai accanto al condannato. Lui li guardò e loro si sdraiarono ai suoi piedi. L’uomo si chinò e accarezzò loro la testa. Dalla folla scaturì un urlo di meraviglia e l’imperatore furioso se ne andò con il suo seguito. Uscendo, ordinò che Torpetius fosse decapitato. Cosa che avvenne la mattina stessa, in riva al mare. Gli staccarono la testa mentre lui sussurrava: “Dominus Deus meus, suscipe spiritum meum”: era il 29 aprile 68.

Nerone inviò il suo corpo decapitato a Pisa, dove per ordine dell’imperatore fu messo in una barca con un gallo e un cane “incaricati” dello smembramento (secondo una punizione solitamente riservata ai parricidi di cui questi due animali sono i simboli). La fragile scialuppa fu consegnata all’Arno sotto il vento dell’est e poi ai capricci del mare. La barca si arenò il 17 maggio 68 sulle spiagge di Eraclea che sarebbe poi stata ribattezzata Saint-Tropez. Il culto di san Tropez, protettore dei marinai, si è sviluppato in tutta la regione. Genova e Pisa hanno chiese a lui dedicate.

Saint-Tropez celebra il suo santo patrono con una tradizionale festa annuale chiamata “Bravade” che si tiene il 16, 17 e 18 maggio con il motto della città: Ad usque fidelis (Fedele fino alla fine) e rende omaggio al coraggio del martire. Il 29 aprile, data dell’uccisione di Torpetius, chiamato anche Torpes o Torpete o Torpè, si svolge un pellegrinaggio annuale a Pisa dove la sua testa è appunto custodita e venerata sotto forma di reliquia in una cappella a lui dedicata. La piccola città di Saint-Tropez, situata ad una settantina di chilometri da Nizza, accoglie ogni anno turisti da tutto il mondo, ma malgrado questo rimane un villaggio di pescatori, anche se molto chic.

Il culto del santo pisano è effettivamente molto antico, come dimostrano pure le chiese dell’XI secolo a lui dedicate. La sua importanza crebbe nei secoli anche in virtù dei numerosi miracoli attribuiti alla sua intercessione. Tra i segni prodigiosi compiuti da san Tropez merita di essere ricordato quello del 29 aprile 1633: colpita da una gravissima peste, la città di Pisa ricorse alle preghiere e all’intercessione del santo e ne fu immediatamente liberata. Altri miracoli sono legati a sciagure naturali come inondazioni e terremoti. La vita e soprattutto la morte di san Torpete è una testimonianza di fede straordinaria, che ci ispira e ci serve da guida.