Trivelle, oltre il gesto simbolico dei vescovi
In un’economia moderna la valorizzazione dell’agricoltura, della pesca e del turismo presuppone la prossimità di un grosso apparato manifatturiero, che a sua volta domanda grandi quantità di energia. E tutto questo non implica alcun danno all’ambiente se i rifiuti vengono trattati in modo adeguato.
Essendo ben deciso ad astenermi dal voto al referendum di domenica prossima, sono stato colpito dall’opposta posizione assunta dall’episcopato pugliese, di cui l’arcivescovo di Taranto, mons. Filippo Santoro, ha detto i motivi ai nostri lettori nell’intervista che la Nuova Bussola ha pubblicato ieri. E ciò non soltanto perché sono tra quelli che pensano che comunque i vescovi devono venire ascoltati con la massima attenzione in ogni caso, anche se intervengono nel campo dell’opinabile, ma anche perché in questo caso particolare si tratta di un arcivescovo che stimo personalmente e che conosco da decenni.
Sacerdote e teologo, mons. Santoro ha tra l’altro una storia unica nell’episcopato italiano: membro del clero della diocesi di Bari poi recatosi in Brasile come sacerdote Fidei Donum, là divenne vescovo ausiliare di Rio de Janeiro e poi vescovo titolare di Petrópolis finché nel 2011 rientrò in Italia perché chiamato da Benedetto XVI alla cattedra di arcivescovo metropolita di Taranto. Il suo insomma è un itinerario episcopale senza precedenti, dall’America Latina all’Europa; un itinerario tanto significativo quanto impensabile fino a pochi anni fa.
Si aggiunga poi che nel 1992 egli anche fu membro della delegazione della Santa Sede alla Conferenza mondiale sull'ambiente. Sul problema, che ci sta fra l’altro molto a cuore (vedi il libro della Bussola "Il clima che non t'aspetti", di Riccardo Cascioli) mons. Santoro ha insomma specifica esperienza. Da quanto mons. Santoro ci ha detto il motivo-chiave della posizione assunta da lui e dagli altri vescovi pugliesi è di natura simbolica. “Nel referendum non c’è in gioco soltanto il futuro delle piattaforme per l’estrazione di gas e di petrolio”, egli ha affermato, “ ma anche il modello che vogliamo per lo sviluppo del territorio”.
A suo avviso “Votare «sì» è un segnale che si manda per chiedere uno sviluppo diverso, che tenga in conto sia il lavoro e sia la salute e l’ambiente”. Alla ricerca dei buoni motivi di tale scelta mi pare di capire che essi siano soprattutto di ordine pastorale. Questo dei vescovi pugliesi mi sembra in primo luogo un gesto di condivisione dei timori e del disagio del loro popolo. “Io vivo in un territorio già ferito”, ci diceva ieri mons. Santoro, “quando un territorio è già ferito non si possono ammettere altre fonti di perturbazione. Se hai una mano ferita anche una puntura d’ape, che in altre circostanze sarebbe un nulla, può essere pericolosissima”.
Capisco bene – osservo per quanto mi riguarda – che da ciò derivano conseguenze diverse da quelle di coloro che ad esempio vivono come me tra Milano e l’alta Lombardia. La mia casa nei pressi di Varese è immersa nel paesaggio prealpino a circa 5 chilometri in linea d’aria da due diversi impianti di trattamento rifiuti, della cui esistenza nemmeno ci si ricorda più (salvo quando capita di recarvisi di persona per qualche motivo); e un caffè sotto lo stabile dove ho un’abitazione a Milano dispone i suoi tavolini all’aperto a ridosso di una siepe verde al dà della quale c’è il deposito rifiuti del condominio (senza che alcuna esalazione maleodorante ne provenga nemmeno in piena estate).
Passando dal piccolo al grande, che dire delle spiagge romagnole da cui d’estate ogni giorno scendono in acqua a fare il bagno decine di migliaia di persone? Non solo non si ha notizia di bagnanti in rivolta che levano il pugno verso le “isole” artificiali, quasi sempre visibili all’orizzonte, tramite cui si estrae gas dai sottostanti giacimenti, ma anzi intraprendenti proprietari di battelli turistici offrono ogni giorno con successo escursioni in mare aperto fino a una o più di tali “isole”.
In un’economia moderna la valorizzazione dell’agricoltura, della pesca e del turismo, cui mons. Santoro richiama, presuppone – come l’esperienza della Romagna insegna – la prossimità di un grosso apparato manifatturiero, agro-industriale e logistico, che a sua volta domanda grandi quantità di energia. Non sono realtà in alternativa l’una con l’altra. E tutto questo non implica alcun danno all’ambiente se i rifiuti vengono trattati in modo adeguato. In quanto ai combustibili fossili, che oggi sono gli unici davvero disponibili in misura proporzionata al bisogno e a costi sostenibili, si tratta, come è possibile, di estrarli e di usarli in modo non inquinante. E’ giusto continuare nella ricerca di altre fonti, ma nel futuro prevedibile nessuna di esse risulta essere ancora in grado di rendere superflui i combustibili fossili.
In conclusione mi sembra che la posizione assunta dai vescovi pugliesi valga appunto come gesto simbolico, nel senso proprio del termine, dell’urgenza di costruire o ricostruire nel Mezzogiorno un motivato clima di fiducia verso uno sviluppo non separato dal rispetto dell’ambiente e della realtà del territorio. Uno sviluppo però, non una guerra senza prospettive alle risorse di cui oggi disponiamo. La Puglia ha tra l’altro un enorme potenziale di turismo culturale e ambientale, perciò destagionalizzato, che non sta affatto valorizzando. E non può farlo in primo luogo perché manca di un adeguato grande aeroporto turistico e della rete stradale conseguente. Eppure siamo pronti a scommettere che se si decidesse di porre mano all’uno e all’altra succederebbe un finimondo.
Venendo infine al tema del referendum di domenica prossima, si potrà poi anche decidere che non vale la pena di estrarre gas dal fondo del mare di Puglia, ma soltanto se ciò non fosse conveniente. Non una volta per tutte, e in nome di un ideologico “no” indiscriminato all’uso di una certa risorsa