Tregua a Gaza, gioia e dolore di un cristiano palestinese
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La tregua pone fine ai combattimenti in una Gaza distrutta. Il rispetto del cessate-il-fuoco ora dipenderà dai firmatari, ma è ancora fragile. L'intervista a Milad Jubran Basir, sindacalista cristiano palestinese.
Dopo 15 mesi di duro confronto militare e politico Netanyahu ha reso noto il raggiunto accordo con Hamas che entrerà in vigore domenica 19 gennaio. Da parte sua, Hamas ha dichiarato in un comunicato che gli ostacoli relativi al Cessate il fuoco a Gaza "sono stati rimossi". Nell'attesa che l'auspicata tregua si concretizzi, ne parliamo con Milad Jubran Basir, cristiano palestinese di Cisgiordania, sindacalista e giornalista esperto del mondo arabo che vive da anni in Italia, dove si è laureato in economia all'Università di Bologna.
Chiediamo intanto a Basir se ha avuto modo di leggere il testo della tregua e se ce ne può illustrare il contenuto.
Sì, ho letto il testo in arabo. E' molto articolato e complesso, analizzato e discusso parola per parola, frase per frase per evitare ogni equivoco e cattiva interpretazione. La sua applicabilità dipende dai firmatari, Israele ed Hamas, e dai garanti, Egitto e Qatar. In sintesi, il cessate il fuoco inizia domenica 19 gennaio 2025; l’accordo prevede tre fasi di 6 settimane ciascuna. Nella prima fase l’esercito israeliano si ritirerà gradualmente dalla Striscia, la popolazione potrà tornare alle proprie case con la supervisione di personale egiziano e qatariota e saranno rilasciati 33 ostaggi israeliani in cambio di circa 1700 prigionieri palestinesi detenuti nelle carceri israeliane. Non si esclude che tra i prigionieri ci siano anche i leader dell’intifada Marwan Barghouti e Ahamed Sadaat. L’accordo prevede che l’esercito israeliano conservi un controllo marginale sul corridoio detto Filadelfia e su una striscia di territorio di sicurezza di 700 metri di profondità lungo i confini di Gaza. Cesserà inoltre il blocco degli aiuti che ha provocato carestia e morti per fame; sarà ammesso l’ingresso di 600 camion di aiuti umanitari e di 50 camion di petrolio al giorno.
Sono più e meno gli stessi elementi dell’accordo proposto da Biden nel maggio 2024 con mediazione egiziana…
Esatto. In quel caso l'accordo fu respinto da Netanyahu, che volle occupare il corridoio di confine tra Gaza ed Egitto facendo fallire la trattativa. Sono stati sette mesi di guerra in più che hanno causato ulteriori lutti da entrambe le parti, ma che hanno permesso a Netanyahu a rimanere in sella e aTrump di vincere le elezioni americane in modo eclatante.
Quali sono le conseguenze nella Striscia di Gaza dei 15 mesi di conflitto? E quali le prospettive per la ricostruzione?
Fonti non ufficiali parlano di oltre 75mila morti, 120mila feriti, 15mila dispersi, oltre alla devastazione quasi totale delle infrastrutture. Più del 70% delle costruzioni è stato distrutto e in alcune zone del nord la percentuale raggiunge il 100%. Le macerie, le bombe, i missili non esplosi rappresentano non solo un pericolo per la popolazione, ma un ostacolo al ritorno alla normalità, se di normalità si può parlare. Le Nazioni Unite valutano in circa ottant'anni il periodo necessario per ricostruire la Striscia.
Come ha reagito la popolazione di Gaza all'annuncio della tregua?
La gente è uscita a festeggiare con la bandiera palestinese facendo il segno della vittoria; non si è vista in giro nessuna bandiera bianca. Questa tragedia deve servire da lezione in primis ad Israele ed a tutto il mondo Occidentale che l’ha sostenuta in questo genocidio. Ormai è evidente che nessun esercito può soffocare la speranza del popolo palestinese di avere il suo passaporto, la sua dignità e il suo Stato secondo il diritto internazionale. Ora i firmatari della tregua, i garanti e la comunità internazionale devono cooperare tutti, nessuno escluso, per garantire il rispetto e l’applicabilità di questo accordo, permettere l'ingresso degli aiuti umanitari e di quanto necessario alla popolazione. Poi si dovrà operare concretamente per il riconoscimento dello Stato di Palestina dentro confini sicuri ed universalmente accettati: il rischio è altrimenti quello di passare da una guerra all'altra e da una tregua all’altra.
Dal suo punto di vista di cristiano italo-palestinese come giudica questo accordo?
In quanto palestinese, arabo, italiano, laico di fede cristiana abbraccio le due culture, quella orientale e quella occidentale, quella cristiana e quella musulmana. Ho accolto con gioia e dolore l'annuncio di questo accordo. Gioia perché si doveva mettere fine a questa tragedia; non riesco, non posso più vedere le terribili immagini che ci arrivano dalle TV arabe e quindi sono molto felice che finalmente cessino le armi. Allo stesso tempo provo dolore per tutto quello che è accaduto in entrambi i campi in termini di lutti, di distruzione e di sofferenza; si poteva fare questo accordo sette mesi fa in modo da risparmiare tante vite umane. Mi ritengo pacifista e lotto da anni per la famosa equazione "due Stati per due popoli". Da arabo, palestinese, italiano, cristiano di cultura musulmana mi fanno paura certi comportamenti occidentali che favoriscono e in qualche modo aiutano il radicalismo e il fondamentalismo di matrice religiosa; auspico una cultura e una formazione politica laica per tutti.