Tre vescovi contro i sindaci pro nozze gay
«Non si può, poi, in nome della difesa dei diritti di qualche cittadino snaturare il concetto di famiglia accolto nella Costituzione italiana». Lo dicono i vescovi di Trieste, Udine e Concordia-Pordenone in risposta all'iniziativa di registrazione di matrimoni gay intrapresa dai rispettivi sindaci.
Tre vescovi del Friuli Venezia Giulia – Pellegrini di Concordia-Pordenone, Mazzocato di Udine e Crepaldi di Trieste - hanno pubblicato ieri un documento coraggioso nel quale richiamano la bellezza del matrimonio e della famiglia e criticano la decisione dei sindaci delle loro città di trascrivere nei registri dello stato civile i “matrimoni” tra coppie omosessuali contratti all’estero. Con ogni probabilità la prima parte non verrà nemmeno notata dai media, mentre sulla seconda verranno lanciati gli strali. Vescovi poco aperti o, perché no?, omofobi…
Tutto era iniziato il 29 settembre. Nel palazzo comunale di Udine, il sindaco di questa città, Furio Honsell, quello di Pordenone, Claudio Pedrotti, e la vicensindaco di Trieste, Fabiana Martini, concordarono di registrare in futuro i matrimoni gay registrati all’estero, senza delibere di giunta o comunale e decidendo caso per caso. Vita Nuova, il settimanale cattolico di Trieste l’ha subito chiamata la Triplice Alleanza.
La Triplice si collocava in una strategia più ampia, dato che i sindaci di Latina, Fano, Grosseto, Bologna, Napoli, Udine, Roma, Milano vi avevano già provveduto nel triplice intento di condizionare l’opinione pubblica, pungolare il governo a procedere con le unioni civili e spingere sul Parlamento.
Nel numero di venerdì 3 ottobre, il direttore del settimanale diocesano di Udine La Vita Cattolica, Roberto Pensa, stroncava in un lucido editoriale la Triplice Alleanza, subito seguito, la settimana dopo, dal direttore di Vita Nuova, Stefano Fontana. L’edizione on line di quest’ultimo settimanale pubblicava in seguito una serie di interventi molto duri. In una intervista il direttore del settimanale diocesano triestino diceva: “Questi sindaci, evidentemente, si sentono investiti di qualche missione ideologica o politica o messianica e non solo amministrativa, se sono pronti a violare la legge per far passare atti che configurino il riconoscimento di presunti diritti individuali. I diritti individuali, però, nel nostro Paese sono quelli stabiliti dalla Costituzione e non da sindaci avventurieri”.
Ad oggi, solo il sindaco di Udine ha attuato una registrazione. È avvenuta il 3 ottobre scorso e riguardava la trascrizione del “matrimonio” tra l’udinese Adele Palmeri e Ingrid Owen, cittadina sudafricana, attualmente residenti in Belgio. A Pordenone ci si sta preparando, mentre Trieste finora tace, anche se il sindaco Roberto Cosolini ha confermato la linea.
È in questo contesto che ora si inserisce il Messaggio dei tre Vescovi. Essi prendono le parole del recente Sinodo sulla famiglia per riannunciare la bellezza del matrimonio. Poi entrano nel tema delle registrazioni: “In questo contesto – essi dicono - non possiamo nascondere la sofferenza per certi travisamenti della realtà della famiglia e del matrimonio recentemente sostenuti da rappresentanti di istituzioni pubbliche. Ci riferiamo, in particolare, ai sindaci di alcuni comuni italiani che hanno dato vita ad iniziative non rispettose degli ambiti del loro potere, finalizzate alla trascrizione nel registro dello stato civile di un matrimonio tra persone dello stesso sesso celebrato all’estero. Tali iniziative hanno lo scopo di forzare la legislazione nazionale sui temi relativi ai cosiddetti “nuovi diritti” e l’intento di condizionare l’opinione pubblica. Nei giorni scorsi un simile orientamento è stato concordato anche dai comuni di Pordenone, Udine e Trieste. Da più parti è già stato messo in luce che i provvedimenti di un’amministrazione comunale non possono debordare l’ambito loro proprio e porsi in contrasto con le leggi vigenti”.
“Come Vescovi delle Diocesi in cui sono presenti i comuni sopra citati – continuano -, più che per gli aspetti tecnici che lasciamo valutare prudentemente ad altri, siamo preoccupati per le questioni di sostanza. La legalità, di cui una comunità ordinata vive, ha molti aspetti che riguardano il bene comune. La pace è sempre tranquillitas ordinis, la tranquillità dell’ordine. Nel disordine non c’è pace e non c’è bene comune. Chi ha dei ruoli pubblici, come è il caso dei sindaci, ha in ciò una responsabilità maggiore di altri, proprio in quanto investito di un potere pubblico in ordine al bene comune. Il potere deve essere sempre responsabile se vuole essere autorevole e non arbitrario. Non si può, poi, in nome della difesa dei diritti di qualche cittadino snaturare il concetto di famiglia accolto nella Costituzione italiana. I diritti fondamentali della persona vanno indubbiamente rispettati, ma senza estendere la legislazione familiare e matrimoniale a relazioni affettive e sessuali che, per natura loro, famiglia e matrimonio non sono. Su un tema tanto delicato e decisivo per il futuro della società, ci sembra che le argomentazioni addotte dai responsabili delle amministrazioni comunali interessate, siano superficiali e ambigue”.
Ci saranno le solite accuse di ingerenza nella politica e forse peggio. Ma Messaggi come questo meritano il nostro grazie. Rassicurano sulle verità di sempre, confermano i motivi della ragione e della fede, indicano con sicurezza la strada da percorrere, chiariscono le diverse responsabilità ma per un bene che deve essere comune, fanno capire le manovre ideologiche in atto e denunciano gli abusi che usano i diritti per corrompere il diritto.