Traditionis Custodes, l'assolutismo papale contro il diritto
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Un volume di padre Réginald-Marie Rivoire analizza il motu proprio di Francesco, che non calpesta solo la liturgia tradizionale ma la stessa razionalità giuridica. In nome di un volontarismo che caratterizza in gran parte il suo pontificato e sconfina nell'arbitrio.
- Se la Messa è sciatta anche la fede vacilla, di Aurelio Porfiri

A due anni dalla pubblicazione in lingua francese (7 marzo 2023), viene ora offerta la traduzione in italiano dell’importante lavoro di analisi del motu proprio Traditionis Custodes da parte di padre Réginald-Marie Rivoire, sacerdote della Fraternità San Vincenzo Ferrer, dottore in Diritto Canonico e promotore di giustizia presso il tribunale ecclesiastico di Rennes.
Il motu proprio Traditionis Custodes alla prova della razionalità giuridica, tradotto e pubblicato dalle edizioni Amicitia Liturgica, ha il grande merito di mettere in luce, prove alla mano, il positivismo e volontarismo giuridico di questo pontificato, particolarmente rilevante per quanto riguarda la modalità con cui papa Francesco – e il Dicastero per il Culto Divino e la Disciplina dei sacramenti – ha inteso intervenire relativamente al Rito antico.
Il confronto tra Summorum Pontificum (SP) di Benedetto XVI e Traditionis Custodes (TC) di Francesco mostra non solo i fin troppo evidenti esiti opposti dei due provvedimenti, ma anche l’inconciliabile impostazione giuridica a monte. Scrive l’Autore: «Il contrasto è veramente notevole tra i due modi di legiferare, una marcata dal realismo giuridico, l’altra dal positivismo volontarista. Là dove Benedetto XVI riconosce, con un atto dichiarativo, due realtà rituali che, di fatto, esistono oggi nella Chiesa latina […], ed intende dar loro un quadro giuridico, Francesco decide, con un atto performativo, che nella Chiesa non c’è che una sola di queste realtà» (pp. 19-20).
È una delle questioni più gravi del pontificato di papa Bergoglio, emersa certamente nella questione liturgica, ma che non si limita a questo ambito. Il modo di governare di Francesco è stato più quello di monarca assoluto, «il cui pensare e volere sono legge», che non di primo garante «dell’obbedienza verso Cristo e verso la Sua Parola» (Benedetto XVI, Omelia in occasione dell’insediamento sulla Cathedra Romana, 7 maggio 2005). In questo modo egli ha sovvertito i principi del diritto secondo la prospettiva realista e cattolica, per cui la legge obbliga in quanto ordinatio rationis e non semplicemente in forza dell’obbedienza ad un’autorità pur legittima. La volontà del legislatore sciolta dall’ordinamento razionale porta direttamente alla pericolosa violazione del diritto e alla ancora più perniciosa negazione della realtà. Perché la razionalità di cui si parla non è quella riduttiva della logica formale, che nell’ambito giuridico si traduce in un mero legalismo, ma è più estensivamente l’adeguazione alla realtà. Nella sana concezione del diritto, lontana da machiavellismi e gesuitismi, è questa razionalità a normare la norma; se la norma non ricevesse la sua misura dall’ordinatio rationis, finiremmo nel totale arbitrio dell’autorità.
Cosa fece Benedetto XVI con SP? Partì dalla constatazione dell’esistenza di due forme rituali nella Chiesa latina (da cui l’affermazione della non abrogazione dei libri liturgici antichi), di cui una plurisecolare, e cercò di inquadrarle giuridicamente, in modo da perseguire il bene comune. Si potrà discutere se ciò sia stato fatto nel modo migliore, ma certamente non si può negare che papa Benedetto applicò la ragione prudenziale per armonizzare due realtà rituali di cui egli ha preso atto. Cos’ha fatto papa Francesco? Ha deciso di usare il diritto contro la realtà, inventando che l’unica forma del Rito romano sarebbe quella uscita dalla riforma voluta da Paolo VI, relegando così il plurisecolare Rito romano nel mondo dei sogni… Ancora, sempre nel fondamentale art. 1 di TC, Francesco afferma che i libri liturgici usciti dalla riforma sarebbero in conformità con i decreti del Concilio Vaticano II; un’affermazione che, come vedremo, è semplicemente falsa.
Con concisione e precisione, padre Rivoire mostra anzitutto che il rito uscito dalla riforma semplicemente non è il Rito romano; esso ha certamente degli elementi del Rito romano, ma di fatto lo ha così profondamente mutato e stravolto da non poter rivendicare un’effettiva continuità di forma. La ri-forma, in questo caso, non è stato il recupero della forma, ma il conferimento di una nuova forma. Ma una nuova forma indica appunto qualcosa di nuovo. L’autore cita gli stessi fautori entusiasti della riforma liturgica, come padre Joseph Gélinau e padre Annibale Bugnini, i quali parlavano appunto del rito romano «distrutto», di un vero e proprio «rifacimento», non di uno sviluppo. Bisogna essere onesti e guardare alla realtà, che non può essere cambiata per decreti: un importante articolo di Matthew Hazell ha mostrato come solo il 13% delle orazioni presenti nel Rito antico sia stato custodito integro e invariato nel nuovo e ben il 52% sia stato completamente omesso; il lezionario è stato anch’esso radicalmente stravolto; nel calendario liturgico sono stati soppressi il tempo di Settuagesima, l’Ottava di Pentecoste, le Rogazioni e di fatto le Quattro Tempora (conservate come facoltative, ma private del loro Proprio e ormai in disuso). Nell’Ordinario abbiamo assistito alla decurtazione dei riti d’ingresso, al completo rifacimento dell’Offertorio, all’aggiunta di preghiere eucaristiche fabbricate ex novo, ad una mutilazione dei gesti liturgici. E si potrebbe continuare. Esso è di fatto un nuovo rito.
Ed è sempre guardando alla realtà che si può serenamente affermare che il Messale promulgato da Paolo VI non è conforme alle richieste dei padri conciliari, così come le troviamo in Sacrosanctum Concilium (SC). In nessun punto la costituzione liturgica del Vaticano II contempla «la soppressione dell’offertorio tradizionale, né che siano composte nuove preghiere eucaristiche, né che siano soppresse o modificate quasi tutte le orazioni, né che la celebrazione si tenga rivolti al popolo, né che il canone sia recitato ad alta voce, né ancor meno che la Comunione possa esser data in mano» (p. 21). Per non parlare delle indicazioni positive riguardo al mantenimento della lingua latina e del canto gregoriano, completamente disattese. Nemmeno SC aveva in mente un «rito proteiforme» (p. 23), ossia un rito che non è più tale in quanto gli elementi di ritualità sono stati gravemente manomessi, e ad ogni piè sospinto ci si ritrova davanti a rubriche opzionali. Non è errato ritenere che è proprio il Rito antico ad essere più conforme ai desiderata dei Padri conciliari che non il nuovo...
Il volontarismo giuridico che anima TC ha portato in più punti a calpestare il diritto canonico e a collezionare svarioni giuridici, come l’Autore mostra ad abundantiam. Dietro alla questione liturgica si gioca il più fondamentale rapporto tra il Papa e la Rivelazione di Dio, nelle Scritture e nella tradizione, di cui il Rito romano antico è espressione precipua. «Ad essere sconcertante non è tanto che Francesco contraddica il suo predecessore, ma che egli gestisca un rito liturgico multisecolare come se si trattasse di una materia puramente disciplinare» (p. 20).
In effetti, questo pontificato ha fatto della contraddizione la sua legge fondamentale: da una parte la plenitudo potestatis del Papa viene estesa indebitamente fino a farne l’espressione di un puro volontarismo che si esprime in una concezione meramente normativista del diritto; dall’altro, nel contesto del dialogo ecumenico, si strizza l’occhio ad una “conversione del papato”, che è in realtà l’annullamento delle prerogative affidate da Cristo a Pietro e ai suoi successori.
Il diritto di Dio nella liturgia
Si può dire che la liturgia ha al proprio interno una dimensione giuridica, ovvero rimanda ad uno Ius. Lo Ius (e la virtù annessa che è la virtù di giustizia) ci dice appunto quello che è giusto dare a qualcuno. Detto in altri termini: dare a ciascuno il "suo". Nel caso della liturgia questo qualcuno è Dio.
Se la Messa è sciatta anche la fede vacilla
Il modo in cui preghiamo diviene il modo in cui crediamo. E poiché una crisi tira l'altra, i credenti sono sempre meno ferventi da quando la sciatteria ha travolto la liturgia col pretesto di avvicinarla al "popolo". Che in chiesa, però, cercava ben Altro (con la maiuscola).
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