Tra le righe di Leone XIV la svolta sul diritto vaticano
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Nell'incontro del Pontefice con i dipendenti della Curia una frase sembra suonare la fine della "vaticanizzazione" che in anni recenti ha oscurato la dimensione e la missione canonica del piccolo Stato. Con gravi conseguenze e ingiustizie.

Il discorso di Leone XIV ai dipendenti della Curia è stato accolto da applausi calorosissimi e non solo per il ripristino della gratifica – il bonus elargito in occasione dell'elezione del nuovo Papa – che Francesco aveva cancellato in occasione della sua elezione. «I Papi passano, la Curia rimane»: sei parole che sono anche un manifesto programmatico ed un innegabile segnale di discontinuità.
Nonostante il tentativo forzato di presentare Prevost come il "delfino" prescelto da Bergoglio sulla base di ordinari incontri a Santa Marta, il nuovo Papa intende fare il Papa alla propria maniera, senza essere la fotocopia di nessuno. Anzi. La Curia è stata per dodici anni la vittima designata delle rampognate papali, ora invece viene esaltata come organismo destinato a "sopravvivere" a qualsiasi autoreferenzialità di chi si trova momentaneamente a regnare. Chi si ostina a negare che qualcosa è cambiato semplicemente non sta dicendo la verità.
Ma il passaggio più importante del discorso di sabato di Leone XIV è un altro e lo si trova tra le righe, quasi buttato lì involontariamente. Ovviamente non è così perché Prevost non parla e non agisce mai a caso.
Spiegando che «lavorare nella Curia Romana significa contribuire a tenere viva la memoria della Sede Apostolica», Leone ha aggiunto una postilla: «per analogia questo si può dire anche dei servizi dello Stato della Città del Vaticano».
Dal punto di vista giuridico quest’asserzione equivale a ribadire una sacrosanta verità spesso dimenticata negli ultimi anni del pontificato bergogliano: il diritto vaticano non può svincolarsi dal diritto canonico che ne è la fonte principale. Quello vaticano è un ordinamento statuale e quindi distinto da quello canonico ma è in qualche modo subordinato ad esso. L'ordinamento canonico, peraltro, è immune dall'innesto di qualsiasi elemento giuridico in contrasto al diritto divino e di conseguenza ne è immune anche l'ordinamento vaticano.
Questo dato di fatto è stato seriamente minacciato negli ultimi dodici anni dai numerosi interventi normativi che hanno riguardato l'ordinamento dello Stato vaticano. Come ha detto l'ex radicale Giuseppe Rippa, si è verificata una «italianizzazione della struttura giudiziaria vaticana» che ha partorito il pasticcio del processo al cardinale Angelo Becciu e che tra le sue implicazioni ha avuto anche un crescente ruolo della componente mediatica.
In quel semplice «per analogia» il canonista Prevost sembra ripristinare con nonchalance lo stato delle cose: la funzione di Città del Vaticano è esclusivamente quella di garantire l'indipendenza e la libertà della Santa Sede. Come sosteneva l'indimenticato professore Giuseppe Dalla Torre, la Città del Vaticano rientra nella categoria degli «Stati-mezzo» e non certo in quella degli «Stati-fine». Proprio l'allontanamento del grande giurista romano – primo autore di un manuale di diritto vaticano – dalla presidenza del tribunale del piccolo Stato nel 2019 ha intensificato una stagione in cui non a tutti è sembrata chiara la natura strumentale del Vaticano rispetto alla missione della Sede di Pietro.
Ora Leone XIV sembra voler voltare pagina e affidarsi alle certezze di quella «memoria storica» custodita dalla Curia e senza la quale, ha detto, si «perde il senso del percorso». Davanti a simili premesse, non è irrealistico aspettarsi un freno al processo di «vaticanizzazione» della Santa Sede portato avanti in questi anni dall'avanzata di homines novi laici in posti chiave. D'altra parte nella mente di Leone XIV sono ancora fresche le lamentele fatte dai cardinali durante le congregazioni generali ed in particolare gli strascichi poco edificanti del caso Becciu. I cardinali stranieri che poco sapevano della vicenda, arrivati a Roma con qualche pregiudizio, sono infine rimasti scandalizzati dalla modalità con cui il loro confratello sardo è stato «liquidato». Non ci sono logiche di appartenenza dietro a quest'insofferenza se si pensa che uno dei più indignati per il trattamento riservato a Becciu è stato un giovane cardinale ultra-bergogliano, autore dell'intervento più progressista durante il pre-conclave. Che la questione non sia stata irrilevante lo si è visto anche dal responso della Sistina.
Il caso Becciu è la punta dell'iceberg della tendenza autonomistica che alcuni strati dello Stato hanno manifestato nei confronti della Curia, con la benevolenza di Francesco. In questa «vaticanizzazione» che proprio nella Curia aveva individuato il bersaglio principale ed anche più facile ha contribuito significativamente la macchina della comunicazione vaticana.
Rimarrà emblematico in questo senso l'editoriale di Andrea Tornielli del 30 ottobre 2024 a difesa di una sentenza di primo grado pronunciata da un tribunale secolare ai danni di un cardinale (Becciu). Il laico che dirige il Dicastero per la Comunicazione della Santa Sede non si limitava a fare la cronaca delle motivazioni della sentenza, ma puntava il dito contro gli «atteggiamenti che mettono da parte, o fingono di non conoscere, quella saggezza del “buon padre di famigli» e si spingeva ad elencare «gli insegnamenti da trarre». Il titolo scelto da Tornielli, Processo giusto e trasparenza, forse gli avrebbe potuto garantire un posto di diritto nella rubrica Le ultime parole famose della Gialappa's Band alla luce delle ombre che persino un programma notoriamente anticlericale come Le Iene ha poi fatto emergere sull'indagine.
Un altro cortocircuito della «vaticanizzazione» e del supporto che le ha dato la macchina della comunicazione in mano ai laici si è visto, sempre sul caso Becciu, a proposito dell'elenco dei cardinali pubblicato ed aggiornato dalla Sala Stampa della Santa Sede. I due documenti attribuiti a Francesco che hanno messo fuori gioco l'ex Sostituto e che sono stati mostrati in congregazione generale per la prima volta risalivano al settembre del 2023 e al marzo del 2025. Però la Sala Stampa ha inserito Becciu nella lista dei «non elettori» già all'indomani dell'udienza con Francesco del 24 settembre 2020 e lì lo ha lasciato nel bollettino ufficiale. Su che basi Matteo Bruni ha fatto questa scelta se il primo atto per escludere Becciu dalla Sistina sarebbe stato firmato solamente tre anni dopo?
Insomma, terminato il pontificato di Francesco restano ancora in piedi le incognite sul processo a Becciu e sulla sua esclusione dal conclave anche perché, contrariamente a quanto potrebbe credere chi legge il già citato editoriale di Tornielli, la vicenda è ancora aperta anche al cospetto della stessa giustizia vaticana. L'auspicio delle congregazioni dei cardinali affinché «gli organi di giustizia competenti possano accertare definitivamente i fatti» era ben meno perentorio dei toni utilizzati in questi anni dalla comunicazione vaticana.
Il discorso alla Curia di Leone XIV ribadisce la sua intenzione di «accordare i diversi strumenti musicali» sulla scia di quanto ha fatto lo Spirito Santo in Sistina, ma lo farà rispettando e non ribaltando le gerarchie sempre esistite nei Sacri Palazzi. Ma cosa ne sarà di chi ha partecipato entusiasticamente al "dagli alla Curia"?