Toscani, etica ed estetica al soldo della rivoluzione
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Toscani era maestro di un’estetica al soldo di un’etica del sovvertimento. Da qui la violenza e l’ostentazione volgare delle sue foto perché pornografia del dolore, degli affetti, del sacro, dei corpi fissati nella loro greve nudità fatta solo di carne.
La rivoluzione per immagini. Questo è stato Oliviero Toscani, morto ieri all’età di 82 anni per una rara malattia incurabile. Dici Toscani e ti vengono in mente i suoi scatti più audaci: un prete e una suora che si baciano; il corpo scheletrico di una modella affetta da anoressia; due cavalli che si accoppiano; una serie di preservativi colorati; cuori estratti da cadaveri; un malato di Aids morto nel suo letto con accanto i suoi cari in lacrime; due coppie gay, una maschile ed una femminile, che tengono in braccio un bambino; i glutei in primo piano fasciati dai jeans Jesus con la scritta «Chi mi ama mi segua», frase vagamente evangelica; sempre un paio di jeans Jesus ma ora sbottonati che lasciano intravedere un pube ed il claim «Non avrai alcun jeans all'infuori di me». Solo per citare alcune sue foto diventate iconiche.
Ma perché sono diventate così celebri? La risposta è semplice. Perché sono volutamente provocatorie, una provocazione che alla fine è banale, facile da realizzare, scontata e quindi stereotipata perché mostra il proibito, provoca l’innocenza, oltraggia il sacro, insulta la decenza. Toscani voleva vincere facile e ci è riuscito. La fama del “Nostro” non è perciò legata tanto alle sue capacità artistiche, quanto ai temi toccati e alle modalità di rappresentazione degli stessi. In merito ai primi Toscani era di razza profondamente progressista, un progressismo di matrice radicale tanto che si presentava come fieramente anticattolico e anticlericale: «Fanno santo Wojtyla che era contro il preservativo in Africa, un assassino» dichiarò una volta. E in un’altra occasione in merito alle rivendicazioni LGBT preconizzò con la sua solita boria: «Non c’è problema, la battaglia, anzi, la guerra sarà vinta. In barba a tutti i papi, ai Ruini, ai Gesù Cristi ed alle Madonne vergini!».
Il suo favore verso aborto, eutanasia, divorzio, omosessualità etc. era noto e veniva assoldato dalle grandi riviste di moda proprio per questo suo orientamento culturale anarchico. La sua macchina fotografica è stata sempre al servizio soprattutto della rivoluzione come lui stesso orgogliosamente ammise in una intervista lo scorso agosto al Corriere della Sera, quando ormai era consapevole che gli rimaneva poco da vivere: «Oggi mi ha scritto uno studente inglese e mi ha chiesto se nella fotografia la parte artistica è stata alterata dal mio impegno etico. Ma la fotografia è impegno etico! A me non frega niente dell’estetica fotografica». Dunque la macchina fotografica al posto del fucile. E se, mentre si spara qualche foto, si guadagna anche, ben venga. Da qui il suo sodalizio con i grandi brand, tra cui soprattutto Benetton.
Quindi Toscani era maestro di un’estetica al soldo – nel vero senso della parola – di un’etica del sovvertimento. Anzi era artefice di un estetismo piegato a quell’esplicito che dovrebbe con pudore essere celato agli occhi dei più. Da qui la violenza e l’ostentazione volgare delle sue foto perché pornografia del dolore, degli affetti, del sacro, dei corpi fissati nella loro greve nudità fatta solo di carne. La denuncia era solo un pretesto: le sue foto servivano per colpire, non certo per capire.
Con quella macchina fotografica Toscani catturava immagini, ma anche nemici della rivoluzione, nel senso che alcuni scatti di Toscani sono stati capaci di orientare la coscienza sociale di un intero popolo, di inquinare la sensibilità diffusa, spostare il baricentro morale collettivo verso l’abisso ben più che mille libri o interi corsi universitari. È il potere dell’immagine perché la vista è il senso più potente che abbiamo e Toscani lo sapeva bene. Ecco allora che i temi sociali scelti da Toscani dovevano rimanere impressi nella retina delle persone perché rimanessero impressi nelle loro sinapsi e per ottenere questo scopo la modalità usata dal fotografo milanese era lo shock. Uno shock provocato in primis dai soggetti scelti e poi dal crudo realismo della rappresentazione. In questo giocava moltissimo l’uso della luce e dei colori. La pellicola s’impressiona con la luce e lui usava moltissima luce e colori per impressionarci, tanto è vero che la maggior parte dei suoi scatti era a colori, colori primari, saturi, pieni e luminosissimi (da qui la cifra stilistica condensata nello slogan di Benetton United Colors of Benetton). Una iper-realtà, una realtà aumentata perché appaia più vera del vero.
L’effetto voluto era dunque lo scandalo, lo sconcerto, il disagio, la riprovazione, ma anche l’elettroshock delle coscienze, lo strappo nel tessuto della sensibilità collettiva, la destabilizzazione dei canoni di giudizio correnti, venduti con falso pudore come “protesta”. Ma la rivoluzione è proprio questo: rottura, salto, capovolgimento, sconvolgimento, crisi, scissione, ribellione al sistema, rifiuto del passato, della natura, dell’ordine, dell’identità personale e nazionale. «Patria, famiglia e proprietà, la rovina dell’uomo», sentenziò nell’intervista già citata.
Nel 2018 realizza uno spot dove nove ragazzi di diversa etnia e colore della pelle si abbracciano nudi. La voce narrante cita il Cantico delle creature di San Francesco (un invito patetico a liberarsi dalle ricchezze) e poi aggiunge: «C’è la rivoluzione che diventa confusione perché toglie l’identità certa all’Oriente e all’Occidente». Più esplicito di così.
La critica ai suoi lavori, ricercata e voluta, era allora funzionale all’avanzamento della dissoluzione perché la dialettica incandescente, il dibattito, anche polemico, erano linfa vitale per innalzare il livello di scontro, volano per accelerare il disordine culturale, nonché naturalmente pubblicità e cassa di risonanza per i brand per cui lavorava perché comunismo e capitalismo sono fratelli il cui padre è l’economia. A tal proposito Toscani, almeno in Italia, fu l’antesignano di un modo di reclamizzare i prodotti dove questi ultimi scomparivano per lasciare posto a messaggi sociali, alle cosiddette campagne pubblicitarie. L’incongruità tra messaggio pubblicitario e prodotto appariva manifesta perché il prodotto scadeva a mero pretesto, sebbene, su altro fronte, beneficiasse del clamore mediatico.
Nell’intervista al Corsera Toscani ammise che, all’approssimarsi della morte, ogni tanto gli veniva voglia di chiamare Cappato per farla finita. E in merito al “dopo” aggiunse: «Non mi interessa. Sono a posto con il padreterno, io. […] Non sono ateo. Solo, non partecipo a tutto questo, non mi interessa il tema». Chi è credente sa che in questo preciso momento questo “tema” è ciò che più gli sta a cuore. Anzi è l’unica cosa che ora gli interessi veramente perché ha di fronte a sé tutti gli scatti della propria vita. Una preghiera perché il buon Dio possa scegliere tra questi solo i migliori e cestinare i peggiori, quelli dove la verità e il bene appaiono molto sfuocati se non addirittura assenti.