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Come nel Regno Unito

Tirannia in Emilia, vietate le veglie anti-aborto presso gli ospedali

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La maggioranza di sinistra dell’Emilia-Romagna ha approvato una risoluzione che permette di vietare la manifestazione della libertà di pensiero e di religione nei pressi di ospedali, consultori e cliniche dove si praticano aborti. Un testo contro la vita e incostituzionale, che toglie alternative alle donne.
- Corea del Sud, vescovi in prima linea per i nascituri, di Angeline Tan

Vita e bioetica 18_09_2025
Volontari pro-vita a Modena marzo 2025 (foto da M.S. Martucci)

Dal distanziamento sociale al distanziamento abortivo. Il modello inglese del Daspo per i pro-life che pregano davanti agli abortifici ha buone prospettive di prender piede anche in Italia. Il 16 settembre scorso l’Assemblea legislativa della Regione Emilia-Romagna ha approvato una risoluzione, voluta da Pd-5Stelle-Avs e Civici con De Pascale, che permette alle Conferenze territoriali sociali e sanitarie e ai Comitati consultivi misti di vietare la manifestazione della libertà di pensiero e di religione nei pressi di ospedali, consultori e cliniche dove si effettuano aborti. Niente manifestazioni o cortei vicino a questi obiettivi sensibili.

La risoluzione prevede «zone di accesso sicuro» per uccidere i bambini. «Non si tratta di vietare manifestazioni – spiega il consigliere regionale di Avs (Alleanza Verdi e Sinistra) Paolo Trande – ma di spostarle di qualche metro». Quindi si tratta sempre di un divieto: vietare manifestazioni nei pressi di alcuni luoghi. La libertà di parola non è valida dovunque nel nostro Paese. La risoluzione della Regione è quindi incostituzionale. Aggiunge Trande: «Non parliamo di preghiere, bensì di manifestazioni politiche: lo dimostrano i cartelli esposti contro la legge 194 e i messaggi violenti e colpevolizzanti rivolti alle donne». La violenza semmai è di coloro che uccidono i bambini, ci sembra evidente, non di chi vuole difenderli e difendere la donna dalla colpa per aver ucciso il figlio: tutto l’opposto di voler colpevolizzare la donna.

Inoltre, questa risoluzione pare una risposta ai momenti di preghiera che alcune realtà cattoliche hanno organizzato davanti alle cliniche emiliane dove si effettuano gli aborti. Tra queste ricordiamo l’Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII con la recita del Rosario davanti al Policlinico di Modena. Insomma, vietare le preghiere ora sembrerebbe troppo prematuro: iniziamo dalle manifestazioni di piazza. Senza poi contare che una preghiera diretta da un sacerdote o un laico facilmente potrebbe venire assimilata ad una manifestazione, un evento, un raduno. La forza dell’analogia. C’è poi da aggiungere che questi laiconi senza Dio, così preoccupati che l’assassinio prenatale non abbia impedimento alcuno, danno prova di credere alla forza della preghiera più dei cattolici stessi. La prendono sul serio eccome, anche se, formalmente, non è ancora vietata.

Inoltre, vorremmo chiedere coerenza alla maggioranza Pd & kompagnucci: che si vietino i Pride arcobaleno che passano vicino a chiese e istituti cattolici; le manifestazioni sindacaliste sotto le sedi degli assessorati delle politiche al lavoro; i picchetti di lavoratori scioperanti ai cancelli delle fabbriche; i cortei di tifosi nei pressi dei club di squadre avversarie. Tutte manifestazioni che potrebbero turbare le coscienze di fedeli, assessori al lavoro, imprenditori e tifosi.

Il primo firmatario della risoluzione, Lorenzo Casadei (M5s), si fa prendere dalla foga oratoria: «Non permettiamo in alcun modo che la storia, soprattutto in Emilia-Romagna, torni indietro e se a Roma qualcuno pensa di usare le istituzioni per imporre una morale di Stato, qui troverà un muro fatto di laicità». Se tornare indietro significa tornare ad un tempo in cui non si abortiva, allora volentieri ingraniamo la retromarcia. Poi, per la verità, la morale di Stato è già stata imposta dal 1978 proprio con la 194: un bambino si può uccidere finché è nel ventre di sua madre. Una morale che più laica di così – è proprio il caso di dire – si muore.

Maria Rachele Ruiu, portavoce di Pro Vita & Famiglia onlus, giustamente non le manda a dire: «La maggioranza Pd-5Stelle-Avs criminalizza chi difende la vita, colpendo forme pacifiche e legittime di libera manifestazione del pensiero che in nessun modo ostacolano l’applicazione della iniqua Legge 194. […] Non esiste un solo caso di cronaca che riferisca di donne che non siano riuscite ad abortire per la presenza di questi presidi o veglie di preghiera nei pressi di strutture sanitarie. Anzi, numerose donne testimoniano di ringraziare il cielo di aver incontrato sulla loro strada volontari pro-vita perché grazie al loro sostegno hanno trovato la forza e gli aiuti necessari a proseguire la gravidanza e accogliere il figlio».

Il cordone sanitario intorno alle cliniche, per tenere a debita distanza quegli appestati dei pro-life, non solo è un attacco alla libertà di espressione e di religione, un atto di discriminazione verso chi è dissenziente, ma è un incentivo all’aborto, in netto contrasto con la lettera della 194 che, almeno sulla carta, dovrebbe indicare soluzioni alternative all’aborto. È la solita musica cacofonica: non ci può essere alternativa al pensiero unico.



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