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L'UDIENZA

Timor di Dio, il nostro "allarme" di fronte al peccato

Il timore di Dio non va confuso con la paura. E' il dono del realismo umile: lo Spirito Santo "ci porta a sentirci così come siamo, cioè piccoli". Ed "è anche un allarme di fronte alla pertinacia del peccato".

Ecclesia 11_06_2014
Domenico Fetti, "Mosè e il roveto ardente"

 

All'udienza generale dell'11 giugno 2014 Papa Francesco ha concluso il ciclo sui doni dello Spirito Santo, proponendo una meditazione sul dono del timore di Dio. Spesso confuso con la paura, questo dono ci dà invece, ha affermato il Pontefice, la capacità di affidarci totalmente e con fiducia a Dio, e funziona anche per ognuno di noi come un sistema di allarme personale nei confronti del peccato.

Il timore di Dio, ha spiegato il Papa, non va mai confuso con la paura: «non significa avere paura di Dio: no, non è quello! Sappiamo bene che Dio è Padre e che ci ama e vuole la nostra salvezza, e sempre perdona: sempre! Per cui non c’è motivo di avere paura di Lui!». Il timore di Dio, invece, «è il dono dello Spirito che ci ricorda quanto siamo piccoli di fronte a Dio e al suo amore e che il nostro bene sta nell’abbandonarci con umiltà, rispetto e fiducia nelle sue mani. Questo è il timore di Dio: questo abbandono nella bontà del nostro Padre che ci vuole tanto bene!».

Il timore di Dio è il dono del realismo umile  - lo Spirito Santo «ci porta a sentirci così come siamo, cioè piccoli» - e insieme della totale fiducia in Dio, «quell’atteggiamento - tanto raccomandato da Gesù nel Vangelo - di chi ripone tutte le sue preoccupazioni e le sue attese in Dio e si sente avvolto e sostenuto dal suo calore e dalla sua protezione, proprio come un bambino con il suo papà». Naturalmente la fiducia filiale nei confronti del Padre comporta la docilità e la disponibilità all'obbedienza. Lo Spirito Santo ci fa «comprendere bene come il timore di Dio venga ad assumere in noi la forma della docilità, della riconoscenza e della lode, ricolmando il nostro cuore di speranza. Tante volte, infatti, non riusciamo a cogliere il disegno di Dio, e ci accorgiamo che non siamo capaci di assicurarci da noi stessi la felicità e la vita eterna. È proprio nell’esperienza dei nostri limiti e della nostra povertà, però, che lo Spirito ci conforta e ci fa percepire come l’unica cosa importante sia lasciarci condurre da Gesù fra le braccia del suo Padre».

Il dono del timore di Dio apre il cuore, «ci fa prendere coscienza che tutto viene dalla grazia e che la nostra vera forza sta unicamente nel seguire il Signore Gesù e nel lasciare che il Padre possa riversare su di noi la sua bontà e la sua misericordia. Aprire il cuore perché la bontà e la misericordia di Dio vengano a noi».

Non dobbiamo però dare per scontato che il nostro cuore sia sempre aperto a Dio. Si richiedono «umiltà, docilità e obbedienza». Occorre anche guardarsi da un «atteggiamento rassegnato e passivo, anche lamentoso». Dobbiamo sempre incontrare il Signore con «stupore e gioia». Il dono del timore di Dio «non fa di noi dei cristiani timidi, remissivi, ma genera in noi coraggio e forza! È un dono che fa di noi cristiani convinti, entusiasti, che non restano sottomessi al Signore per paura, ma perché sono commossi e conquistati dal suo amore».

Il dono del timore di Dio è dolce, ma è anche severo. Il Pontefice ha spiegato che «è anche un "allarme" di fronte alla pertinacia nel peccato. Quando una persona vive nel male, quando bestemmia contro Dio, quando sfrutta gli altri, quando li tiranneggia, quando vive soltanto per i soldi, per la vanità o il potere o l’orgoglio, allora il santo timore di Dio ci mette in allerta: "Attenzione, con tutto questo potere, con tutti questi soldi, con tutto il tuo orgoglio, con tutta la tua vanità, non sarai felice!"». Non sarai felice su questa Terra e non lo sarai nell'eternità. «Nessuno può portare con sé dall’altra parte né i soldi né il potere né la vanità né l’orgoglio: niente! Soltanto possiamo portare l’amore che Dio Padre ci dà» e «quello che abbiamo fatto per gli altri».

Papa Francesco ha citato gli esempi delle «persone che hanno responsabilità sugli altri e si lasciano corrompere» in diversi modi, di coloro che «vivono della tratta di persone e del lavoro schiavo», dei «mercanti di morte» che fabbricano armi, e ha pregato «che il timore di Dio faccia loro comprendere che un giorno tutto finisce e che dovranno rendere conto a Dio». Non dobbiamo però pensare, ha concluso il Papa, che l'«allarme» che il timore di Dio fa suonare nel cuore di fronte al peccato e alle sue conseguenze valga solo per i grandi peccatori. Vale per tutti noi: non deve indurre una paura oscura e disperata, che non è un sentimento cristiano, ma una seria considerazione del peccato e una disponibilità incondizionata ad accogliere Dio che ci viene incontro nella verità e nella misericordia.

Udienza generale 11 giugno: il testo integrale