TikTok venda agli Usa o sia chiuso. Un provvedimento controverso
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Il Congresso chiede all'azienda cinese proprietaria di TikTok, di vendere il social network a un americano. Altrimenti sarà chiusa. Il motivo è la sicurezza, ma è un precedente pericoloso.
Pochi hanno fatto caso che, nello stesso voto con cui il Congresso Usa ha approvato l’invio di 95 miliardi di dollari in aiuti militari a Ucraina, Israele e Taiwan, c’è anche l’obbligo di vendere TikTok, il social network cinese che i Repubblicani vogliono trasferire in mani americane. Se in 270 giorni non verrà trovato un acquirente statunitense per la filiale americana del social netwok, o la compagnia proprietaria cinese, la ByteDance, si rifiuterà di vendere, TikTok verrà bandito in tutto il paese. Quei 270 giorni di scadenza dell’ultimatum sembrerebbero calcolati apposta per scaricare la patata bollente al prossimo presidente, chiunque sia eletto.
Si tratta di un provvedimento molto duro che ha un precedente fallimentare. Anche nel 2020 Donald Trump aveva deciso di bandire TikTok dagli Usa, per lo stesso motivo. Ma un tribunale federale aveva accolto l’istanza di ByteDance e aveva stabilito che, almeno sotto elezioni (sentenza del 27 settembre: si era nel pieno della campagna elettorale) dovesse essere garantita la libertà di informazione. Il bando del social network venne ritirato dallo stesso Trump. Passando così tutto il dossier a Biden, che l’ha tenuto in caldo fino a questa settimana.
Gli argomenti con cui i Repubblicani hanno chiesto (allora come ora) la messa in vendita, o la messa al bando di TikTok, sono sostanzialmente due: è una minaccia alla sicurezza nazionale ed è uno strumento di manipolazione dell’opinione pubblica da parte del regime cinese. In entrambi i casi, le accuse sono fondate, perché in Cina nessuna azienda è del tutto indipendente e soprattutto se il Partito Comunista dovesse ordinare a ByteDance di consegnare tutti i dati personali degli utenti americani, questa dovrebbe consegnarli. Con un social network che, negli Usa, ha 170 milioni di utenti, soprattutto adolescenti e giovani adulti, di dati ne possono essere raccolti tanti, anche sulla vita personale di persone sgradite al regime di Pechino. Può essere uno strumento di manipolazione? Sì, perché la sede è pur sempre nella Repubblica Popolare, per cui i contenuti sgraditi vengono censurati e quelli graditi promossi. Come su Facebook e Instagram, ma nelle mani di un regime totalitario, un Grande Fratello non sotto metafora.
Di fronte alla possibilità di vendere TikTok, si stanno formando cordate di facoltosi acquirenti. In prima fila c’è Steven Mnuchin, ex Segretario al Tesoro nell’amministrazione Trump, che sarebbe alla testa di una cordata di imprenditori pronti a rilevare il social cinese dalle uova d’oro. La Oracle (informatica) e Walmart (grande distribuzione) si erano offerte di comprare il social network cinese nel 2020 e potrebbero tornare a fare la loro offerta. Ma con mille dubbi, perché la Oracle è stata accusata di aver violato la privacy di 5 miliardi di utenti, mentre la Walmart potrebbe essere interessata a bannare i post promozionali di tutti i suoi concorrenti dal social network.
Ma non si fanno i conti senza l’oste: ByteDance non intende vendere agli americani e minaccia di far causa. E può vincerla, come nel 2020. Proprio in questi giorni, il Segretario di Stato Antony Blinken è in Cina per discutere delle relazioni economiche, sempre molto tese, fra Usa e Repubblica Popolare. La questione TikTok non è stata affrontata dagli interlocutori cinesi, nonostante si tratti di un dossier molto importante. Questo perché, secondo un’analisi del Wall Street Journal, la Cina non ha alcuna intenzione di vendere. Piuttosto accetterebbe di chiudere, ma non di cedere a un nuovo proprietario americano.
Paradossalmente, se andasse in porto quel che il Congresso chiede, la Cina avrebbe molti argomenti da ritorcere contro gli Usa. Come afferma un analista cinese, Victor Gao, intervistato dal quotidiano economico americano, «Gli americani hanno detto ai cinesi che la cosa più importante è la proprietà intellettuale. Ed è così che calpestano la proprietà intellettuale di un’altra azienda». Non solo: gli Usa hanno sempre, giustamente, contestato la censura cinese. Nella Repubblica Popolare, tutti i maggiori social network made in Usa, come Facebook, Instagram, YouTube, sono banditi. I Repubblicani che vogliono bandire TikTok intendono rispondere con le stesse armi. Ma in questo modo, non si mettono sullo stesso piano di un regime comunista? Un social network, con 170 milioni di utenti negli Usa, verrebbe chiuso sulla base di sospetti, neppure a seguito di una sentenza di tribunale. Con che faccia, poi, gli Stati Uniti potrebbero perorare ancora la causa della libertà di informazione?
L’aspetto più pericoloso, però, riguarda la libertà di informazione negli stessi Usa. La stessa legge con cui si impone la vendita di TikTok, potrebbe essere usata dalla prossima maggioranza in Congresso per imporre a Elon Musk, per fare un esempio, la vendita di X. E di pretesti se ne trovano sempre: discorsi di odio, violazione di qualche norma sulla privacy, ecc… In un ambiente sempre più regolamentato, dove l’informazione è stata già irreggimentata per la pandemia e lo sarà ancora maggiormente per l’emergenza climatica, ci vuol poco perché il prossimo governo dica, al malcapitato del futuro, “vendi o ti chiudo”.