The Son, ovvero: un figlio non accetterà mai il divorzio
Presentato alla 79ª Mostra del Cinema di Venezia e ora nelle sale, la pellicola di Florian Zeller mostra la grande sofferenza che il divorzio causa sui figli, offrendoci la prospettiva dell’adolescente Nicholas. Che sbugiarda l’idea oggi in voga, di “rifarsi una vita” a spese della famiglia.
Tratta da una sua pièce teatrale, la pellicola del regista francese Florian Zeller, The Son, porta in scena la drammatica vicenda di una famiglia newyorkese, che assomiglia alle storie dolorose di tanti ragazzi del mondo di oggi, anche in Europa. Dopo l’indimenticabile The Father, che ha fatto vincere l’Oscar ad Anthony Hopkins, il drammaturgo d’Oltralpe si dedica questa volta a un figlio.
Il diciassettenne Nicholas è stato abbandonato da piccolo, insieme con la mamma Kate, dal padre Peter, noto avvocato e uomo di successo, che si è “rifatto una vita”. Dalla nuova compagna Beth ha appena avuto uno splendido bambino e con loro conduce una vita serena. Tutto sembra scorrere tranquillamente per lui, mentre la tormentata ex-moglie si occupa di un figlio sempre più in difficoltà, con cui non riesce nemmeno più a parlare. Nicholas infatti sta male, non va più a scuola e si sente profondamente a disagio, senza nemmeno riuscire a dare un nome al suo malessere. Pensa di trovare una via d’uscita chiedendo di andare a vivere col padre che, un po’ imbarazzato per lo sconvolgimento improvviso dei suoi ritmi familiari con la nuova moglie e il piccolo appena nato, si mostra comunque disponibile ad accogliere il ragazzo. A suo modo l’ha sempre amato, occupandosene per quel che il suo lavoro impegnativo gli consentiva.
Ma l’affetto di papà Peter e il suo tentativo di far accettare la scelta del suo divorzio non sono sufficienti a riempire il vuoto di Nicholas. La ferita dell’abbandono subito nell’infanzia scava a tal punto nel suo profondo da indurlo a compiere atti di autolesionismo, con piccoli tagli sulle braccia. Il padre, scoprendolo, reagisce con decisione e irritazione, vietandogli comportamenti che lui non capisce. E non capisce neppure quando Nicholas gli urla in faccia che quelle ferite superficiali sono solo un modo di trasferire sul corpo, con minor dolore, la lacerazione terribile che lui ha dentro di sé, da quando è stato lasciato solo con la mamma: “Quando ferivi la mamma, tu ferivi me!” Peter, sconcertato ed evidentemente fino a quel momento inconsapevole del dramma del figlio, rivendica con forza il suo diritto “a rifarsi una vita”, una giustificazione così comune anche a tanti genitori che oggi si allontanano. Non sembra proprio comprendere che la sua nuova famiglia, che di fatto ha escluso Nicholas, per il ragazzo è una realtà inaccettabile, perché lui si è sentito rifiutato, insieme con la sua mamma. Infatti chiede sorpreso a Beth, la nuova compagna del padre: “Ma tu non sapevi che lui era sposato e aveva un figlio?” E ripete sbalordito la domanda a quella giovane donna, che tace, pur ben disposta verso di lui ma del tutto incapace di dare una risposta.
La critica, commentando il film, si sofferma solo sulla depressione, la malattia psichica di Nicholas, adolescente troppo sensibile per accettare che i genitori si lascino. Ma il regista in realtà va in un’altra direzione e lo fa con un coraggio non abituale nella filmografia odierna. Certo, il ragazzo è particolarmente profondo, non si accontenta dei palliativi dei suoi coetanei: feste, divertimenti e superficialità. Vorrebbe diventare scrittore, riuscire ad affrontare il mondo, ma in realtà gli manca chi lo avrebbe dovuto guidare. Papà Peter alla fine, visto che Nicholas sta sempre peggio e non vede prospettive per il suo futuro, decide di rinunciare ad una proposta di lavoro allettante per lo sviluppo della sua sfolgorante carriera, per stargli vicino. Non sarà però in grado di fare nulla per il figlio e rimarrà sconsolato con i suoi sensi di colpa. Così non farà altro che ripetere gli errori che il suo stesso padre (un cinico Anthony Hopkins) ha compiuto con lui e che tanto l’hanno segnato, spingendolo a cercare il successo ad ogni costo. Se ne accorgerà purtroppo solo dopo un dialogo breve ma memorabile con l’anziano genitore.
Il film ci mostra con chiarezza che il male di vivere di Nicholas ha radici nella distruzione della sua famiglia. Il difficile rapporto padre-figlio è la chiave del dramma rappresentato, in cui tutti soffrono. Ovviamente anche Peter (splendidamente interpretato da Hugh Jackman) è angosciato e vorrebbe superare con un affetto rinnovato il muro della solitudine in cui si trova intrappolato Nicholas, che neppure riesce a confessare il suo bisogno di amore. Ma se queste contraddizioni sono tipiche dell’età adolescenziale (i genitori non capiscono mai pienamente i ragazzi e questi inevitabilmente si rinchiudono, perché non si sentono abbastanza amati), la miccia che fa deflagrare un malessere più grave è sicuramente il divorzio. È inutile e anche piuttosto ipocrita nascondere il dramma che questa scelta, oggi purtroppo così diffusa, scatena nei nostri ragazzi, sempre più fragili e disarmati di fronte alla realtà. Il regista sembra dirci che gli adulti con figli non possono più affrontare con leggerezza le loro difficoltà, scegliendo di “rifarsi una vita”, senza pensare all’enorme, doloroso sconvolgimento che provocano nei loro ragazzi. Occorre cambiare radicalmente mentalità e prospettiva, per ricostruire una società in cui i giovani non siano e non si sentano sempre più abbandonati. E in questo senso il tormentato destino di Nicholas è un richiamo potentissimo che il film di Zeller ci offre, anche con una certa crudezza.