Tfta, la più grande area di libero scambio dell'Africa
Sharm El Sheikh, Egitto: i capi di Stato di 26 paesi africani hanno firmato l'accordo Tfta, la più vasta area di libero scambio finora creata nel continente nero. Finora uno dei maggiori freni allo sviluppo di quei paesi era proprio costituito dai dazi doganali, fra i più alti del mondo.
Il 10 giugno a Sharm El Sheikh, Egitto, i capi di stato e di governo di 26 paesi africani si sono accordati per dar vita alla più grande area di libero scambio del continente africano: dal Sudafrica all’Egitto, passando per alcuni dgli stati più ricchi di risorse del continente come l’Angola e la Repubblica Democratica del Congo. Si chiamerà Area tripartita di libero scambio, TFTA è l’acronimo inglese, perchè vi hanno aderito tre organismi economici regionali: il Comesa, Mercato comune dell’Africa orientale e meridionale, la Eac, Comunità dell’Africa orientale, e la Sadc, Comunità per lo sviluppo dell’Africa australe, per un totale di oltre 600 milioni di persone interessate, un volume di affari di circa mille miliardi di dollari e un traffico di merci superiore alla metà del Prodotto interno lordo del continente.
Il libero scambio, abbattendo le barriere doganali della maggior parte delle merci, contribuirà alla crescita economica degli stati che partecipano all’iniziativa favorendovi il consolidamento e lo sviluppo dei settori economici moderni. Imprese e fabbriche potranno infatti finalmente contare su mercati molto più vasti di quelli nazionali, spesso troppo limitati per consentire a un’industria di lavorare a pieno regime e guadagnare a causa dei redditi tuttora molto bassi di gran parte della popolazione. Per fare un esempio, una fabbrica di biciclette costruita in Kenya, che non ne vende abbastanza in patria, potrà esportarle negli altri 25 stati cosa che finora le è stata impedita dai dazi doganali esorbitanti – tra i più alti del mondo – imposti dai governi africani sulle merci importate. Introdotte per proteggere imprese e aziende locali dalla concorrenza straniera, oltre che per accrescere il saldo attivo della bilancia commerciale, queste misure doganali, di fatto, danneggiano le attività economiche che vorrebbero favorire.
L’area di libero scambio sarà un modo efficace e concreto, inoltre, per promuovere le piccole e medie imprese agricole su cui tanto affidamento si fa per sconfiggere la fame nel continente. Il costo proibitivo delle attrezzature fabbricate localmente, dovuto anch’esso a politiche di protezione del settore industriale, potrà infatti diminuire grazie alla concorrenza di ditte straniere; e anche quello di macchinari, diserbanti, fertilizzanti e pesticidi importati, gravati come si è detto da tasse doganali elevate che li rendono inaccessibili ai piccoli e medi agricoltori.
La resistenza dei governi a ridurre i dazi doganali finora ha scoraggiato gli scambi nonostante la nascita di organismi economici regionali e decenni di vertici, dichiarazioni di intenti e annunci programmatici per lo più finiti nel nulla.
Quello di Sharm El Sheikh è quindi un nuovo passo nella giusta direzione. La TFTA verrà ufficialmente presentata in occasione del vertice dell’Unione Africana che si svolgera in Sudafrica il prossimo fine settimana. Il passo successivo sarà l’approvazione da parte del parlamento di ciascun stato. Solo allora il progetto potrà decollare, il che si spera possa accadere entro il 2017. Ma potrebbero nascere degli ostacoli nel frattempo, soprattutto nei paesi più deboli dal punto di vista economico, che producono pochi beni per l’esportazione e le cui industrie dovranno competere con concorrenti più forti.
Inoltre sopprimere barriere e dazi non basta a consentire la libera circolazione delle merci. Un altro serio ostacolo è dato dalla carenza di vie di comunicazione e di altre infrastrutture. Il trasporto rapido, regolare, sicuro e capillare delle merci è indispensabile per la creazione di un mercato e gran parte dei paesi africani non sono ancora in grado di soddisfare questa esigenza: non su tutto il loro territorio nazionale. Molti, dopo le indipendenze, non hanno incrementato a sufficienza la loro rete viaria e ferroviaria, neanche approfittando dei fondi e dei progetti di cooperazione internazionale allo sviluppo offerti dai paesi industrializzati e, più di recente, da quelli emergenti, tra i quali primeggia la Cina. A ciò si aggiungono le difficoltà dovute a problemi di manutenzione che definire scarsa è spesso un eufemismo. La stessa Banca africana di sviluppo ha più volte ribadito che, per ottenere dei risultati, gli sforzi dovrebbero concentrarsi piuttosto e prima di tutto sullo sviluppo delle infrastrutture.
Un ulteriore ostacolo è dato dai pericoli che comporta viaggiare in territori insicuri, di cui i governi non sono in grado di garantire il controllo, insidiati da movimenti antigovernativi armati, gruppi terroristici, bande di trafficanti di armi, droga, esseri umani e prodotti di bracconaggio. È il caso ovviamente della Libia, membro del Comesa. Ma anche vaste aree di stati come il Kenya, la Repubblica Democratica del Congo e il Sudan non sono sicure.
Tuttavia è il caso di dire: un passo per volta. La costituzione della TFTA è stata annunciata come un evento di portata storica e potrebbe diventarlo.