Telenovela Lula. La sinistra si scopre garantista
L'indagine Lava Jato, in Brasile, sta riservandoci una serie di colpi di scena. L'ex presidente Lula nominato ministro per rendersi immune, il magistrato che blocca la nomina, la telefonata intercettata ed esposta al pubblico ludibrio... al di là dello stupore, è una vicenda inquietante perché è una lotta di potere.
Più che uno scandalo, è diventata una telenovela quella che vede come protagonista l’ex presidente del Brasile Lula da Silva. E dalla telenovela, di per sé sorprendente e divertente, rischia di trasformarsi in una rivoluzione.
Come tutte le telenovelas, il sale della trama è costituito dai colpi di scena. E in questo caso ce ne sono stati ben due in meno di due giorni. Dopo l’arresto e l’interrogatorio dell’ex presidente di sinistra, nell’ambito dell’indagine Lava Jato (su presunte tangenti della compagnia statale Petrobras ai membri del Partito dei Lavoratori), l’attuale presidente Dilma Rousseff è corsa in aiuto al suo predecessore con una nomina ad hoc. Alle 13,32 del 16 marzo ha telefonato a Lula comunicandogli la nomina a ministro della Casa Civil (capo di gabinetto). I termini sono espliciti: “Usala (la nomina, ndr) se ti serve”. Peccato che la telefonata fosse intercettata. Nel giro di cinque ore, audio e testo erano già stati pubblicati dalla stampa brasiliana. A questo punto, però, Lula pareva averla fatta franca. Il 17 è stato nominato, con cerimonia pubblica, alla sua nuova carica governativa, nonostante i fischi in sala e 3 milioni e mezzo di persone scese in piazza in 300 città brasiliane, fra cui anche la capitale e la città di Lula (San Paolo). Però arriva il secondo colpo di scena: proprio in forza dell’intercettazione già pubblicata, la magistratura, nella persona del giudice Itagiba Catta Preta, sospende la nomina. Dunque Lula non è più ministro a poche ore dalla sua nomina e può essere arrestato e processato in pace. Lieto fine, cattivo punito? No, perché a questo punto le manifestazioni giustizialiste contro l’ex presidente si scontrano con i suoi sostenitori in una serie di tafferugli. E intanto, sui social media si svelano gli altarini della magistratura, come una foto che ritrae il giudice Catta Preta con il badge del partito d’opposizione ad una manifestazione dell’ex candidato Aecio Neves. Il finale è ancora aperto…
La vicenda brasiliana, lungi dall’essere divertente come sembra, è molto preoccupante. Oltre alla crisi economica e al rischio per le prossime Olimpiadi, che iniziano fra pochi mesi, quella che si delinea è una lotta fra due branche dello Stato che stanno abusando del loro potere. Ed è una spia della corruzione endemica che imbriglia il paese sudamericano. Il Partito dei Lavoratori ha abusato del suo potere creando un sistema di clientele politiche, compravendite dei voti e lavaggio del denaro sporco. Lo dimostrano l’indagine Mensalao, della metà degli anni 2000 e l’attuale inchiesta Lava Jato. La Mensalao diede il nome a uno schema di corruzione con cui i deputati al Congresso venivano pagati in cambio di voti a favore del governo e del presidente. Lo scandalo, scoppiato nel 2005, si è concluso nel 2012 con 25 arresti, fra cui esponenti in vista del Partito dei Lavoratori. L’attuale indagine della magistratura Lava Jato riguarda invece un sistema di tangenti, con cui l’equivalente di due miliardi di euro sarebbe finito nelle tasche del Partito e probabilmente anche in quelle dello stesso Lula, gonfiando i prezzi dei contratti stipulati con cinque compagnie edili.
Questi episodi di corruzione sono abbastanza abituali in Brasile e non stupirebbe nessuno se le indagini portassero alla condanna di Lula e compagni di partito. Anche la stessa presidente Dilma Rousseff sta subendo una procedura di impeachment e potrebbe perdere la carica a un anno dalla sua rielezione. Un’altra indagine parallela, che coinvolge anche l’Fbi americana, riguarda le tangenti pagate nel corso della preparazione dell’ultimo Mondiale di calcio. E stando ai dati della Banca Mondiale, il 70% degli imprenditori brasiliani lamenta la corruzione quale uno dei principali ostacoli alla propria attività. Transparency International, che stila una classifica mondiale sulla corruzione percepita, relega il Brasile al 76mo posto su 168 paesi scrutinati. Le cause sono, come sempre, l’eccesso di burocratizzazione e regolamentazione (che costringe gli imprenditori a “oliare gli ingranaggi” anche solo per poter lavorare) e inefficienza della magistratura, che è lenta e sovraccarica di lavoro. Se la corruzione è una piaga grave e chi ne è affetto perde la faccia, per Lula il problema è doppiamente grave. Perché il “presidente operaio” si è sempre presentato come difensore dei poveri e degli onesti. “Il presidente dei poveri di tutto il mondo” lo aveva definito nel 2003 José Eduardo dos Santos, presidente dell’Angola.
Ma il problema ha due facce: l’altra è la magistratura stessa. Che in questa indagine sta dimostrando di non essere imparziale. L'episodio della telefonata intercettata e pubblicata subito dopo è un caso esemplare di “circo mediatico-giudiziario”. Come in Mani Pulite in Italia, anche in Brasile c’è un giudice che è diventato una star mediatica, Sergio Moro, protagonista dell’inchiesta Lava Jato. Che la sospensione della nomina di Lula sia un colpo clamoroso è certo, che obbedisca a tutte le garanzie date dalla legge è invece dubbio. Il sospetto che un gruppo di magistrati stia facendo politica in toga è abbastanza fondato, insomma.
La sinistra, che fa del giustizialismo un metodo di lotta e di governo, adesso si ritrova sull’altro lato del tribunale: sul banco degli imputati. E si sentono pronunciare, anche da fonti insospettabili, discorsi in difesa del garantismo. Chissà che la vicenda Lula, oltre a intrattenerci con i suoi colpi di scena, non segni anche una svolta culturale.