Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
CONTINENTE NERO

Tanzania, il paese che non ha mai chiuso per Covid

Il Tanzania sostiene di aver superato indenne la crisi. Benché l'Oms ne dubiti e non riceva informazioni, lo Stato africano non mostra segni di crisi. Il presidente Magufuli è autore di sparate molto pittoresche. Ma la sua opposizione al lockdown, in un'economia povera, non è un errore. "Abbiamo una quantità di malattie virali, ma la vita non si deve fermare". 

Esteri 18_02_2021
John Magufuli

I fatti continuano a smentire le previsioni apocalittiche delle Nazioni Unite sulle conseguenze del Covid-19 in Africa, considerato all’inizio il continente che avrebbe avuto più morti (milioni) e subito danni economici quasi irreparabili. Il 16 febbraio l’Oms indicava in Africa 2.741.249 casi, su un totale mondiale di 108.684.743, e 68.822 morti, su un numero complessivo di 2.399.103. Persino il Sudafrica, il paese africano più colpito, ha registrato finora “solo” 48.094 morti, su una popolazione di 66 milioni, e 805 morti per milione di abitanti. Per un confronto, l’Italia, con 60 milioni di abitanti, registra 93.577 morti, 1.553 per milione. L’altro paese più in difficoltà, il Marocco, ha avuto 8.491 morti su oltre 37 milioni di abitanti, 228 per milione.

C’è poi un paese africano, il Tanzania, che sostiene di aver superato praticamente indenne la crisi. Dopo il primo caso di coronavirus registrato il 16 marzo 2020, il governo ha disposto solo la chiusura delle scuole, che hanno riaperto a giugno, la sospensione delle manifestazioni sportive e la chiusura delle frontiere. Ai mezzi pubblici è stato ordinato di trasportare meno passeggeri, ai bar e ai ristoranti di limitare il numero degli avventori. Mercati, negozi, attività produttive, tutti gli ambienti di lavoro e i luoghi di culto sono rimasti aperti: niente confinamento e niente mascherine. Il presidente della repubblica John Magufuli ha replicato alle critiche internazionali: “abbiamo una quantità di malattie virali, tra cui l’Aids e il morbillo, la nostra economia viene per prima, non si deve fermare, la vita deve continuare. Gli altri paesi africani verranno da noi a comprare cibo nei prossimi anni, mentre patiranno le conseguenze di aver fermato le loro economie”. Il 30 aprile per disposizione presidenziale le autorità hanno smesso di comunicare rapporti all’Oms. Pochi giorni prima, dubitando della attendibilità dei test Covid, il presidente aveva ordinato di eseguirli su degli animali e dei vegetali. Sembra che una papaya, una quaglia e una capra fossero risultate positive.

L’ultimo bollettino del 29 aprile denunciava 509 casi e 21 morti. Un mese dopo Magufuli dichiarava ufficialmente che l’epidemia era finita grazie alle preghiere dalla popolazione e invitava tutti i cittadini a unirsi in preghiera per tre giorni per rendere grazie a Dio. Da allora l’Oms ha più volte espresso preoccupazione per la strategia adottata dal governo tanzaniano contro il Covid-19. Mancando dati, quale sia esattamente la situazione nel paese non è dato sapere. Voci preoccupate sono state raccolte di tanto in tanto dai mass media. Di recente la Conferenza episcopale del Tanzania ha detto di aver rilevato un aumento dei funerali nelle parrocchie dei centri urbani. Però gli ospedali sembrano lavorare normalmente, i medici confermano che non c’è sovraffollamento nei presidi sanitari e il vice ministro della sanità, il dottor Goodluck Mollel, ha invitato la popolazione alla calma: “lasciamo che se ne occupino gli scienziati. Se ci saranno problemi, il governo ce lo dirà. Ma la gente deve continuare a svolgere le proprie attività produttive”.

Il 19 gennaio il presidente Magufuli ha sollecitato il paese ad aumentare la produzione di generi alimentari. Durante un incontro con degli agricoltori nel nord ovest del paese ha detto: “quest’anno possono verificarsi delle gravi carestie perché molti sono in isolamento a causa del virus e allora noi avremo i nostri raccolti da vendere”.  

Anche sui vaccini il capo dello stato è prudente. Nei giorni scorsi ha raccomandato ai suoi connazionali di continuare come hanno fatto finora: la miglior difesa contro il virus, ha ricordato, è prendere delle precauzioni, pregare e usare le erbe della medicina tradizionale che si dimostrano efficaci. Come tutti i leader africani al verificarsi situazioni critiche, ha pensato bene di far leva sulla radicata diffidenza nei confronti dei “bianchi”, per quanto di solito Magufuli non ne approfitti come altri suoi colleghi. “Se l’uomo bianco fosse capace di risolvere le emergenze sanitarie con i vaccini, avrebbe già trovato un vaccino contro l’Aids, il cancro e la Tbc – ha detto il 27 gennaio – il ministro della sanità deve fare attenzione, non dobbiamo aver fretta di provare questi vaccini, non ci faremo usare come cavie”. Cosi, almeno per il momento, il paese non ha adottato un piano di vaccinazioni di massa.

Comunque vadano le cose, su alcune questioni il presidente Magufuli ha tutte le ragioni. Popoli e paesi non si possono permettere di fermare l’economia: i danni che ne derivano sono insostenibili. Ha ragione anche quando dice che gli africani convivono con altre malattie e non per questo smettono di lavorare e si nascondono in casa. Proprio in questi giorni è ricomparso Ebola nell’est della Repubblica democratica del Congo e nella Guinea Conakry: una malattia con un tasso di letalità che va dal 25 al 90 per cento. Nel caso del Tanzania poi, le emergenze da affrontare, più gravi del Covid, in questo momento sono altre. Il sud da mesi è in stato d’allarme per le incursioni dei jihadisti al Shabaab, che nel vicino Mozambico hanno le loro basi. Ulteriore motivo di allarme è stata la scoperta che ci sono dei cittadini tanzaniani tra i giovani reclutati.

Da nord incombe un’altra minaccia. Sono gli immensi sciami di locuste che, come in due riprese nel 2020, hanno ricominciato a divorare raccolti e pascoli: miliardi di insetti che da Somalia ed Etiopia si stanno spingendo verso sud, diretti in Kenya e Tanzania. Già a novembre del 2019 le Nazioni Unite hanno invano raccomandato di prendere provvedimenti per evitare una crisi alimentare devastante.