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COMUNISMO CINESE

Taiwan non sarà sottomessa a Pechino, parola del presidente Lai

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Lai Ching-te, presidente di Taiwan, ha tenuto il suo discorso più importante dall'insediamento, affermando la sovranità di fatto dell'isola, pur predicando buoni rapporti con Pechino. Irritazione dei comunisti cinesi.

Esteri 11_10_2024
Lai Ching-te

Basta poco per riattizzare la tensione tra le due Cine, nello stretto di Taiwan. Il presidente della Repubblica di Cina, cioè Taiwan, ha tenuto un discorso che si preannunciava come distensivo. Ma che contiene passaggi in cui, con grande fermezza, afferma la sovranità di fatto della propria isola, governata dal discendente del governo nazionalista cinese (quello sconfitto dai comunisti di Mao nel 1949). E questi passaggi potrebbe indurre l'altra Cina, la Repubblica Popolare, a compiere nuovi azzardi militari.

Lai Ching-te, eletto presidente il 13 gennaio scorso, ha tenuto il suo discorso più importante dall’insediamento in occasione del Giorno nazionale di Taiwan che cade il 10 ottobre. Lai ha dichiarato che «manterrà l'impegno a resistere all'annessione o all'invasione della nostra sovranità». E che «La Repubblica di Cina e la Repubblica Popolare Cinese non sono subordinate l'una all'altra», riferendosi ai governi di Taipei e Pechino rispettivamente. «In questa terra prosperano la democrazia e la libertà. La Repubblica Popolare Cinese non ha il diritto di rappresentare Taiwan».

La Repubblica Popolare continua a considerare Taiwan solo come una sua “provincia ribelle” e mira al suo completo isolamento internazionale: attualmente pochissimi Stati al mondo, quasi tutti micro-Stati, fra cui il Vaticano, hanno ancora relazioni diplomatiche regolari con il governo di Taipei. Che non è rappresentato in alcun organismo internazionale. Ma, dice Lai, «La Repubblica Popolare Cinese non ha il diritto di rappresentare Taiwan». E inoltre: «Abbiamo superato una sfida dopo l'altra, ma la Repubblica di Cina è sempre stata forte e il popolo di Taiwan ha sempre resistito».

La settimana scorsa, Lai aveva affermato che è “assolutamente impossibile” che la Cina sia la “madrepatria” di Taiwan perché il governo dell'isola è stato fondato nel 1911 (riferendosi al governo della prima Repubblica di Cina), decenni prima che l'attuale regime comunista della Cina continentale fosse fondato nel 1949. «Al contrario, la Repubblica di Cina potrebbe essere la madrepatria dei cittadini della Repubblica Popolare Cinese che hanno più di 75 anni».

Tuttavia, il discorso è stato soprattutto caratterizzato da toni distensivi, non indica alcuna volontà di sfidare militarmente il colosso comunista cinese. Anzi: «Taiwan è determinata a mantenere la pace e la stabilità attraverso lo Stretto di Taiwan e a raggiungere la sicurezza e la prosperità globali», poi ha proposto cooperazione in tutti i punti dell’agenda dell’Onu: «È anche disposta a collaborare con la Cina per rispondere ai cambiamenti climatici, prevenire le malattie infettive, mantenere la sicurezza regionale, perseguire la pace e la prosperità comune e portare benefici alle persone su entrambe le sponde dello Stretto di Taiwan».

Tuttavia, in risposta al discorso di Lai, Mao Ning, una portavoce del Ministero degli Esteri cinese ha dichiarato che il presidente di Taipei “ha messo in luce la sua posizione intransigente” sull'indipendenza di Taiwan. E la sua «inquietante intenzione di intensificare le tensioni nello Stretto di Taiwan per cercare guadagni politici». Ha inoltre ribadito che “Taiwan non esiste” ed è solo una provincia cinese: «Qualunque cosa dica o faccia l'amministrazione Lai Ching-te, non sarà in grado di cambiare il fatto oggettivo che le due sponde dello Stretto di Taiwan appartengono alla stessa Cina, né di fermare la tendenza storica secondo cui la Cina è destinata ad essere riunificata, e alla fine lo sarà». Quest’ultima è una (neppure troppo) velata minaccia di invasione.

Tra l’altro, il giorno prima del discorso di Lai, le forze armate della Repubblica Popolare hanno condotto la 35esima “esercitazione di pattugliamento di combattimento” intorno a Taiwan dall’inizio dell’anno, la 19esima da quando Lai è entrato in carica a maggio. Almeno 20 aerei e navi da guerra sono stati inviati vicino allo spazio aereo e alle acque di Taiwan mercoledì 9 ottobre.

Il mese scorso, la Cina, in un’esercitazione delle sue forze strategiche, ha lanciato un missile balistico intercontinentale con testate (fittizie) sul Pacifico, il primo test di questo tipo in più di quattro decenni, che gli analisti hanno considerato come un avvertimento agli Stati Uniti. Possono essere colpiti anche direttamente sul loro territorio, con armi nucleari, se dovessero intervenire in qualsiasi potenziale conflitto su Taiwan.

Ma gli Usa, che sono sotto elezioni, cosa farebbero in caso di invasione cinese? Ufficialmente Washington non riconosce neppure il governo di Taipei, come quasi tutto il resto del mondo. Una legge interna, tuttavia, impone la protezione di Taiwan, attraverso l’invio di armi e tecnologie militari. Non c’è alcun impegno vincolante a intervenire in sua difesa, ma il deterrente americano consiste proprio in questa ambiguità strategica: la Cina non saprà mai se interverrebbero o no. Il Presidente Biden ha detto a più riprese che Taiwan sarebbe stata difesa, in caso di invasione, pur ribadendo la sua politica di riconoscimento di “Una sola Cina” con capitale Pechino. Kamala Harris, se venisse eletta, seguirebbe probabilmente la stessa linea. Per quattro anni è stata la vicepresidente di Biden ed anche in campagna elettorale non ha annunciato alcuna discontinuità. L'ex presidente Donald Trump, al contrario, ha più volte messo in dubbio l'utilità di sostenere Taiwan e ha invitato l'isola a spendere di più per la propria difesa.